Conte e la Fase 2: peggio della babele c’è l’ottusità

di Bilbo Baggings.

Il dibattito su come riaprire l’Italia (la cd. fase due) si avviluppa in un groviglio di contraddizioni, in cui le partigianerie ideologiche sono più forti dei dati di fatto e dei vincoli costituzionali.

Si discute, giustamente, su chi debba decidere sulle riaperture, se ci voglia un provvedimento unico dello Stato o se possano intervenire, in modo anche differenziato, le Regioni.

mainstream media non sembrano nutrire dubbi. Hanno ormai messo nel mirino le Regioni, in nome della necessaria uniformità; invocano la clausola di supremazia, lamentano la babele delle regolazioni diverse, ridicolizzano le scelte fatte a macchia di leopardo sul territorio nazionale.

A parte il fatto (ovviamente ignorato) che la babele in questione è il frutto della riforma costituzionale voluta nel 2001 dalla sinistra, i nostri giornaloni avrebbero anche una certa fetta di ragione. Ma guardate invece come ragionano, gli stessi giornaloni, quando analizzano la vicenda negli Stati Uniti. Sono schieratissimi con i governatori dei singoli Stati che vogliono fare da sé, e che perciò si oppongono a Trump, che vorrebbe invece utilizzare poteri federali uniformi e validi per tutti.

Non importano nulla, ai nostri media, le ragioni storiche e costituzionali che militano, per quanto riguarda gli USA, in favore dei singoli Stati. A loro interessa solo andare contro Trump, e così fanno: senza però rendersi conto che, così facendo, stanno assumendo una posizione del tutto incoerente con quella che proclamano con riferimento alla vicenda italiana.

Il fatto è che, per quanto riguarda l’Italia, l’obiettivo dell’informazione partigiana è uno solo: prendersela con la Lombardia, accusandola di ogni nefandezza, fornendo materiale di supporto al colpo definitivo che, sperano, verrà sferrato dalla Procura di Milano. Purtroppo, ed è fonte di grande rabbia e amarezza, non è difficile prevedere che andrà proprio così: e dopo la desertificazione umana ed economica prodotta dal virus, il motore economico italiano verrà così azzerato anche politicamente, per via giudiziaria, nel solco della tradizione italiana di questi ultimi quarant’anni.

Se si volessero analizzare le cose correttamente bisognerebbe dire e fare altro.

La babele delle regole, che abbiano sperimentato in queste settimane, e che rischiamo di sperimentare anche per la fase due, è frutto sia delle regole costituzionali volute dal centro-sinistra nel 2001, sia della sconsiderata, recentissima, normativa, approvata dal governo Conte (dl n. 19 del 2020), che nella sostanza dice: “sono io Stato a decidere come si fa per tutto il territorio nazionale, ma intanto, finché non vengano approvati dei nuovi decreti del Presidente del Consiglio (i famigerati dpcm!), voi Regioni potete anche decidere diversamente, sempre che vogliate approvare regole più rigorose”.

Qui nasce la babele. Cosa si intende per regola più rigorosa? E come ci si regola con i nuovi dpcm che nel frattempo il buon Conte ha approvato? Come, dunque, si conciliano, alla fine, le scelte statali con quelle regionali? Cittadini comuni costretti a improvvisarsi giuristi si affannano a interpretare. Nell’inevitabile incertezza fiorisce l’arbitrio, che mette a rischio serio le nostre più sacre libertà.

Non dovrebbe proprio funzionare così. É ovvio, ad esempio, che la riapertura a Bergamo, Brescia e Milano è cosa diversa dalla riapertura in Molise o in Basilicata. Perché fare il lockdown o impedire le riaperture dove i contagi sono pochissimi o non ci sono proprio? Il rigore uniforme è altrettanto illogico della babele irresponsabile. Dipende dal contesto. E il contesto lo possono meglio valutare le autorità più vicine al territorio, nel quadro di alcuni principi fondamentali necessariamente validi per tutti. Così, le aperture differenziate avrebbero un senso ragionevole, collegato e adeguato al contesto reale di riferimento.

Bastava allora convocare una bella Conferenza Stato-Regioni, e poi, all’esito di questa, fare una disciplina complessiva, che tenesse conto dell’accordo raggiunto in quella sede. Invece il nostro Winston Conte vuole fare tutto da solo a suon di cervellotici dpcm, senza il Parlamento e senza la conferenza Stato-Regioni, ascoltando oscuri esperti scelti da lui solo, di cui nessuno sa poco o niente.

Ci piacerebbe avere anche qui in Italia un Andrew Cuomo, che (come ha fatto quest’ultimo rivolgendosi a Trump) gli dicesse: non abbiamo mica un “Conte Re!”

Fonte: l’Occidentale

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