Filippo Di Giacomo per il Venerdì – la Repubblica
Il 6 ottobre, a Melbourne, inizierà il processo a carico del cardinale George Pell. In Curia, viene ancora chiamato “il ranger”, “lo zar” e, meno amabilmente, “il canguro”. In poco più di tre anni, Roma ha ridotto in polvere una storia personale tra le più insigni della Chiesa australiana e, suo malgrado, lo ha costretto a diventare il protagonista dell’ ultima battaglia della ventennale contesa tra l’ Armageddon-sistema mediatico anglosassone e la Chiesa Cattolica.
In Australia, invece, l’ opinione pubblica cattolica è convinta della sua innocenza e con una sottoscrizione sta generosamente finanziando le spese legali per la sua difesa. Tuttavia, quanti scommettono sul suo onore (è accusato di abusi commessi negli anni Settanta quando era vescovo di Ballarat), conoscono bene la sua irrefrenabile abitudine ad affrontare persone e problemi «come un elefante».
Una caratteristica giudicata odiosa dai non cattolici australiani, ma considerata una lodevole qualità dai fedeli di Roma. Per mantenere questa non immeritata fama il 25 luglio, nonostante non fosse tenuto, si è presentato, a muso duro, davanti alla Magistrate Court (una corte “inferiore”, equivalente alle nostre vecchie preture) e ha fatto sapere che «a scanso di equivoci» si dichiarava «non colpevole di tutte le accuse contestategli».
E che queste fossero inconsistenti è apparso chiaro l’ 8 settembre quando il tribunale ne ha consegnato agli avvocati difensori una sintesi. Gli accusatori (e gli avvocati) appartengono a quella compagnia di giro che ha già portato uomini e donne di Chiesa (il 96 per cento delle volte, senza giusta causa) davanti ai tribunali di Inghilterra ed Irlanda. E se non ci fossero state le polemiche e i veleni che la sua avventura romana ha coagulato contro la sua persona, il cardinale Pell forse avrebbe affrontato questa disavventura senza dover diventare la caricatura che gira sul web.
Quando agli inizi di giugno il porporato, dopo la notizia della chiamata in giudizio, si è presentato a papa Francesco con la lettera di dimissioni dall’ incarico di prefetto della Segreteria per l’ Economia, il Pontefice gli ha prontamente risposto: «Non accetto le tue dimissioni. Fino a quando i giudici non si pronunceranno, tu per me sei innocente». Di conseguenza gli incarichi che aveva in Curia (prefetto della Segreteria per l’ Economia, membro del C9, il consiglio di cardinali per riforma della Curia Romana) sono stati congelati.
Ora che il processo appare per quello che è, probabilmente Pell tornerà a Roma. E a quanti allora papa Francesco presenterà i suoi ormai famosi conti?
vedi anche:
http://www.campariedemaistre.com/2017/09/si-sgretolano-le-accuse-contro-pell.html