Terminato l’anniversario del Sessantotto, tocca ora occuparsi dell’Ottantanove, anno della caduta del muro di Berlino. Prenderemo in esame la «rivoluzione di velluto», ossia il cambio di regime in Cecoslovacchia.
In quel paese, il Sessantotto (la «primavera di Praga») fu represso dai carri armati sovietici; tuttavia, le caratteristiche ancillari del movimento (sesso, droga e rock ’n roll) cominciarono a diffondersi proprio allora.
Radio Free Europe, un progetto della CIA, trasmetteva continuamente musica rock e in poco tempo nacquero diverse rock band cecoslovacche. La più nota di queste – non per meriti artistici – si chiamava The plastic people of the universe, mutuando il nome da una canzone (Plastic people) di Frank Zappa. Attorno alla band si radunò un insieme di giovani dediti al sesso libero, alla droga e all’ascolto di musica rock statunitense. Uno di questi era Vàclav Havel, rampollo di una famiglia ricca ed influente che passava il tempo scrivendo testi teatrali dell’assurdo.
Nell’aprile del 1968 Havel fece un viaggio di sei settimane negli Stati Uniti. Le biografie sono stranamente reticenti a questo proposito e restano in sospeso diverse domande: qual era lo scopo del viaggio? Chi lo ha pagato? Come ottenne il permesso di espatrio? In cambio di cosa?
In seguito a questo viaggio Havel lasciò Praga per trasferirsi in una dacia a Hrádeek. Per l’occasione, la costruzione venne ingrandita (con l’aggiunta di diverse stanze) e dotata di ogni comfort (riscaldamento centralizzato, acqua calda…); il nullafacente Havel si comprò anche un impianto hi-fi di altissimo livello e una Mercedes nuova. La dacia di Havel ospitò per lungo tempo continue feste con una lunga lista di ospiti che condividevano alcol, droga e il letto.
Nel 1974 Havel fece sapere a tutti i conoscenti di non avere più soldi e andò a lavorare (in Mercedes), come operaio, in un birrificio a Trutnov (a circa dieci chilometri da Hrádeek). Vi lavorò meno di un anno, giusto il tempo di avere qualche fotografia con un sacco di cereali sulle spalle.
Tra il 1975 e il 1976 alcuni polacchi compilarono il documento intitolato Listu 59 o Memorial 59 (Lettera 59, in italiano); con questo documento gli estensori chiedevano al regime sovietico di adottare quanto previsto nell’atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa1 (Helsinki, 1975) che prevedeva il rispetto dei diritti umani.
Anche in Cecoslovacchia fu redatto un documento simile, Karta 77; Havel era uno dei firmatari. Un punto originale, rispetto al documento polacco, è l’esplicito riferimento ad un processo a carico dei Plastic people per «disturbo organizzato della pace»: «L’esercizio del diritto di “comunicare, ricevere e diffondere informazioni e pensieri di ogni tipo senza limitazioni, sia in forma orale, scritta o stampata” oppure “per mezzo dell’arte” […], viene perseguito non solo sul piano extragiudiziale, ma anche su quello giuridico, spesso con la copertura dell’imputazione penale (come dimostrano fra gli altri i recenti processi contro giovani musicisti)». Il documento (che in patria non ebbe alcuna eco) fu pubblicato in contemporanea dal Frankfurter Allgemeine Zeitung, dal Corriere della Sera, dal Times di Londra e da Le Monde in Francia; evidentemente gli estensori di Karta 77 godevano di ottime amicizie. Ma chi erano i responsabili di questo documento? Dei primi 217 firmatari, 156 erano ex membri del Partito Comunista. Una dissidenza piuttosto strana.
Nell’ottobre del 1978 Havel scrisse un secondo testo destinato ad avere successo in Occidente (ma non in Cecoslovacchia): Il potere dei senza potere2. Si tratta di un testo piuttosto confuso ispirato a Vivere senza menzogna3, scritto da Alexander Solženicyn qualche anno prima.
Nello stesso anno il finanziere George Soros creò una fondazione denominata Charta 77; pose la sede della fondazione a Stoccolma e costituì del comitati a Praga, Brno e Bratislava finanziandoli con un milione di dollari4. Lo scopo della fondazione era l’appoggio della dissidenza ceca.
Nel maggio del 1979 Havel venne arrestato. Durante i primi giorni di prigionia, nel corso di un colloquio con la moglie, disse: «Gli darò cinque anni della mia vita, ma non un giorno di più»5. Cosa significa? C’era dunque un accordo tra Havel e il regime? Qual era la contropartita di cinque anni di vita? E come poteva Havel conoscere la durata della sua detenzione? In carcere Havel scrisse decine di lettere alla moglie6, migliorò il suo inglese e imparò il tedesco. Nel febbraio 1983 fu rilasciato.
Da quando uscì di galera, Havel ebbe una vita piuttosto intensa: ricominciò con i party, si comprò un’auto nuova (VW Golf argentata), rilasciò numerose interviste con media occidentali (tra i primi, il solito Le Monde), ampliò la propria collezione d’arte moderna. Ripartì anche la sua vita sessuale: tornato a vivere con la moglie Olga, ebbe una relazione stabile con la psicologa del carcere, Jitka Vodňanskă; e ricominciò a frequentare Anna Kohoutovă, moglie di Pavel Kohout, amico di Havel e firmatario del Karta 77. L’anno seguente Jitka restò incinta e scrisse a Olga, dichiarando il suo amore per Vaclav e chiedendole di farsi da parte; Olga rispose proponendo un ménage a trois (in realtà, almeno a quatre). Visto il disinteresse di Havel per la gravidanza, Jitka decise di abortire.
Arrivò l’anno 1989. Nella primavera il regime sovietico in Polonia era praticamente finito; il 9 novembre «cadde» il muro di Berlino. La Fondazione Charta 77 – per usare e parole di Soros – «entrò in funzione in Cecoslovacchia armata come Pallade Atena»7. Cosa significa?
Vediamo i fatti.
Il 17 novembre il movimento studentesco Stuha (nastro) organizzò una manifestazione per commemorare il cinquantesimo anniversario della chiusura dell’università di Praga da parte dei nazisti. La cosa strana è che Stuha era stata fondata soltanto qualche mese prima. Comunque sia, quando la manifestazione era in procinto di sciogliersi, la polizia cominciò senza alcun motivo apparente a manganellare gli studenti. In seguito Ludvík Zifčák, membro del partito e funzionario della polizia politica, dichiarò di aver agito come infiltrato nel corso della manifestazione del 17 novembre; e che sia la manifestazione che gli eventi successivi furono gestiti dalla polizia politica.
Il 18 novembre si diffuse la voce che uno studente, Martin Šmid, era rimasto ucciso durante gli scontri; Radio Free Europe trasmise la notizia, dandole diffusione e credito. La voce aveva cominciato a circolare durante la manifestazione: alcuni studenti dichiararono di aver visto portare via il corpo senza vita di Šmid (in realtà avevano visto trascinare Zifčák, che aveva orchestrato la messinscena). La popolazione di Praga cominciò a deporre fiori sul luogo della presunta morte dell’inesistente studente.
Nei giorni successivi si moltiplicarono le manifestazioni pubbliche e gli scioperi; nel corso di una di queste manifestazioni, per la prima volta, il semi-sconosciuto Havel parlò in pubblico.
Inopinatamente e a sorpresa, sabato 25 novembre il Primo Segretario del Partito Comunista Cecoslovacco Miloš Jakeš rassegnò le dimissioni insieme a tutta la dirigenza del Comitato Centrale del Partito.
Il 10 dicembre venne varato un «governo di intesa nazionale», il primo dopo l’era sovietica; presidente del consiglio fu Marián Čalfa, esponente di spicco del Partito Comunista.
Il governo intraprese immediatamente una serie di riforme economiche che andavano dalla massiccia privatizzazione alla totale liberalizzazione dei prezzi. Queste politiche portarono, ovviamente, ad una forte inflazione e ad una enorme disoccupazione; non mancarono anche episodi di truffe finanziarie ai danni dei cittadini e acquisti di beni ex pubblici con denaro di provenienza perlomeno dubbia.
L’artefice di queste riforme fu il «Chicago boy» Václav Klaus, economista ultraliberista che, nel governo Čalfa, svolse il ruolo di ministro delle finanze. Klaus aveva uno sponsor d’eccezione: Rita Klímová. Costei era una economista ebrea newyorkese, militante trotzkista; nel 1946 si trasferì a Praga con la famiglia per contribuire alla rivoluzione; dopo l‘Ottantanove divenne ambasciatrice della Cecoslovacchia negli Stati Uniti. Fu lei a coniare l‘efficace locuzione «rivoluzione di velluto» che designa la fine del regime sovietico in Cecoslovacchia8. Fu lei a costruire il personaggio Havel.
Fu merito di Rita Klímová se lo sconosciuto Vàclav Havel divenne il primo Presidente della Cecoslovacchia libera. Di Rita Klímová e di George Soros, se è vero quanto lui stesso scrive: «eravamo tutti d‘accordo [Soros, Čalfa e altri] sul fatto che era imperativo che Vaclav Havel fosse eletto presidente dall’attuale parlamento con il timbro di gomma»9.
In effetti, Havel fu insignito della Presidenza della Repubblica durante un incontro privato con Čalfa; in seguito il parlamento («con il timbro di gomma») si limitò a ratificare la scelta10.
L’influenza di Soros si limitò all’elezione di Havel? Non lo sappiamo. Quello che sappiamo è che Havel, in seguito, divenne membro di numerose organizzazioni finanziate da Soros o a lui strettamente legate: divenne membro del consiglio d’amministrazione della Drug Policy Alliance, che si prefigge la liberalizzazione delle droghe; membro del Club di Madrid, che ha lo scopo di «diffondere la democrazia»; presidente onorario di Freedom Now, legata al Council on Foreign Relations; nel 2004 ha ricevuto il «Civil Society Vision Award» dell’American Friends of the Czech Republic (una creatura del National Endowment for Democracy); nel 2007 ha ricevuto la «Democracy Service Medal» del National Endowment for Democracy.
Fu un presidente decisamente sessantottino. Uno dei primi atti da presidente fu un’amnistia generale; nel giro di pochi mesi il numero dei reati raddoppiò, così come gli omicidi.
Fece appendere all’esterno del castello presidenziale (che adattò completamente alle proprie esigenze) un enorme neon rosso a forma di cuore; ed era solito spostarsi all’interno dell’edificio con un triciclo per bambini. Lì continuò la sua (costosa) vita fatta di alcol, droga, adulteri11 e stravaganze. Nel giro di poco tempo, da presidente, invitò a Praga tutti i suoi riferimenti: Lou Reed, i Rolling Stones, Paul Simon, Frank Zappa, Bob Dylan e Joan Baez. Quando Clinton venne in visita ufficiale nella Repubblica Ceca, Havel gli chiese di esibirsi al saxofono in un jazz club della città.
Havel morì il 18 dicembre 2011. Nonostante non fosse credente e rifiutasse i sacramenti nelle sue ultime ore, ebbe un funerale cattolico12.
Cosa fu, dunque, la rivoluzione di velluto? Un movimento spontaneo popolare? Oppure un cambio di regime gestito dal potere sovietico e dall’Occidente con la regia di George Soros?
Nella Repubblica Ceca e in Slovacchia molti sono convinti di questa seconda risposta; e chiamano la rivoluzione di velluto (sametová revoluce) sametový podvod, truffa di velluto.
1 Tra i frutti della Conferenza di Helsinki va ricordata la nascita di Human Rights Watch, una delle associazioni finanziate da George Soros.
2 Václav Havel, Il potere dei senza potere, Garzanti, Milano 1991.
3 Alexander Solženicyn, Vivere senza menzogna, Mondadori, Milano 1974.
4 George Soros, Underwriting democracy, Public Affairs, New York 1991, p. 26.
5 Michael Zantowsky, Havel. A life, Grove Press, New York (NY) 2014, p. 215.
6 Vàclav Havel, Lettere a Olga, Santi Quaranta, Treviso 2010.
7 G. Soros, Underwriting democracy, op. cit., p. 26.
8 È probabile che si sia ispirata a uno dei gruppi preferiti da Havel, i Velvet Underground.
9 G. Soros, Underwriting democracy, op. cit., p. 27.
10 «Era un parlamento così abituato a prendere ordini che avrebbero eletto Dracula, se gli fosse stato detto dal governo» (M. Zantowsky, Havel. A life, op. cit., p. 313). Il progetto era ancora più lungimirante: Havel sarebbe stato Presidente fino alle elezioni; dopodiché il posto sarebbe toccato ad Alexander Dub
ek, protagonista della «primavera di Praga».
11 Una delle sue amanti, durante la presidenza, fu l’attrice Dáša Veškrnová che sposò nemmeno un anno dopo la morte di Olga.
12 Nonostante Havel non fosse cattolico, molti sono convinti che lo fosse; qualcuno sostiene persino che sia stato battezzato dal cardinale Scola. Non ho trovato alcuna traccia di queste notizie.