Quel grand’uomo che fu il cardinal Caffarra, poco prima di morire ha dichiarato, quasi come un lascito testamentario, che solo un cieco può negare che ci sia un profondo caos nella Chiesa. Purtroppo i ciechi abbondano, e non essendo ciechi per disfunzione ottica ma per scelta, sono difficilmente curabili. Anzi, sono destinati a diffondere la cecità, sotto forma di ignoranza affettata, sapientissimi sofismi, sillogismi indebiti, chiacchiere inutili e interminabili, veri e propri imbrogli, e slogan vari con un identico mantra di sottofondo: ora va meglio di prima!
Se uno fa notare loro che non si hanno più figli, ci si sposa sempre meno (specie in chiesa), i matrimoni si concludono spessissimo in separazioni e divorzi, c’è chi vuole sposarsi colle bestie e tutto il resto, costoro citano il fatto che nell’Ottocento molti matrimoni erano combinati e quindi il peggioramento non c’è.
Se uno osa sommessamente richiamare alla mente il dilagare della ‘cultura di morte’ (Giovanni Paolo II), della ‘dittatura del relativismo’ (Benedetto XVI) e il fatto – spaventoso e raccapricciante – che l’ateismo è la nuova religione dei millennials, costoro blaterano che nel medioevo si andava a messa senza capirci molto, o che negli anni ’50 la fede era più una convenzione che una convinzione.
Se uno critica il Capo Supremo della Compagnia di Gesù, che non esattamente è un curato di campagna, secondo cui non avendo il registratore con incise le parole del Messia, è lecito dubitare dei suoi insegnamenti (ed il fatto che NESSUNO lo abbia smentito…), ecco che s’odono i ritornelli sullo Stato pontificio, le crociate, la caccia alle streghe, l’inquisizione, i silenzi di Pio XII, e tutte le abituali menzogne razionaliste e illuministe (su cui, cf. Rodney Stark, False testimonianze. Come smascherare alcuni secoli di storia anticattolica, Lindau, 2016).
Il pesce puzza dalla testa. E anche la Chiesa è infettata soprattutto nelle guide e nei pastori, più che nel gregge. Vescovi senza Dio, preti senza Dio, teologi senza Dio (o ateologi) fanno strage delle anime che dovrebbero invece edificare, con la parola e con l’esempio, con le prediche, con gli scritti e tutto il resto.
Nell’ambito della teologia cattolica però ci sono voci più o meno solitarie – e dunque profetiche – che si sono levate, si levano e si leveranno per denunciare i misfatti, segnare la via, illuminare la notte del pensiero e della fede (cf. Mons. Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica scienza della fede da un’equivoca filosofia religiosa. Con una nuova Appendice sugli Equivoci della teologia morale dopo la Amoris Laetitia, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma, 2018, pp. 418, euro 25).
Tutta l’opera di restaurazione dell’intelligenza della fede portata avanti da mons. Antonio Livi può compendiarsi nel seguente passaggio tratto dal suo poderoso manuale, appena giunto alla quarta edizione: “Nulla vieta dunque che la teologia sacra cerchi la qualità epistemica di una vera e propria scienza, senza perdere alcunché del suo carattere sapienziale e della sua intrinseca connessione con la vita di fede della Chiesa e con la vita contemplativa” (p. 62).
Ogni parola qui dovrebbe essere opportunamente soppesata e meditata a dovere.
Non si parla di teologia, e ancora meno di teologie al plurale o al genitivo, ma di sacra teologia. E’ sacro ciò che è connesso col divino, col sovrannaturale e con gli effetti di Dio in noi. Come i sacramenti. E’ stato un grave errore, dopo la svolta conciliare, quello di rinominare le Sacre Congregazioni Romane, in Congregazioni punto e basta. Perfino la Suprema Congregazione per la dottrina della fede è stata desacralizzata. Dalla Sacra Congregatio, alla Congregazione sic et simpliciter: idem per il Clero, i Sacramenti e il Culto divino, etc.
Paura del sacro o sanctofobìa? Non è da escludersi, visti i tempi e soprattutto la volontà di seguirli più che di condurli. Poi l’associazione legittima, fatta con naturalezza da Livi, tra scienza e fede, fides et ratio: né fideismo emotivo o biblicistico, né razionalismo scettico e anti-mistico.
L’Angelo della teologia cattolica, in quel documento incomparabile che è la Summa theologiae, se lo chiedeva sin dal secondo articolo della prima parte: Utrum sacra doctrina sit scientia, che nella nuova traduzione dei domenicani di Bologna, suona così: La dottrina sacra è una scienza?
La risposta di Tommaso è secca e non ammette repliche: “La dottrina sacra è una scienza. Bisogna sapere però che vi è un doppio genere di scienze. Alcune procedono da princìpi noti attraverso il lume naturale dell’intelletto, come l’aritmetica e la geometria; altre invece procedono da princìpi conosciuti alla luce di una scienza superiore (…). E in questo modo la dottrina sacra è una scienza: in quanto poggia su princìpi conosciuti alla luce di una scienza superiore, cioè della scienza di Dio e dei beati” (ST q. 1, a.2).
Ovviamente se si predilige Lutero, Walter Kasper o Karl Rahner a san Tommaso, allora il discorso è diverso, molto diverso.
Il manuale di Livi, consigliabile a tutti i docenti e a tutti gli studenti e gli studiosi della Rivelazione cristiana e delle sue implicazioni, mostra e dimostra questo: non c’è separazione tra fede e ragione, tra scienze empiriche e scienze teologiche, ma solo legittima distinzione di ambiti. La fede senza la ragione è del tutto impossibile, e solo l’intelletto che conosce può aderire a Dio e ai suoi misteri. Esattamente nella linea dell’enciclica Fides et ratio, ispirata da Livi e di cui commemoriamo quest’anno il quinto lustro di pubblicazione. In uno dei passaggi più alti del magistrale documento, Giovanni Paolo II osservava che “Pur sottolineando con forza il carattere soprannaturale della fede, il Dottore Angelico non ha dimenticato il valore della sua ragionevolezza; ha saputo, anzi, scendere in profondità e precisare il senso di tale ragionevolezza. La fede, infatti, è in qualche modo ‘esercizio del pensiero’ (n. 43, corsivo mio).
Se a livello morale, i nuovi teologi (im)moralisti aderiscono senza patemi d’animo alle aberrazioni della contemporaneità è perché, a priori, hanno scartato l’idea di una verità fissa e immutabile, e credono o meglio fingono di credere che “La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l’uomo stesso, poiché si evolve con lii e per mezzo di lui” (Decreto Lamentabili, LVIII proposizione condannata).
Primi da Livi, un teologo che seppe unire vita attiva e vita contemplativa (e persino mistica), ricerca scientifica del dogma e sensus fidei, fedeltà inconsunta alla Tradizione e apertura alle istanze critiche della modernità, fu padre Réginald Garrogou-Lagrange. Il quale infatti, nelle sue opere e nella sua immensa opera, fu tanto profondo e minuzioso nell’analisi quanto elevato e fluido nella sintesi e nella lotta per la verità una. Non a caso, il carmelitano Joseph de Sainte Marie parlando di lui all’Angelicum per il ventennale della sua morte disse che “Senza un solido fondamento teologico, la spiritualità è esposta a tutte le deviazioni”. Ma anche la fede, senza un solido fondamento dogmatico, è esposta a tutte le deviazioni.
Don Antonio Livi è stato il Garrigou-Lagrange del XXI secolo. Riprendendone il flambeau e lo stesso apostolato della docenza come stile di vita, ha portato avanti il medesimo testimone, dalla pia morte del domenicano francese (1964) ad oggi. E questa associazione tra valorosi della Chiesa e del pensiero, è il più bel complimento che vogliamo fargli.