Come sappiamo dal Catechismo, «la grande misericordia di Dio, che vuol salvi tutti gli uomini, e la tenerezza di Gesù verso i bambini, che gli ha fatto dire: “lasciate che i bambini vengano a me e non glie lo impedite” (Mc 10,14), ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza il Battesimo» (n.1261).
Questa dottrina del Catechismo abbandona evidentemente l’antica dottrina del limbo, la quale ebbe per molti secoli il permesso di circolazione all’interno della teologia cattolica, ma senza mai esser stata proclamata verità di fede e senza mai esser stata insegnata dal Magistero della Chiesa. Si trattava di una conclusione teologica, che serviva a capire quale poteva essere la sorte dei bambini morti senza Battesimo. Infatti, memori del fatto che Cristo dice esplicitamente che chi non crede e non è battezzato non si può salvare, non si vedeva come questi piccoli, che peraltro si supponeva esser macchiati dalla colpa originale, potessero andare in paradiso.
D’altra parte non si aveva il cuore di vederli eternamente tormentati, senza alcuna colpa personale, dalle fiamme dell’inferno. Così, con S.Tommaso d’Aquino, si era giunti a un compromesso: non potevano godere della beatitudine soprannaturale della visione beatifica in cielo, ma almeno godevano di una felicità naturale contemplando Dio con la sola ragione in quel luogo extraterreno, che appunto era chiamato «limbo».
Ma questa teoria, col progresso della comprensione degli orizzonti della divina misericordia avvenuto per impulso delle dottrine del Concilio Vaticano II, mostrò sempre di più la sua insufficienza e un legame ad una concezione discriminatoria, soprattutto a seguito di un approfondimento della conoscenza della volontà divina di salvare tuttigli uomini, anch’essa messa bene in luce dal Concilio.
Avvenne così che il 19 aprile del 2007 la Commissione Teologica Internazionale, affrontando di petto con intenti risolutivi la plurisecolare questione, pubblicò un documentatissimo parere, dal titolo «La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza il Battesimo», accolto poi dal Papa, nel quale, con tutte le cautele necessarie, si escludeva il limbo dal patrimonio delle verità di fede e della dogmatica cattolica con chiarezza maggiore di quanto non aveva già fatto il Catechismo. E ciò ovviamente non perchè il limbo si opponga alla fede, ma semplicemente perché, restando in se stesso una teoria rispettabile, non entra nel patrimonio della fede così come oggi è meglio conosciuto alla luce del Concilio Vaticano II.
Naturalmente adesso il teologo ha l’onere di provare come questi bambini si salvano, mentre prima sembrava più facile dimostrare che non si salvano, anche se si giungeva a conclusioni imbarazzanti, che sempre hanno creato disagio agli animi più evangelici. La questione della salvezza di questi bambini si è acuita in questi ultimi decenni e si è allargata alla sorte degli embrioni, a seguito del diffuso tristissimo fenomeno dell’aborto.
L’onere consiste nel risolvere l’antico problema in modo veramente soddisfacente, alla luce della migliore conoscenza della misericordia divina oggi acquisita dopo il Concilio. La questione, infatti, era impostata in questi termini: se per salvarsi occorre esser battezzati, ossia liberati dalla colpa originale, come possono salvarsi questi bambini che muoiono senza esser stati liberati da questa colpa? Ed inoltre: come fanno ad avere la fede salvifica, se non sono neanche capaci di ragionare?
Bisogna comprendere che l’azione di Cristo Salvatore è più ampia di quanto finora si pensava: essa raggiunge e salva anche gli embrioni, liberandoli dalla colpa originale e aprendo loro le porte del paradiso. Essi, però, a differenza dei soggetti capaci di esercitare il libero arbitrio, sono dispensati dalla facoltà di scegliere o per Dio o contro Dio, come invece è nella possibilità di chi si trova nell’età di ragione.
Infatti l’embrione umano è già persona umana, ossia è già un soggetto vivente di anima spirituale, anche se naturalmente non essendosi ancora formate le strutture e le attività neurologiche, che consentono l’esercizio del pensiero, del linguaggio, della volontà e della relazione interumana, il soggetto non può ancora dare i segni che manifestano il suo essere persona.
La persona adulta, infatti, dal punto di vista della composizione cellulare, è un agglomerato unitario, organizzato, diversificato ed ordinato di miliardi di cellule. Essa, dal punto di vista biologico, non è altro che il risultato, peraltro in continua evoluzione, della complessissima moltiplicazione e differenziazione cellulare, che avviene per divisione cellulare, per tutto il corso della vita dell’individuo, a partire dalla prima cellula, risultato dell’unione fra i due gameti paterno e materno, ossia lo zigote, che contiene già il DNA, ossia la carta d’identità biologica dell’individuo.
È lo stesso e medesimo individuo, che, proveniente dallo stadio iniziale monocellulare, diventa in età adulta un composto di miliardi di cellule, originate da quell’unica prima cellula. Ma questo individuo deve avere un’anima. Ma di che tipo? L’individuo lo dimostra una volta giunto all’età di ragione. Mostra egli infatti per mezzo di opportuni segni di avere un’anima razionale. E dunque, se lo dimostra adesso, deve averla avuta sin dall’inizio, cioè dev’essere sin dall’inizio una persona. Dunque, nonostante gli enormi mutamenti avvenuti nel corso degli anni, quel dato individuo mostra di essere sempre lo stesso: quella data persona.
Pertanto, la soppressione di un embrione è un omicidio. Persona, dunque, non significa il manifestarsi o relazionarsi come persona; ma vuol dire sostanza composta di spirito e corpo, si manifesti o non si manifesti come persona. La persona non è una relazione, ma una sostanza spirituale, che può o non può relazionarsi. L’embrione, che non può relazionarsi con nessuno, è comunque una persona. Se diciamo che la Persona divina è una Relazione sussistente, questo lo diciamo solo per caratterizzare proprio ciò che differenzia essenzialmente la Persona divina dalla persona umana.
Bisogna dire, allora, che, stando al Catechismo, l’anima dell’embrione, illuminata dalla fede, e purificata da Cristo, sceglie infallibilmente, mossa dalla grazia[1], di accogliere la grazia, che le dà la forza di scegliere per Dio. La madre, dunque, non porta nel suo seno un figlio macchiato dal peccato e schiavo del demonio, ma un figlio di Dio già purificato e redento da Cristo, per cui, se questa madre è credente e pia, è fiera che il suo seno sia tempio della SS.Trinità, abitante, oltre che nella sua anima, anche nell’anima di suo figlio, in stato di grazia già nello stato embrionale, anzi fin dal momento della sua concezione, concepito bensì nel peccato originale, ma poi subito liberato dalla redenzione di Cristo.
Ma anche se disgraziatamente la madre avesse abortito, anche in tal caso, finchè il figlio ha abitato nel suo seno, lo ha profumato con la grazia, e, una volta che l’anima del figlio è salita al cielo, essa intercede per la salvezza della madre, la quale, se si pente, può ottenere la salvezza e il perdono divino dalle preghiere del figlio.
Paragonare queste anime beate agli angeli santi non è dunque la pia immagine di una fede ingenua, ma è atto del più solido ragionamento teologico, perché effettivamente la ragione obbliga a pensare che la mente degli embrioni, già nel seno della madre, per poter avere la fede necessaria alla salvezza, ricevono direttamente da Dio nella loro mente, come gli angeli in grazia, le specie infuse delle verità salvifiche, sì che la loro volontà possa amarle e gustarle nella carità.
È chiaro che il loro intelletto e la loro volontà non possono esercitarsi sulla base di una maturità cerebrale, che non esiste ancora, come viene raggiunta normalmente dallo sviluppo organico del soggetto giunto all’età di ragione. Ma l’intelletto e la volontà dell’anima spirituale, in ciò simile all’angelo, non ha di per sè bisogno, per esercitarsi, della base neurologica, perché l’atto dello spirito è causato o prodotto da una potenza o energia immensamente superiore a quella della materia, che fa da soggetto al cervello.
Lo spirito, quindi, sia dell’angelo che dell’uomo, emette questi atti immateriali e sovramateriali con le sue sole forze, del tutto sufficienti alla bisogna, senza che occorra o sia possibile alcun concorso causale da parte della materia, perché l’energia materiale – in questo caso le forze neurologiche – non sono assolutamente sufficienti a causare un effetto, quello spirituale, che trascende immensamente le forze dell’eventuale causa.
Il cervello, quindi, non è la causa efficiente o produttiva del pensiero o dell’atto del volere, ma ne è solo la condizione materiale di possibilità, seppur indispensabile, nel soggetto composto di anima e corpo; così come la luce elettrica non è ciò che causa il mio atto di vedere le parole che sono scritte in un libro, ma è quella condizione materiale, che mi consente di vedere. Ma è chiaro che l’atto del vedere non è causato dalla luce, ma dal mio occhio.
Ora si deve pensare che l’anima dell’embrione, priva della base neurologica ordinariamente necessaria al compimento degli atti dell’intelletto e della volontà, non per questo è priva della sua forza spirituale intellettiva e volitiva, perché la base neurologica non aggiunge nulla di essenziale all’atto dello spirito, ma semmai è lo spirito che muove e perfeziona la materia.
A questo punto niente impedisce a Dio di far funzionare ugualmente, in modo straordinario, ma solo intuitivo per l’intelletto e tensionale per la volontà, lo spirito dell’embrione, illuminando l’intelletto e muovendo la volontà, come fa con gli angeli. Ovviamente l’embrione non può compiere, come noi in questa vita, una serie di atti deduttivi o deliberativi, così da far procedere il libero arbitrio nel tempo. Lo spirito dell’embrione nel seno della madre resta immobile e fisso, se così possiamo esprimerci, in una perenne estasi. Ma si può pensare che riposi sereno, elevato dalla grazia e pronto ad entrare nel mondo se la mamma partorisce o in paradiso in caso di aborto.
È chiaro, comunque, come insegna il Catechismo, che il neonato va sollecitamente battezzato, anche se nasce già purificato dal peccato originale. È vero che Dio può salvare anche senza il Battesimo. Ma chi sa che occorre, deve adoperarsi a che sia amministrato. Certo non è più necessaria quella pressante premura che usava un tempo, nel timore che, se il bambino moriva, sarebbe andato nel limbo e non in paradiso. Tuttavia, la grazia battesimale, anche se interviene quando Dio ha già agito, non è certamente superflua, sia perchè comunque il comando divino di battezzare resta sempre valido e sia perché è una caratteristica dei sacramenti agire di concerto ad azioni divine equipollenti extrasacramentali.
[1]Èquella «premozione fisica»,della quale ho di recente parlato nel mio blog.
SULLA QUESTIONE DEL LIMBO, in Fides Catholica, 1, 2010, pp. 111-126