Baby Business: la tecnica contro l’uomo.

gallo

Il ministro Beatrice Lorenzin, per dare seguito all’imposizione assurda della Corte Costituzionale che ha dichiarato che l’eterologa è un diritto, ha presentato ieri le conclusioni del tavolo tecnico convocato per una ricognizione della normativa vigente sulla fecondazione eterologa e i contenuti del decreto legge con il quale sarà disciplinata. Il decreto, fortemente osteggiato dall’Associazione Coscioni, dai radicali e dai centri di Fiv, che vorrebbero  l’applicabilità immediata della fecondazione eterologa nei centri specializzati per la procreazione assistita (vedi foto sopra e sotto), dovrebbe essere presentato prima della pausa estiva. Ora è evidente che siamo di fronte ad un decreto che “regola”, se così si può dire, un gravissimo male (e che quindi permette mali gravissimi); ma è anche vero che l’imposizione della Corte è impossibile da contrastare in via politica, almeno in questo momento. Purtroppo non è qui in discussione la liceità o meno di una pratica disumana (perchè uccide embrioni) e pericolosa per la salute (della madre e degli eventuali nati) come la Fiv; i paletti in discussione, in sede governativa e parlamentare, sono: divieto di anonimato e la gratuità del donatore.

I radicali, Rodotà e compagnia,  e i centri di Fiv non li vorrebbero affatto.
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Caro Rodota’, che errori “banali” sulla fecondazione assistita

di Carlo Bellieni

Caro Stefano Rodotà, su Liberazione del 27 novembre, in un’intervista in cui discute se esista una legge naturale, Lei scrive tra l’altro – per illustrare, credo, come i limiti naturali siano relativi – che da quando esiste la procreazione assistita “è possibile sapere se, quando e come procreare”. Mi permetto di non essere d’accordo con queste tre istanze. Detta così, sembra tutto rose e fiori – cosa che d’altronde Lei stesso riconosce dicendo “questo pone certamente un problema di limiti”; invece, la strada della procreazione assistita ha numerose incognite.
La prima incognita riguarda proprio la certezza che con la Fiv si possa davvero decidere “quando procreare”; già, perché dopo una certa età la fecondazione assistita non funziona più, o comunque funziona poco, e l’ipotesi che con la Fiv si riesca a procreare “quando si vuole”, ohimè salta. C’è anche il rovescio della medaglia: se non si sta attenti a questa regola, si rischia di procrastinare la procreazione illudendosi che comunque “tanto c’è la Fiv”, e invece si resta a bocca asciutta. E con tanto rimpianto.
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Fecondazione artificiale, malattie genetiche

In un discorso tenuto presso la Canadian Fertility and Andrology Society, University of Toronto, la genetista Rosanna Weksberg ha affermato che i bambini nati da fecondazione in vitro hanno 10 volte più possibilità di soffrire di malattie genetiche rare.

 La Weksberg ha già avuto a che fare nella sua clinica con molti bambini nati dalla FIV con malattie genetiche rare, come la sindrome di Beckwith-Wiedemann e quella di Angelman. Come se non bastasse, in aggiunta ai problemi sopra descritti, il bambino ha maggiori probabilità di nascere con un peso decisamente basso o soffrire di autismo. La causa esatta dei problemi genetici è probabilmente una combinazione di problemi di infertilità dei genitori biologici e la genetica, e gli stessi trattamenti. La visione della genetista è confermata da uno studio francese risalente al 2010, nel quale si evidenzia come le tecniche di riproduzione assistita aumentino del doppio il rischio di deformità del bambino.

Lo studio ha inoltre rilevato che oltre il 4% dei bambini con questo trattamento presentava una forma di deformità congenita rispetto al tasso nella popolazione generale. Altra autorevole prova può essere indubbiamente rappresentata dalla posizione della Human Fertilisation del governo britannico e dalla Embryology Authority, che hanno avvertito, nel 2009, che i bambini nati con FIV hanno un rischio ben superiore al 30% di anomalia genetica. La Fivet dunque, oltre a creare un alto numero di embrioni umani scartati, congelati o distrutti, oltre ad effettuare una selezione dell’embrione umano perfetto (in modo molto eugenetico), aumenta anche il rischio di far nascere bambini con gravi sofferenze genetiche.

 http://malattierare.sanitanews.it/content/view/1878/67/

Inoltre:

di Enrico Negrotti

Occorre fornire una completa informazione agli aspiranti genitori che si rivolgono alla fecondazione in vitro. Così come i neonatologi e i ginecologi ostetrici devono seguire con particolare cura la salute dei bambini nati da fecondazione artificiale.

Sono le raccomandazioni degli autori di uno studio osservazionale retrospettivo condotto al Dipartimento materno­infantile del Policlinico universitario «Le Scotte» di Siena, e pubblicato sulla rivista «Minerva Pediatrica», sui bambini nati dopo fecondazione in vitro per verificare il rischio di sviluppare lesioni cerebrali.

La ricerca, coordinata dal neonatologo Carlo Valerio Bellieni, e condotta dai primari Franco Bagnoli e Giuseppe Buonocore e dai relativi staff, ha messo in luce un aumentato rischio di danno cerebrale nei nati da fecondazione in vitro in quanto soggetti a essere di basso peso. Non c’è variazione di rischio invece tra i nati di basso peso se concepiti con fecondazione in vitro o meno.
S
ono stati esaminati tutti i bambini nati nel triennio 2004-2006 al Policlinico «Le Scotte» di Siena. Si tratta di 3810 bambini, 180 dei quali (4,7%) concepiti con fecondazione in   vitro. Erano differenti sia la media del peso alla nascita, sia l’età gestazionale, sia l’età materna dei due gruppi di neonati. In particolare 3025 grammi nei nati naturalmente rispetto ai 2620 dei nati dopo fecondazione in vitro; 38,8 settimane di gestazione rispetto alle 36,5; 32,6 anni delle madri rispetto ai 35,7. Per quanto riguarda i danni cerebrali, sono risultati presenti in 4 bambini da fecondazione in vitro   (2,2%) e in 23 (0,63%) di quelli nati da concepimento naturale. «Può essere dovuto alle gravidanze multiple, spesso associate ai trattamenti di fecondazione in vitro – scrivono gli autori della ricerca – e alla conseguente prematurità, un fattore di rischio ben noto per il danno cerebrale». Tuttavia, aggiungono, i dati mostrano che anche nel caso di nascite singole e non gemellari, il rischio è maggiore nella popolazione nata da fecondazione in vitro. Anche se, ammettono gli autori, «la differenza scompare se consideriamo solo i nati di basso peso, dove il tasso di danno cerebrale è simile nelle due popolazioni».

C oncludono gli autori, che si ripromettono di seguire i bambini negli anni a venire per avere un follow-up sui dati presentati: «Nei bambini nati da fecondazione in vitro, il danno cerebrale avviene più frequentemente che nel resto della popolazione. Questo è probabilmente dovuto a una maggiore frequenza di prematurità e di basso peso nella popolazione di nati da fecondazione in vitro. È opportuno parlare anche di questo con i genitori perché prendano   una decisione   informata».

Danni cerebrali più frequenti nei nati dalla fecondazione in vitro. Lo conferma uno studio sui bambini venuti alla luce a Siena. All’origine dei pericoli i parti prematuri e il basso peso

I limiti della fecondazione artificiale

Signore, “liberami dalle colpe che non vedo”. Ripensare a questa invocazione contenuta nel salmo 19 aiuta a non dimenticare quella che si può definire la linea di avanzamento umanitaristica del male; non vi è dubbio che questo fronte sia assai avanzato nella modernità, ma è altrettanto vero che nella storia l’idea che fosse accettabile un piccolo male per ottenere un bene maggiore si è dimostrata capace di sedurre tante volte l’uomo.
Certo, vi è anche l’altro fronte, il relativismo negazionista dell’esistenza stessa di una verità morale, una “amoralistica superstizione” che per Dietrich von Hildebrand aveva purtroppo invaso i circoli cattolici, e non ho alcuna difficoltà a riconoscere nei suoi adepti l’elite rivoluzionaria vera e propria che senza sosta mira a distruggere qualsiasi riferimento normativo eterodosso rispetto al puro soggettivismo, ma è la perversione del vero bene, il “buonismo”, a svolgere poi il ruolo di truppa occupante dell’animo di tanti di noi, cattolici che abbiamo smarrito la nostra cattolicità.
Per restringere il campo di azione fu una presunta buona intenzione quella che animò i cattolici del no nel referendum sul divorzio del 1974 e allo stesso modo pensarono ed agirono quanti favorirono la contraccezione per raggiungere la paternità e maternità consapevole, quanti videro nella legalizzazione dell’aborto una via per tutelare la salute delle donne e nella fecondazione artificiale un modo per donare alle coppie la gioia del figlio. Da qui, secondo una logica di coerenza interna, sono state poi avanzate istanze ulteriori e secondarie, il divorzio breve per non trascinare situazioni di conflitto e permettere un più rapido avvio di nuovi legami, l’intercezione anti-nidatoria come estensione della contraccezione, l’aborto privato per via farmacologica per favorire la privacy delle donne, la diagnosi pre-natale e pre-impianto per evitare che nasca un figlio malato, la fecondazione eterologa per aggirare il problema della sterilità assoluta di uno dei due partner e per conferire la funzione genitoriale anche alle coppie omosessuali, il congelamento degli embrioni per ottimizzare i risultati ed il congelamento degli ovociti per evitare il congelamento degli embrioni e conservare una riserva riproduttiva altrimenti abolita da una chemioterapia. In ciascuno di questi interventi non è difficile individuare una buona intenzione, l’umanitarismo di cui parlava Lombardi Vallauri.
Questo modo di valutare le scelte morali ha trovato e tutt’oggi trova un terreno particolarmente fertile tra noi medici, professionalmente abituati e legittimati a ragionare in termini consequenzialistici e proporzionalistici quando il campo di applicazione è costituito dalle scelte cliniche, ma che si rivela disastroso quando non sappiamo cambiare registro, quando non riconosciamo il salto necessario nel ragionamento morale, quando rinunciamo a quello “sguardo contemplativo” a cui ci esortava Giovanni Paolo II in Evangelium vitae, capace di farci vedere la vita nella sua profondità.
Vi sono molte ragioni per ritenere inadeguata la prospettiva delle conseguenze come criterio assoluto di giudizio morale delle azioni; mi limiterò ad esporne un paio. Il primo di questi ce lo ricorda il libro della sapienza: “incertae providentiae nostrae”, le nostre previsioni sono incerte, spesso ci accorgiamo di essere stati miopi. Se consideriamo i risultati di quelle azioni chi, dotato di onestà intellettuale, non sarebbe costretto ad ammettere che tanto del bene cercato con esse è stato sopravanzato da problemi ben maggiori? Il divorzio, pensato per la pace dei figli, non ha forse portato a tanti bambini e giovani smarriti dietro una cacofonica pluralità di figure di riferimento spesso provvisorie e conflittuali? Non è anche grazie alla sub-cultura dei cosiddetti “diritti riproduttivi” che l’occidente è largamente flagellato dall’inverno demografico e dalle difficoltà sociali ed economiche che ad esso fanno seguito?
Dov’è andata a finire la tutela della salute delle donne promessa dall’aborto legale se la più grande revisione mai realizzata e pubblicata sull’autorevole British Journal of Psychiatry da Priscilla Coleman dimostra che la salute mentale delle donne peggiora dopo l’aborto e se sul non meno autorevole American Journal of Obstetrics and Gynecology già nel 2004 è stata dimostrata una mortalità tripla per le donne che abortiscono rispetto a quelle che danno alla luce il figlio? Sono forse fantasie l’incremento di patologie che affligge i figli concepiti in provetta e le difficoltà per le donne prima illuse e poi deluse dalla pubblicistica dell’accanimento riproduttivo segnalati ieri da Bellieni sull’Osservatore Romano?
Non sono forse numeri, numeri incontestabili, quelli che si leggono sull’annuale relazione del ministero della salute secondo cui dai 99.258 embrioni formati con tecniche a fresco sono nati 8.077 bambini, attestando un tasso di abortività della tecnica pari al 90,6% e del 93% se si considerano gli ovociti fecondati, certamente superiore a qualsiasi stima di abortività spontanea? Non è forse vero che mediante le tecniche di congelamento embrionale e di vitrificazione ovocitaria la resa, in termini di bambini nati, è ancora inferiore? Mentre si gioisce per i bambini che nascono, si è forse legittimati a tacere e persino silenziare il ricordo di una tale strage, considerandolo un elemento di disturbo del quieto vivere raggiunto attraverso la mediazione?

? il mitissimo San Francesco di Sales che ammonisce anche noi cattolici di oggi contro un tale accecamento: “E’ carità gridare al lupo quando si nasconde tra le pecore, non importa dove”.
C’è un secondo aspetto che ci interpella quando si deve decidere l’adeguatezza della prospettiva della buona intenzione come criterio giudicante la bontà delle azioni. Quello che faccio con l’intenzione di fare del bene, è reso automaticamente dal mio intento un bene? La mia coscienza sinceramente volta al bene purifica le mie azioni a prescindere dal contenuto di quello che vado a realizzare?
Contro una tale distorsione già ammoniva S. Agostino nell’opera contro la menzogna, ma la fattispecie verso cui è forse più sensibile l’uomo moderno è quella indicata dallo studioso Massimo Introvigne come “reductio ad Hitlerum”.
Non era forse una buona intenzione verso il popolo tedesco, stremato dalla crisi economica e dalle sanzioni belliche, quella che animava il criminale regime nazista nella sua politica di proliferazione degli armamenti e di conquista dello “spazio vitale”? Non erano forse animati dal desiderio di ottimizzare il salvataggio dei piloti caduti in mare i medici che a Dachau conducevano esperimenti di congelamento usando uomini come cavie?
Non è forse vero che alcune di queste conoscenze servirono come base per ulteriori studi pubblicati su prestigiose riviste medico-scientifiche nell’immediato dopo-guerra? Se la coscienza è il tribunale supremo, ciò doveva valere anche per quei nazisti, com’è stato allora consentito ad altri uomini di ribaltare con la condanna per crimini contro l’umanità il giudizio di quel tribunale supremo interiore? In nome di che cosa si è proceduto? Sono riflessioni che in modo magistrale il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger, svolse dalle colonne del settimanale Il Sabato nel 1991, provvidenzialmente riproposte in un recente libro edito da Cantagalli dedicato alla coscienza. Dov’è il male?

La risposta del cardinale Ratzinger risuona delle parole di un grande conoscitore della coscienza, il beato cardinale Newman, secondo cui la coscienza ha dei diritti, perché prima ha dei doveri. Il primo di questi è quello di formarsi alla luce della verità, una verità che in
quel intervento il cardinale Ratzinger identificava come il termine medio, la cerniera che unisce autorità e soggettività ed in cui la norma, lungi da essere elemento di intollerabile oppressione dell’autonomia dell’individuo, interviene piuttosto come criterio che si oppone allo smarrimento di una coscienza auto-referenziale.

Così come la soppressione di un essere umano innocente realizzata con l’aborto non potrà mai essere una cosa buona ed una legge che trasforma il delitto in diritto non sarà mai una buona legge, altrettanto una pratica che trasforma l’essere umano da dono da accogliere in manufatto da assemblare mediante la fecondazione artificiale non sarà mai qualcosa da promuovere; anche quando le circostanze particolari possono intervenire nel modulare la responsabilità morale, queste non consentiranno di spacciare per un bene ciò che è di per sé un male.

Da ZENIT.org, 2 ottobre 2011

I piccoli sporchi segreti dell’industria della fertilità

di Antonio Gaspari

Il commercio degli ovuli femminili è una attività che ha raggiunto un bilancio di molti miliardi di dollari. Negli Stati Uniti viene considerata una vera e propria industria.

Cominciano a comparire però storie di donne che sono state sfruttate e che stanno rischiando la vita in seguito ai danni subiti dalla iperstimolazione e dall’asportazione di ovuli.

Emergono così i lati oscuri, segreti e controversi di questo commercio. Appaiono annunci in tutto il mondo in cui le giovani donne sono sollecitate a vendere i propri ovuli per decine di migliaia di dollari.
La vendita viene giustificata con uno scopo umanitario, sostenendo che questi ovuli serviranno “a realizzare il sogno di qualcuno che soffre di infertilità”.

Ma chi sono le donatrici di ovuli? Sono trattate con giustizia? O sono solo vittime del cinico utilitarismo del mercato? E quali sono i rischi a breve e lungo termine per la loro salute?

Per rispondere a queste e altre domande il Centro di Bioetica e Cultura (Center for Bioethica and Culture Network, http://www.cbc-network.org/) ha svolto una inchiesta e l’ha raccontata in un film-documentario dal titolo “Eggsploitation. The infertility has a dirty little secret” (www.eggsploitation.com).

Dopo aver visto il film in questione, Kelly Vincent-Brunacini, presidente dell’associazione Femministe per la Vita di New York, ha detto che “Eggsploitation è un documentario avvincente e rivelatore che mostra allo spettatore l’altra faccia dell’industria dell’infertilità”. Così si scoprono le storie inquietanti e strazianti di donne le cui vite sono state cambiate per sempre dopo aver subito la procedura per la donazione di ovuli.

Tutte e tre le donne che testimoniano la loro esperienza nel documentario hanno rischiato la vita a causa delle complicanze associate con la donazione di ovuli. Una ha subito un ictus che ha danneggiato il suo cervello; un’altra ha sviluppato un tumore al seno; mentre l’ultima ha diversi problemi di salute associati alla pratiche di iperstimolazione ovarica a cui è stata sottoposta.

Per approfondire un tema le cui implicazioni sanitarie, mediche e sociali saranno sempre più rilevanti, ZENIT ha intervistato Jennifer Lahl, Presidente del Center for Bioethica and Culture Network

Di che cosa parla “Eggsploitation”, il documentario da lei prodotto?

Lahl: Io sono l’autrice, la produttrice e la regista di “Eggsploitation”, che ha vinto il premio come miglior documentario al California Independent Film Festival 2011. Abbiamo venduto il film in oltre 29 paesi ed è stato mostrato in tutto il mondo.

Quali sono quelli che lei chiama i piccoli sporchi segreti dell’industria della fertilità?

Lahl: I “piccoli sporchi segreti” sono molti. Per esempio, le donne non sono informate sui rischi e le complicazioni a breve e a lungo termine. E non sono neanche seguite quando cominciano ad emergere problemi sanitari. Senza avere a disposizione i dati a lungo termine circa le tecniche di iperstimolazione, è evidente che le donne non possono essere adeguatamente informate circa gli eventuali rischi per la salute. C’è molta ipocrisia, si parla di donazione degli ovuli, ma è a tutti gli effetti una “vendita” condizionata dall’utilitarismo del mercato. Il consenso non è informato, ma viene comprato, perché le donne hanno bisogno di denaro. E’ evidente che i medici coinvolti dovrebbe richiedere un “CORRETTO consenso informato”, dovrebbero acquisire dati scientifici per studi di larga dimensione e dovrebbero impedire l’offerta di denaro. Nel corso dell’inchiesta abbiamo scoperto inoltre che alcuni dei farmaci per la fertilità utilizzati non hanno mai ricevuto l’approvazione delle autorità per questo uso particolare.

Il Lupron per esempio è stato approvato dalla U.S Food and Drug Administration (FDA) come farmaco per la cura del cancro alla prostata allo stadio terminale, ma non per la super-ovulazione. Risulta così che le violazioni dell’industria dell’infertilità sono gravi e numerose: nessuno studio a lungo termine sui rischi sanitari, violazione del consenso informato, corruzione indotta con l’offerta di denaro, scarsa o addirittura assente la protezione della donatrice, soprattutto quando si genera un danneggiamento degli ovuli.

A quanto ammonta il bilancio del commercio degli ovuli?

Lahl:?molto difficile quantificare il numero di donazioni d’ovuli. La maggior parte di queste compravendite avviene “sotto il tavolo” e “fuori delle griglia delle attività controllate”. Si tratta di un settore in espansione e fuori dal controllo.

Chi sono le donatrici di ovuli?

Lahl: Di solito sono donne tra i 21 e i 30 anni, nel fiore dei loro anni riproduttivi. Nella maggior parte dei casi si tratta di donne che hanno bisogno di soldi. Negli Stati Uniti, sono spesso studentesse universitarie di età compresa tra i 19 ed i 25 anni, le quali hanno bisogno di pagare le tasse scolastiche, l’affitto ecc. Nei paesi più poveri, sono donne che hanno solo bisogno di pagare l’affitto e comprare il cibo per tirare avanti.

Quali sono i rischi per la salute a breve e a lungo termine?

Lahl: I rischi a breve termine sono tutti quelli connessi con le pratiche di iperstimolazione ovarica (OHSS), e poi ictus, trombosi, aumento di peso, squilibri dell’umore… Rischi a lungo termine sono i tumori (in particolare tumori dell’apparato riproduttivo) e problemi di riduzione della fertilità.

Non le sembra paradossale che mentre da una parte vengono abortiti circa 50 milioni di bambini e bambine ogni anno, dall’altra parte ci sono persone disposte a tutto pur di aver ovuli da fecondare?

Lahl: Sì, si tratta di un cinico paradosso. Da una parte si gettano via i bambini concepiti e dall’altra si spendono enormi risorse e si sfruttano i corpi delle persone per creare la vita in laboratorio!

Non sarebbe meglio far nascere tutti i concepiti e lasciare in adozione quelli che non vengono accettati?

Lahl: In un mondo amorevole, la cosa migliore da fare è che madri e padri accolgano tutti i bambini concepiti nelle loro famiglie. Abbiamo molto lavoro da fare per incoraggiare le madri e i padri a tenere i loro bambini ed evitare l’interruzione di gravidanza. Se non si sentono in grado di prendersi cura dei loro bambini, non è facile convincerli che possono favorire e incoraggiare l’adozione.

da ZENIT.org

21/9/2011

Il dramma della sterilità crescente e della falsa soluzione, la PMA

C’è oggi un grande dramma, purtroppo ben poco compreso, in Occidente: un numero sempre maggiore di persone soffrono di infertilità e di sterilità e sono così private della gioia di poter concepire dei figli. Cosa è cambiato, rispetto al passato?

Geneticamente, diciamo così, nulla. La novità sta nel fatto che ad una quota per così dire “naturale” di persone sterili si aggiungono tantissimi casi di infertilità procurata da comportamenti ed abitudini scorretti, propri del nostro tempo. L’incremento dell’infertilità oggi riscontrabile può infatti essere riconducibile a vari fattori, quali: l’abitudine di spostare sempre più avanti l’età del matrimonio e del primo figlio (dimenticando che la capacità di concepire diminuisce fortemente nella donna dopo una certa età); l’uso massiccio di anticoncezionali, che abituano il fisico delle donne a rifiutare la vita, per molti anni, rendendo quindi più difficile ottenere il figlio, quando desiderato; lo stress psichico e fisico cui la donna è sottoposta nella vita odierna; aborti procurati precedenti; infezioni sessuali, in aumento soprattutto a causa dei rapporti sempre più precoci tra giovani; stress e stili di vita disordinati; abuso di alcol e fumo, da parte soprattutto degli uomini ecc…

Le risposte a questo dramma sociale possono essere sostanzialmente due.

La prima, la più ovvia, consiste nel prevenire, per quanto possibile, una certa quota di infertilità, adottando comportamenti più etici e ricorrendo anche all’uso dei metodi naturali, che, tra le altre cose, permettono alla donna una miglior conoscenza del proprio corpo, delle sue leggi e della sua armonia, risultando molto efficaci, più delle tecniche artificiali, anche per chi desideri ottenere una gravidanza e riscontri delle difficoltà.

Si potrebbe poi sviluppare una maggior ricerca medica sulle modalità per rimuovere eventuali cause ostanti al concepimento, in modo da permettere in vari casi un concepimento naturale. Ma queste due strade sono poche seguite, sia perché imporrebbero regole morali, sia perché non muovono alcun business.

La seconda risposta è quella che purtroppo sta prendendo sempre più piede, a partire dalla fine degli anni Settanta, ed è il ricorso alla cosiddetta fecondazione in vitro (FIV), o PMA (procreazione medicalmente assistita), o, ancora meglio, fecondazione extracorpoera. Questo tipo di procedimento comporta però numerose problematiche.

Anzitutto di ordine morale: infatti nella PMA la procreazione viene disgiunta dall’atto unitivo, che ne è la naturale premessa e causa. In secondo luogo la PMA apre le porte ad una quantità incredibile di aberrazioni, che hanno conseguenze sulla coppia, sulla donna e sugli eventuali figli.

Anzitutto la donna.

Procedimento preliminare alla PMA è l’iperstimolazione ovarica, che comporta un bombardamento ormonale per permettere alla donna di produrre non un ovulo, come avviene in natura, ma un numero molto alto di ovuli. Questa iperstimolazione può provocare emorragie, infarti, tumori, sterilità, persino, in qualche caso, la morte (si veda ad esempio il documentario americano “Eggsploitation” o "Le Scienze", Settembre 2004). Scrive il famoso esperto di PMA, il comunista Carlo Flamigni, che l’iperstimolazione ovarica può essere “pericolosa persino per la vita”: infatti "l’ovaio cresce in modo anomalo fino a raggiungere un volume pari a quello di un grosso melone. Successivamente, e soprattutto se l’iperstimolazione è grave, si forma un’ascite e compaiono raccolte di liquido nelle cavità pleuriche e nel pericardio. Il sangue si ispessisce e perde proteine e la funzionalità renale diminuisce pericolosamente. A causa di grossolane anomalie della coagulazione si possono determinare trombosi e tromboflebiti, talché esiste addirittura un rischio di vita nei casi più sfortunati" (“La procreazione assistita”, il Mulino, 2002)

Si tenga conto che l’esigenza di ovuli per la PMA, o anche per gli esperimenti di clonazione, comporta la nascita di un vero e proprio mercato, in cui migliaia di donne vengono “munte” dietro compenso economico, ma spesso ignare dei rischi che corrono.

In secondo luogo, dopo l’iperstimolazione, la donna viene sottoposta all’impianto di più embrioni: conosciamo tutti le storie di persone che sono rimaste incinte di 4, 5, 6, persino 8 figli. I parti multipli, come è intuibile, sono un grosso rischio tipico della PMA: un rischio, si badi bene, sia per la madre, che per i figli, soggetti, a causa delle loro particolare condizione, a morte, nascita prematura e deficit di vario tipo. Ai rischi per la donna si aggiungono quelli per la coppia: sovente le pratiche di PMA comportano, oltre a spese molto ingenti (Debora Spar, “Baby business”, Sperling & Kupfer, 2006), tempi lunghissimi, continue attese deluse, devastazione fisica e psicologica e quindi in non pochi casi portano alla rottura della coppia, incapace di uscire dal tunnel dell’aspettativa-attesa delusa e ancora aspettativa-attesa delusa (vedi Daniela Pazienza, "Io e la procreazione assistita", Armando, 2004; Manuela Ceccotti, "Procreazione medicalmente assistita", Armando, 2004).

 Infine il bambino: anzitutto occorre ricordare che per ogni “figlio in braccio”, così si è soliti indicare il figlio nato da PMA, vengono eliminati ben 9 o 10 embrioni umani, con un dispendio di vite umane incredibile. In secondo luogo si consideri che le percentuali di successo, cioè di “figli in braccio”, sono piuttosto basse: in molti casi gli embrioni non attecchiscono, in altri muoiono dopo poco tempo, mentre “la mortalità perinatale di questi bambini è elevata, raggiungendo il 20%, cifra che raddoppia o quasi quella calcolata per i bambini generati naturalmente” (Flamigni).

 In alcuni casi il numero dei figli risulta invece superiore alle aspettative e alle possibilità per la donna di portare avanti la gravidanza, per cui si deve intervenire uccidendo uno o più figli (riduzione embrionaria) dopo averli voluti ad ogni costo. Infine, la sorte dei bambini nati: molti di questi soffrono di malformazioni più o meno gravi, rilevabili talora già ad una anno di età, talora più avanti (Human Reproduction", novembre 2008).

Un recente studio dell’American Academy Pediatrics dimostra per esempio che i bambini concepiti da fecondazione in vitro avrebbero una maggior possibilità (1.42 contro 1) degli altri di avere un cancro (per maggiori informazioni visitare il sito del neonatologo Carlo Bellieni: carlobellieni.splinder.com/). È facile immaginare il perché di tali malformazioni: l’uso di sperma infertile, di ovuli portati a maturazione a forza tramite ormoni, l’assenza del dialogo madre-bambino che si instaura sin dal primo istante nel concepimento naturale in utero…

Ma non è finita: la possibilità di mettere le mani sulla vita nascente, quasi fosse solamente un qualcosa da manipolare liberamente, un grumo di cellule passibile di ogni sopruso, ha determinato negli anni sperimentazioni che possiamo ben definire “mengeliane”.

Ne citerò qualcuna tratta dalla cronaca:

Barcellona, 6.600 euro per un embrione (e si può scegliere il colore degli occhi)”; Ryan Kramer: un sito per trovare i fratelli”, nati da un padre che aveva venduto vari campioni del suo seme a donne diverse” (Corriere, 7/4/2007); “Usa, nascere dopo tredici anni di freezer” (Avvenire, 14/7/2005); “Venduti a peso d’oro gli ovuli delle universitarie di Harvard” (Il Giornale, 26/11/2002); “Figli simili alle star, l’idea di una banca del seme” (Corriere, 15/10/2009); “La bambina con tre madri alla ricerca del padre biologico” (Corriere, 27/11/2008); “Primo bebè figlio di due madri” (Il Foglio, 11/3/2005); “Affari, cliniche, promesse di cure. Le rotte delle cellule embrionali” (Corriere, 20/5/2007); “Fecondazione per single e lesbiche” (Corriere, 3/6/2006); “Giappone, spermatozoi umani coltivati nei topi” (Corriere, 3/2/1999); “Bimbo da un embrione di 13 anni. Congelamento record a Barcellona” (Corriere, 5/11/2006); “Mamme-nonne e nasciture orfane” (il Giornale, 23/9/’98); “Inseminazione sbagliata, ho scelto l’aborto” (Corriere, 11/12/2009); “Record tra i bambini della provetta, nasce col seme congelato da 21 anni” (Repubblica, 25/5/2004); “Sperma artificiale, una legge divide Londra” (Repubblica, 10/3/2008); “2038, padri e madri anche a cent’anni” (Corriere, 18/7/2008); “Wendy, Linsday e gli altri 30 mila a caccia di fratellastri su internet” (Corriere, 23/11/2010); “Autistici i figli (4) della provetta 3.066” Corriere, 14/8/2006); “Vuoi un figlio quando ti pare? Congelati gli ovuli finchè sei in tempo” (Il Foglio, 14/1/2005); “Partorisce a 67 anni” (l’Adige, 17/1/2005); “Gemellini abbandonati (dopo Pma). Due su 5 sopravvivono” (Corriere, 7/10/2005); “Muore dopo la fecondazione assistita” (Corriere, 21/4/2004); “Il figlio di Osama prende in affitto un utero infedele” (Libero, 10/8/2010)… e si potrebbe continuare a lungo… da: Radici Cristiane, maggio 2011

La giunta veneta e i figli a cinquant’anni

La decisione della giunta veneta, ed in particolare del suo assessore alla sanità Luca Coletto, di concedere l’accesso alla provetta, gratuitamente, alle donne sino a cinquant’anni, lascia esterrefatti.

Tanto più quando si apprende l’ammirazione del suddetto assessore, verso la scelta di Gianna Nannini, madre single cinquantaquattrenne.

Ci si chiede: veramente il Coletto può abbracciare l’idea che sia giusto e naturale chiamare alla vita un figlio, privandolo da subito del padre e di una madre in età naturale?

Davvero una giunta di centro destra può emanare provvedimenti che altro risultato non avranno che far procrastinare ad altre persone l’età della procreazione, illudendole in nome della onnipotenza della tecnica?

Qualcuno dovrebbe spiegare alla giunta veneta che concedere l’accesso alla fiv per donne cinquantenni significa: bassissimo tasso di successo, cioè, come si dice, di “figli in braccio”; altissimo numero di embrioni prodotti per la morte; alta possibilità per la donna iperstimolata di andare incontro a trattamenti pesanti, e quindi anche, in futuro, a problemi di salute, cancro compreso; notevole rischio che l’eventuale figlio, prodotto con ovuli non più freschi e con tecniche artificiali, ospitato in un utero non più giovane, soffra in futuro svariate patologie anche gravi.

Ma è veramente questo il centro destra che i cattolici dovrebbero votare? Quello della giunta veneta, di Luca Coletto, e di Alemanno che si sbraccia all’Europride manco fosse una manifestazione abituale del suo vecchio Msi?

Affitasi

Ecco cosa succede nell’epoca in cui Elton John e Nicole Kidman, solo per citare due casi da "Vip" (si fa per dire), hanno sdoganato la maternità surrogata.

Dove sono tutte quelle che gridano da mane a sera "L’utero è mio e lo gestisco io"? Credono davvero che le donne che affittano l’utero siano libere?

Si intitola “Made in India” il documentario che nelle intenzioni delle due donne che lo hanno realizzato, Rebecca Haimowitz e Vaishali Sinha, vuole mostrare “le storie umane” dietro a quel “complesso e controverso” fenomeno che risponde al nome di maternità surrogata. Il documentario apre uno squarcio su un argomento che ormai è all’ordine del giorno delle cronache bioetiche, con tutti i suoi angoli bui dal punto di vista etico, economico e legale. E lo fa narrando la storia di Lisa e Brian, che dal Texas volano in India per avere quel figlio atteso da sette anni, aiutati da Aasia, una ventisettenne che porta il burqa per non farsi riconoscere quando entra nella clinica dove impianteranno nel suo utero l’embrione della coppia.

Un vero e proprio commercio, quello del “turismo riproduttivo”, soggetto alle leggi del mercato: in India affittare un utero non costa mai più di venticinquemila dollari, contro i centomila che si possono arrivare a spendere negli Stati Uniti. Nell’ottobre scorso, in Canada, una madre surrogata è stata costretta ad abortire su richiesta della coppia che aveva fornito i gameti. L’interruzione della gravidanza, alla quale la gestante si opponeva, era stata pretesa nel momento in cui gli esami avevano evidenziato che il nascituro era affetto da sindrome di Down. La coppia si era appellata ad un contratto firmato prima dell’impianto dell’embrione, che prevedeva proprio l’obbligo per la madre surrogata di abortire in determinati casi. Sulla validità del contratto si erano interrogati numerosi esperti, chiedendosi se la vita umana potesse essere oggetto di accordi simili a quelli che riguardano la vendita di beni materiali. Molti dubbi riguardano anche le difficoltà che l’affitto di un utero porta con sé in relazione alla definizione dei gradi di parentela tra il bambino che viene alla luce e coloro che si sono affidati alla maternità surrogata, anche in considerazione del fatto che non di rado ad essere coinvolte sono coppie omosessuali. In Australia una coppia di uomini ha visti riconosciuti i diritti di paternità anche per l’uomo che non ha fornito lo sperma per l’embrione poi impiantato nell’utero di una donna indiana.

“La parola ‘genitore’ suggerisce qualche legame biologico” – si legge nel dispositivo del giudice – “ma la biologia non ha realmente importanza, sta tutto nella responsabilità parentale”.

A fine gennaio, un’altra controversia legale ha agitato il dibattito sulla maternità surrogata nel Regno Unito. Ad una donna che aveva stipulato con una coppia un accordo informale che prevedeva l’affitto dell’utero e la consegna del figlio alla nascita, è stato riconosciuto il diritto a tenersi il bambino. La gestante aveva infatti cambiato idea e, secondo il giudice, adesso che il bimbo ha sei mesi, la separazione tra i due costituirebbe una ferita insanabile per l’infante e per la donna, visto il legame creato dal “processo naturale della gestazione e del parto”.

Alla luce di questi casi non sorprende che molti paesi stiano correndo ai ripari in tema di uteri in affitto. In primis l’India: il governo sta considerando il varo di una legge che impedisca alla donne di concedere il proprio utero per più di cinque volte, limitando la fascia di età delle madri surrogate tra i 21 e i 35 anni. Una legge dunque permissiva, ma, se si pensa che l’intento è una regolamentazione più definita, è facile intuire quanto oggi la situazione sia fuori controllo. Anche in Australia c’è chi si è dotato di un testo che regolamenta la maternità surrogata: la legge del Nuovo Galles del sud impedisce viaggi all’estero alla ricerca di donne disposte a portare avanti una gravidanza. E, proprio in questi giorni, il parlamento francese si trova a discutere la legge sulla bioetica che non sembra voler concedere spazio alla possibilità di affittare l’utero. In Italia la maternità surrogata è vietata dalla legge 40. Ma c’è chi non si arrende. E’ depositato presso la Camera un progetto di legge in tema di fecondazione assistita col quale, al primo comma dell’articolo 15 si vietano le tecniche di surrogazione della maternità. Ma al comma successivo si afferma che tale divieto “non si applica nel caso in cui l’incapacità della madre di portare avanti la gravidanza non sia altrimenti superabile”, fermo restando l’impossibilità di ricevere compensi per l’affitto dell’utero. La prima firmataria del testo è Maria Antonietta Farina Coscioni, deputata di quei radicali spesso sponsor dei numerosi attacchi alla legge 40.

Da Avvenire, 10 febbraio 2011