Stiamo vivendo un’epoca del Papato quale mai si è verificata in tutta la storia della Chiesa. Appare sempre più chiaramente, per quanto il fatto sembri sconvolgente ed inaudito, che la Chiesa oggi è turbata proprio da colui che in essa ha da Cristo l’ufficio di guidarla nella pace: il Sommo Pontefice. Il fatto nuovo, che mette a dura prova la fede dei cattolici, è che essi faticano enormemente a riconoscere in questo Papa il Vicario di Cristo, il Successore di Pietro, il maestro della verità evangelica.
Per questo, essi si trovano a dover affrontare questa angosciosa alternativa: o questo è vero Papa; ma allora come mai sembra non confermare, ma anzi far deviare i fratelli, se è vero che Cristo ha comandato a Pietro confirma fratres tuos; oppure Cristo ci ha ingannati, e allora spiega l’indegnità di questo Papa.
Ora, però, sarebbe blasfemo credere che Cristo ci abbia ingannati[1]. E dunque occorre ammettere, nonostante tutto, che Francesco conosce e ci insegna il sentiero della verità. Non è quindi lecito credere, come osano alcuni, che un Papa possa essere volontariamente eretico o si sbagli o ci inganni nella conoscenza e nell’insegnamento ordinario del Vangelo, salvo che non sia colto da infermità o agisca per paura, perché minacciato. Nel qual caso non risponde di sè ed è scusato, e non bisogna tener conto di quello che dice, ma semmai compatirlo.
Ora, una cosa è che il Papa sia maestro nella fede, ed altra cosa è che egli ci guidi effettivamente su questo sentiero. È questo il punto. Egli ha quanto meno la facoltà di farlo. Ma lo sta facendo? Francesco sta mettendo in pratica la verità che predica? La fa mettere in pratica? Ci aiuta a metterla in pratica? Castiga o corregge coloro che la falsificano o non la mettono in pratica? È sempre chiaro e limpido in quello che dice o a volte è ambiguo o reticente? È questo il punto.
Si tratta di un punto di vista morale,non dottrinale. Benché infatti il linguaggio tocchi la dottrina, nella quale Francesco non sbaglia, tuttavia l’uso della parola è un atto morale connesso con la virtù della prudenza e della giustizia, ed è qui che Francesco manca. Egli non è eretico, ma talvolta è ambiguo nel parlare e negligente nell’insegnare tutta la verità del Vangelo. Nonostante tutto il suo attivismo, non sempre mostra amore vero per la Chiesa ed attenzione alle sofferenze che le procura, ma sembra tendere ad una forma di autoaffermazione nel mondo.
Un Papa non può sbagliare nella conoscenza della verità del Vangelo. Ma, pur conoscendo la verità, può condurre fuori strada, perché non la applica nella pastorale e nella prassi. Per questo, come hanno osservato alcuni Cardinali, Francesco non sembra essere capace di governare la Chiesa.
Diciamo peraltro che finora, accanto a molti Papi Santi, abbiamo avuto Papi con ogni genere di vizi: ambizione, nepotismo, simonia, imprudenza, infedeltà, prepotenza, ipocrisia, avarizia, sete di dominio, crudeltà, astuzia, lussuria, ignavia, viltà, disonestà. Ma non era mai capitato un Papa che, talvolta, anzichè illuminare, chiarire, e spiegare le verità di fede o risolvere i dubbi, taccia alcune verità di fede, lasci correre le eresie, confonda le idee sulla fede, dia scandalo per certe sue affermazioni dottrinali, o che appaia eretico.
L’inerrabilità di fatto dei Papi nel corso della storia è sempre stato un forte argomento apologetico, per dimostrare la validità della promessa fatta da Cristo a Pietro e ai suoi Successori. Solo gli eretici, come per esempio Lutero, hanno preteso di respingere il Papato da loro accusato di eresia.
La cosa che colpisce in questa situazione è però il fatto che il Papa attuale riscuote in certi ambienti, anche al di fuori della Chiesa, un grande successo. C’è chi lo considera l’autore di una «svolta epocale» (Card. Parolin), chi lo vede come un grande riformatore e profeta (massoneria), pastore esemplare (Card. Ouellet), Papa «rivoluzionario» (Spadaro), colui che finalmente ha introdotto la libertà nella Chiesa (Radcliffe), ha svecchiato il concetto della famiglia (Grillo), propone un nuovo concetto della verità (Scalfari), esalta il primato della coscienza (Sosa), ha fatto la pace con i luterani (Card. Kasper), con gli ortodossi (Melloni), con gli omosessuali (Martin), con i comunisti (Sorondo) e con gli islamici (Al-Azar), il Papa della misericordia (Cantalamessa), il grande realizzatore del Concilio (La Valle), liberatore dei popoli e leader della sinistra internazionale (Maduro), avvocato degli immigrati (Boldrini).
Ma, se valutiamo oggettivamente, spassionatamente e puntualmente i fatti reali, senza paraocchi e senza mire terrene, ma badando solo alla salus animarum, agli interessi della Chiesa ed a quello che dev’essere l’ufficio del Papa, gli insegnamenti, la condotta morale e il modo di governare la Chiesa e di rapportarsi col mondo moderno propri di questo Papa, alla luce del Magistero della Chiesa e della sana ragione, ci accorgeremo che tutte queste lodi non sono fondate e disinteressate, ossia del tutto basate su retti criteri di giudizio, ispirati al Vangelo e alla sana ragione, ma riflettono per lo più criteri mondani o modernistici e comunque estranei al cattolicesimo, e quindi interessi terreni, soggettivi o di parte o di potere o di prestigio, quando non si tratta di più basse voglie, che è meglio non specificare.
In questo clima drammatico di grave disagio, smarrimento e divisioni interne Mons. Viganò ha recentemente reso noto al pubblico, sotto giuramento, un dettagliato memoriale, con il quale ha ritenuto di dover rivelare, auspicando una adeguata purificazione, l’esistenza annosa, finora tenuta celata al largo pubblico, nella Chiesa, di una gravissima e diffusissima corruzione sessuale in atto o pregressa non solo nel clero, ma anche ai vertici della Chiesa, coinvolgente addirittura la responsabilità del Papa in persona, con coperture, omertà, complicità, favoreggiamenti e connivenze, alle quali non si è posto rimedio.
È altresì nota la richiesta fatta al Papa da Mons. Viganò di dare le dimissioni, come segno di buon esempio, così come devono farlo e lo stanno facendo i prelati maggiormente implicati nello scandalo, i quali hanno taciuto, favoreggiato o coperto.
Questa richiesta, secondo me, non va intesa, come interpreta il Card. Müller nell’intervista concessa ad Andrea Tornelli[2], come «messa in stato di accusa», ossia come atto di carattere giuridico, dato che Mons. Viganò, come ex-Nunzio, sa benissimo che il diritto canonico non consente di muover causa al Papa, poiché egli, come Capo della Chiesa, non può esser giudicato da nessuno (can. 1404).
Il tono delle parole di Viganò nei confronti del Papa non è quello di chi si pone sul piano dei rapporti di giustizia penale e chiede che sia fatta giustizia, perché chi dovrebbe far giustizia è proprio, nell’ipotesi, il reo che dev’essere giudicato, ossia il Sommo Pontefice, cosa che, come ho detto, è vietata dal diritto canonico.
Viganò, anche per il recente esempio di Benedetto XVI, sa benissimo che se il diritto prevede la possibilità che un Papa dia le dimissioni, queste devono essere decise liberamente dallo stesso dimissionario. Ed immagino che egli abbia pensato che, se ha dato le dimissioni un degnissimo Papa come Benedetto, a ben maggior ragione dovrebbe farlo Papa Francesco.
Quindi, se è vero che nessuno può mettere in stato d’accusa un Pontefice, non è vero, come dice il Card. Müller, che Viganò neppure abbia il diritto morale di chiedere a un Papa di dimettersi, perché un Papa può benissimo dimettersi, se accetta l’invito. In linea di principio può farlo benissimo; starà poi al Papa accettare o non accettare.
Non serve, quindi, fare un dramma su Viganò per la semplice sua richiesta. Potrà essere discutibile o anche inopportuna; ma nessuna disposizione canonica impedisce di farla, perché nel caso di Viganò si è trattato di una richiesta morale di ravvedimento da fratello e fratello.
Egli infatti – come appare evidente da tutto il tono dello scritto – non è stato mosso tanto dal voler far giustizia, quanto piuttosto da una grande caritàper laChiesa,per il Papae per le anime. Semmai si potrebbe tentare di indurre il Papa al ravvedimento, per un’altra via, per esempio più sullo stile cateriniano dell’esortazione o della supplica.
È chiaro che per i modernisti e gli adulatori del Papa, Francesco, giudicato pastore esemplare, grande profeta e riformatore, rivoluzionario ed iniziatore di una svolta epocale, parlare, per il Papa, di «ravvedimento» è un’offesa. Gli altri devono ravvedersi, ma non lui.
Ma qui non ci siamo. I suoi discorsi e le commissioni per decidere le misure da prendersi contro la pedofilia, che dimenticano tra l’altro la sodomia, sono certo bei discorsi e belle commissioni. Ma non bastano. Occorre che Francesco mostri segni concreti di non voler più dar corda ai corrotti, e soprattutto di avviare una riforma degli studi ecclesiastici, che offra ai seminaristi e al clero una vera spiritualità sacerdotale, fedele al Magistero della Chiesa, all’esempio dei Santi e libera dall’influsso modernista e rahneriano[3].
[1]Il Padre Sosa direbbe: dato che mancava il registratore, non sappiamo bene che cosa abbia detto esattamente Gesù.
[2]Del 27 novembre scorso su Vatican Insider.
[3]Un esempio di ottimo preventivo ed efficace medicina contro la corruzione sessuale del clero è offerto dagli Atti del convegno teologico, che i Francescani dell’Immacolata organizzarono a Firenze nel 2009: Il sacerdozio ministeriale. “L’amore del Cuore di Gesù”, a cura di Serafino Lanzetta e Stefano Manelli, Casa Mariana Editrice, Frigento (AV) 2010.