di Daniela Bovolenta.
Solo una società incerta nell’affermare che la famiglia naturale è, nella maggioranza schiacciante dei casi, l’ambiente migliore (non perfetto, solamente il migliore possibile) in cui può vivere un bambino, solo una società che non veda più la differenza tra il legame biologico e atavico che lega una madre e un padre ai propri figli e tutti gli altri rapporti, in certi casi necessariamente vicari, che passi le sue giornate a diffondere slogan come “la famiglia è dove c’è amore”, che addirittura sia arrivata a teorizzare che una coppia omosessuale possa amare “meglio” un figlio, perché libera da preconcetti sessisti, solo su un terreno già ampiamente preparato in questo senso, diviene possibile l’abuso sistematico
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«Famiglie! Io vi odio!» Il nostro tempo sembra svolgersi all’insegna del grido disperato dello scrittore francese André Gide (1869-1951).
Non si tratta più della constatazione accidentale che talora le famiglie possano non funzionare a dovere, che ci siano situazioni estreme in cui la violenza, l’abbandono, la prevaricazione, prendono il posto di rapporti più funzionali e che dunque, in casi molto specifici, sia necessario intervenire. No.
Il caso oggetto dell’inchiesta “Angeli e demoni”, di cui in questi giorni si stanno diffondendo dettagli sempre più agghiaccianti, costringe a delle riflessioni più generali. La vicenda potrebbe solo parzialmente essere spiegata con l’avidità umana, che comunque ha certamente giocato un ruolo nello svolgersi degli eventi.
In radice va messa in questione la possibilità stessa di affidare il destino di bambini – asseritamente ‒ maltrattati a specialisti militanti, a psicologi omosessualisti, ad assistenti sociali convinte che la famiglia naturale sia il luogo in cui si perpetua il “patriarcato” mentre la “famiglia” volontaristica, fluida, nata dal contingente e dall’onnipresente “love is love”, sia sempre buona, positiva, “progressista”. Abbasso la famiglia, viva “le famiglie”.
In Emilia-Romagna non è avvenuto un “deragliamento” del sistema, una cosa buona finita male per colpa di pochi ingordi, ma si sono viste le conseguenze estreme di premesse già ampiamente inquietanti. Federica Anghinolfi, dirigente dei servizi sociali dell’Unione dei Comuni della Val d’Enza, non avrebbe potuto fare quel che ha fatto senza ampie coperture politiche, senza essere stata per anni considerata un esempio e un modello, senza che il numero così alto di affidi generati dai servizi che afferivano a lei non fosse stato un motivo di vanto per molti invece che di inquietudine per alcuni. Veniva considerato un sistema preventivo, capace di cogliere precocemente i segnali del disagio. Un po’ come in Minority Report – ricordate il film del 2002 diretto da Steven Spielberg, interpretato da Tom Cruise e ispirato a un racconto dello scrittore statunitense Philip K. Dick (1928-1982)? ‒, psicologi e assistenti sociali avevano assunto il ruolo di nuovi oracoli, capaci di prevedere crimini non ancora commessi per agire di conseguenza.
Solo una società incerta nell’affermare che la famiglia naturale è, nella maggioranza schiacciante dei casi, l’ambiente migliore (non perfetto, solamente il migliore possibile) in cui può vivere un bambino, solo una società che non veda più la differenza tra il legame biologico e atavico che lega una madre e un padre ai propri figli e tutti gli altri rapporti, in certi casi necessariamente vicari, che passi le sue giornate a diffondere slogan come “la famiglia è dove c’è amore”, che addirittura sia arrivata a teorizzare che una coppia omosessuale possa amare “meglio” un figlio, perché libera da preconcetti sessisti, solo su un terreno già ampiamente preparato in questo senso, diviene possibile l’abuso sistematico.
Che diritti possono accampare dei poveracci, loro malgrado incarnazione della perpetuazione del patriarcato e della generazione per via convenzionale, di fronte a entusiaste coppie LGBT+, a luminosi gestori di sex shop, a psicologi adusi a “prevenire” gli abusi così efficacemente, al punto da inventarli? Credete che sia possibile per questi due, rappresentati di un’era arcaica in cui i figli nascevano dagli uomini e dalle donne, lamentarsi con qualcuno? Provare a dimostrare che no, i mostri non sono loro?
O potranno farsi giustizia i bambini? Quei bambini ingannati, manipolati, costretti a dire quel che non è mai successo, i cui disegni sono stati modificati, a cui non sono mai stati neppure consegnati i regali che le loro famiglie tentavano di far pervenire per sollevare, miseramente e come potevano, la solitudine, il terrore, il pianto, la rabbia?
Una volta deciso che la famiglia è un postaccio, tutto il resto viene a ruota. Bisogna provvedere, creare una rete di associazioni come il Centro Studi Hansel e Gretel di Moncalieri, il quale – sorpresa! – era già stato coinvolto alcuni anni fa in un terribile caso analogo, detto “Veleno”, svoltosi nel modenese e che portò alla distruzione di numerose famiglie, sedici bambini privati per sempre delle loro famiglie con accuse completamente inventate, suicidi, un sacerdote ingiustamente accusato di satanismo e poi morto – di fatto – di crepacuore.
Ora, o si decide di scendere nel cuore di tenebra dell’avidità, della prevaricazione, della prepotenza di certa ideologia che fa dei bambini un mezzo per un fine, un “diritto”, una moneta di scambio, lo strumento per dimostrare qualcosa, oppure situazioni analoghe sono destinate a ripetersi. E sarà sempre più difficile denunciare: le vittime vere, trasformate in carnefici mediatici, non avranno più diritti, saranno le prime e uniche sospette.
Fonte: Centro Studi Livatino