Una visione rigorista benché associata a un forte bisogno di contemplazione
Evagrio Pontico[1] è stato un grande maestro di vita monastica e fecondo scrittore ascetico del sec.IV. Egli ha esercitato un influsso enorme per molti secoli e fu apprezzato anche da Santi, come per esempio S.Basilio. Ma purtroppo, grande ammiratore di Platone, seppe assumere gli aspetti più sublimi, ma restò ingannato dal rigorismo platonico. Ci limitiamo qui ad esaminare brevemente il tema della castità.
Evagrio considera l’attrattiva e il piacere sessuale come castigo e conseguenza del peccato originale. Anzi egli crede con Origene alla preesistenza delle anime e che la stessa distinzione dei sessi sia stata voluta da Dio in vista del peccato originale.
Egli quindi confonde la semplice inclinazione sessuale con la concupiscenza. Cioè non distingue quella che è stata la reciproca attrattiva edenica («ecco finalmente la carne della mia carne») voluta e creata da Dio, quindi in sé buona, con la libidine o l’impulso quasi irrefrenabile alla ricerca smodata del piacere conseguente al peccato originale.
Merito di Evagrio è stato quello di sottolineare come la beatitudine dell’uomo sta nella visione immediata in cielo dell’essenza divina, per cui egli è un grande maestro di vita monastica e contemplativa. Egli sa bene che l’esercizio ascetico, metodico e costante dell’astinenza sessuale per spegnere il fuoco della concupiscenza, è necessario per rendere l’anima libera per una più alta intimità con Dio e per un migliore esercizio delle opere buone a servizio del prossimo.
Evagrio è le mille miglia lontano dalla vergognosa resa luterana alla concupiscenza, che lo ha portato a condannare il voto di castità come pratica contro natura col pretesto che Dio ha voluto la moltiplicazione della specie. Evagrio sa bene quanto è dura la lotta per la vittoria sulla concupiscenza e per questo nei suoi scritti ascetici appresta una serie di mezzi e di espedienti, tra cui la lotta contro il demonio, che hanno formato per secoli generazioni e generazioni di monaci all’esercizio della continenza sessuale per il regno dei cieli. Evagrio ha sotto gli occhi la bollente passione propria dei giovani e la sensualità dirompente caratteristica della razza meridionale. Egli arriva a parlare del desiderio sessuale come di vizio bestiale, di vera e propria follia e tormento continuo, quasi un’ossessione diabolica.
Non ha parole per detestarne la bassezza, sconcezza e la sporcizia, benchè sia poi costretto a riconoscere che la sua soddisfazione è condizione per la riproduzione della specie umana. Ma è chiaro che se questo scopo lo si potesse ottenere senza il piacere sessuale, così come si riproducono le piante, ciò sarebbe per lui l’ideale della purezza sessuale.
Per questo, senza mettere in discussione la sua devozione per la Madonna, la sua lode per la sua maternità vergine, per la sua purità «inviolata» e per non essere stata «toccata» o esser rimasta «integra», tale devozione non suona del tutto bene, perché sembra supporre che l’atto coniugale con relativo piacere, in vista della generazione, costituisca in qualche modo una «violazione», che il senso del tatto sia un male e che l’atto sessuale coniugale non sia una perfezione, un atto onesto e santo voluto da Dio, che attua una facoltà o potenza vitale naturale, ma al contrario sia un atto che corrompe ciò che diversamente sarebbe restato integro.
Si comprende come una sposa cristiana, nel sentire queste cose, può provare un forte scrupolo ad acconsentire al desiderio e al piacere sessuale nell’atto che la conduce a concepire un figlio, come se il caso della Madonna non sia assolutamente unico, non da imitarsi ma solo da ammirarsi. Infatti l’aver concepito da vergine non suppone affatto in Maria la benché minima disistima per il piacere dell’atto coniugale normale e comune, santificato dal sacramento del matrimonio.
Le passioni come malattie dell’anima
Ma più in radice di questa visione malevola dell’istinto sessuale, c’è l’altrettanto visione malevola, di origine stoica, delle passioni, che danno forma al medesimo istinto, considerate non come moti naturali psicologici, creati buoni da Dio, tali da rafforzare le virtù, ma come malattie o disturbi emotivi e incitamenti al peccato, da togliere, conseguenti al peccato originale, che sconvolgono l’anima, le tolgono la pace e la frenano nell’ascesa verso Dio e nell’esercizio delle virtù.
La meta da raggiungere, allora, secondo Evagrio, è quella dell’«impassibilità» (apàtheia), termine piuttosto infelice, che non ha fatto fortuna, perché estraneo sia alla sana morale che alla Scrittura, la quale non raccomanda affatto nell’uomo, animale ragionevole, quindi sessuato, l’assenza delle passioni, cosa del resto impossibile e contro natura, giacchè esse sono assenti solo nel puro spirito, ossia in Dio e negli angeli. Per questo l’impassibilità è un attributo propriamente divino. Da qui l’assurdità ed empietà di credere, come si fa oggi, riprendendo l’antica eresia dei teopaschiti, che Dio possa soffrire o adirarsi come farebbe una persona presa dalla passione.
Viceversa, bisogna dire che la persona umana non è un puro spirito, non è dotata da Dio solo di intelletto e volontà, ma anche, come gli animali, di potenze sensibili apprensive, affettive ed appetitive, le quali muovono l’istinto sessuale che crea un’attrazione reciproca fra uomo e donna. La moderata passione, insegna S,Tommaso[2], aggiunge e non sottrae alla bontà morale dell’atto, in tal caso l’unione sessuale dei coniugi, anche se non generativa.
Un atto morale retto ma freddo, frutto di puro calcolo, vale meno che un atto moderatamente appassionato. Un amore che sia frutto di una semplice decisione della volontà, per quanto onesto, vale di meno di una moderata passione amorosa, che abbia per frutto una casta unione sessuale.
Si deve combattere l’uomo carnale, ma non l’animalità dell’uomo. E l’«uomo spirituale», del quale parla S.Paolo, non è uno spirito disincarnato e asessuato, ma è la nuova coppia umana della resurrezione. Certamente il monaco mortifica l’uomo vecchio astenendosi dal sesso, e qui Evagrio ha ragione; ma Evagrio non considera che l’uomo nuovo che sorge è la nuova coppia della resurrezione.
Un nuovo concetto di castità
Il Concilio Vaticano II inaugura un nuovo concetto di castità, di orientamento escatologico. Così infatti si esprime a proposito dell’eccellenza della vita religiosa: «Lo stato religioso rende visibile per tutti i credenti la presenza, già in questo mondo, dei beni celesti, meglio testimonia la vita nuova ed eterna, acquistata dalla redenzione di Cristo e meglio preannuncia la futura resurrezione e la gloria del regno celeste»[3].
Le Costituzionidell’Ordine Domenicano recepiscono questo concetto escatologico di castità con le seguenti parole: «Casta vita quam fratres profitentur, regni Dei iam nunc praesentis validum servitium et praeclarum testimonium constituit, atque insimul peculiare signum exsistit adventuri regni celesti, in quo Christus gloriosam Ecclesiam sicut sponsam sibi ornatam exhibebit» (n.26, § III).
Evagrio concepisce la castità monastica come un problema strettamente personale di dominio o repressione dell’istinto e di come contrastare e vincere la concupiscenza ed ottenere l’astinenza. Egli, basandosi sia sulla sua esperienza che sull’insegnamento dei maestri, non ha tanto in mente un rapporto con una data donna concreta, che può essere diversa da un’altra, con qualità diverse da quelle dell’altra, sì da porsi la questione di avviare un’eventuale amicizia con questa e non con quella, ma tratta del rapporto con la donna in generale e come se tale rapporto dovesse risolversi nel problema della castità, senza interessarsi delle sue qualità intellettuali, culturali, psicologiche o morali, un po’ come si danno norme per difendersi dalle zanzare, senza badare alla differenza tra questa e quella zanzara. Fa eccezione a questo metodo il contegno di Evagrio ha verso le vergini consacrate, alle quali certo dava indicazioni morali, spirituali e formative, ma in fin dei conti anche qui tutto girava attorno al problema di insegnar loro la castità e di come il monaco deve proteggere la sua castità.
Manca del tutto in Evagrio la percezione dell’aspetto relazionale della castità, che emerge dalla spiritualità moderna ed è connessa con la consapevolezza della pari dignità di natura e di persona della donna con l’uomo. Questo concetto relazionale di castità basato sulla reciprocità uomo-donna si può ricavare dal Messaggio alle Donnedel Concilio e soprattutto dall’insegnamento dei SS.Paolo VI e Giovanni Paolo II sulla reciprocità uomo-donna.
Nel rapporto con la donna si avverte che Evagrio non si sente a suo agio, non ha il senso della reciproca appartenenza dell’uomo alla donna e viceversa. Non si lascia coinvolgere nel mondo della donna; resta al di fuori. Si nota un sottile disprezzo. È il maschio autosufficiente, che, preoccupato della propria perfezione e impassibilità, guarda con benevolenza, ma dall’alto e con diffidenza, quella donna che non è più sua compagna, «simile a me» (Gen 2,20), «carne della mia carne» (Gen 2,23), ma quella donna che mi ha fatto cadere e dalla quale devo stare alla larga.
L’Adamo dell’Eden sembra dimenticato in Evagrio e balza in lui in primo piano l’Adamo non più unito ad Eva, ma in contrasto con lei, nella quale vede un pericolo per la sua castità. Dov’è quella donna sublime ed edenica, anzi messianica, che è Maria? C’è solo Eva? Non sembra che Evagrio veda in Maria la donna, ma paradossalmente sì la Madre, ma Madre che è senza sesso. La reazione della donna oggi è sesso ma non madre.
Evagrio comprende bene che nella pratica del voto di castità la passione sessuale dev’essere estinta. Tuttavia, egli la vede con occhio così ostile, che, stando alla sua concezione della tendenza sessuale, non si vede come egli potrebbe capire il valore dell’unione sessuale fra coniugi non generativi, come espressione ed incremento del loro amore.
Evagrio non s’accorge che è Dio stesso, nel piano originario della creazione, e non la conseguenza del peccato, che accende nell’uomo e nella donna quella passione amorosa, che li spinge, col consenso della volontà, e non come dei semplici animali, l’uno verso l’altra, fino a diventare «una carne sola» (Gen 2,24). Per conseguenza, Evagrio perde di vista il fatto che l’unione dell’uomo con la donna si fonda sulla loro reciproca complementarità fisico-spirituale, ossia sulla differenza dei sessi, che è alla base delle differenze psicologiche e spirituali fra uomo e donna.
Il Concilio tra Evagrio e Freud
Oggi il messaggio ascetico di Evagrio è subissato da un ritorno torrenziale di epicureismo in veste freudiana e pannelliana, che pone a principio dell’etica sessuale il piacere, come dichiarò negli anni ’80 un gruppo di Domenicani olandesi seguaci di Schillebeeckx. D’altra parte, opporre a questa ondata di fango la dottrina di Evagrio, così apparentemente sublime, benchè essa abbia avuto successo per molti secoli, sembra provocare, per reazione, per la sua unilateralità dualistica e rigorista, l’eccesso contrario al quale assistiamo oggi.
La Chiesa si accorse che la ascetica di Evagrio, certamente rispettabile per la sua forte tensione contemplativa, come quella del suo maestro Origene, supponeva una concezione della sessualità chiusa alla prospettiva della resurrezione, in quanto infetta dalla ascesi platonica dell’anima, che mira a liberarsi dal corpo, anzichè prepararlo alla resurrezione. Per questo sia Origene che Evagrio furono condannati dal Concilio Costantinopolitano II del 553[4].
Il Concilio Vaticano II, fortemente ispirato all’istanza escatologica, ha illustrato, come abbiamo visto, questa prospettiva escatologica della sessualità umana e S.Giovanni Paolo II è proceduto anche oltre in quest’opera di chiarificazione con la sua «teologia del corpo».
Ma credo che le conclusioni cui è giunto S. Giovanni Paolo II possano e debbano essere punto di partenza per nuove ricerche ed ipotesi, al fine di riconoscere alla sessualità umana tutta la sua vera dignità e grandezza, e vorrei dire santità, secondo il dato rivelato, da contrapporre all’attuale idolatria del piacere sessuale, sganciato dalla sua finalità naturale ed escatologica, da ordinarsi a sua volta, mediante un’opportuna astinenza ascetica, al piacere spirituale finale, sommo ed incomparabile della visione di Dio.
[1]Cf Antoine Guillaumont, Un philosphe au désert. Évrage le Pontique, Vrin, Paris 2004.
[2]Summa Theologiae, I-II, q.24, a.2.
[3]Cost.Dogm. Lumen Gentium, 44.
[4]Denz.433; cf voce Evagrionell’Enciclopedia Cattolica.
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