E’ difficile barcamenarsi tra quanti accusano la Chiesa di interferire nella politica, quando degli ecclesiastici intervengono nel dibattito pubblico, e quanti, a seconda di ciò che viene detto, esultano se gli interventi ecclesiastici vanno nella direzione del pensiero dominante.
La chiesa deve intervenire nel dibattito politico, sì o no?
La risposta secca sembrerebbe la più logica, ma evidentemente non lo è. E’ solo semplicistica e rozza.
Perchè sappiamo dal Vangelo che occorre “dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio“. E questo significa che quando una materia è di competenza di Cesare, coloro che rappresentano Dio devono guardarsi bene dal manifestare il loro parere, perchè esso apparirebbe, appunto, come il “parere” di Dio.
Il fedele sente nel suo cuore che quando la Chiesa parla, è perchè la legge di Dio lo esige; e sente egualmente, che quando la chiesa tace,
è perchè tocca a Cesare parlare. Per questo si scandalizza quando la Chiesa tace, mentre dovrebbe parlare, ed anche quando parla, e con notevole insistenza, mentre dovrebbe tacere.
Nella storia della Cristianità gli scontri tra Papato e Impero ci insegnano tante cose. Anzitutto che potere religioso e potere secolare hanno il compito reciproco di richiamarsi l’un l’altro alla propria missione. In innumerevoli occasioni, infatti, la Chiesa ha limitato la propensione alla tirannide dei sovrani. A partire dai cristiani che si rifiutavano di bruciare incenso davanti alle statue degli imperatori e dal famoso scontro tra Ambrogio e Teodosio, è stata la Chiesa a permettere che i sudditi diventassero cittadini, cioè soggetti di diritti che lo stesso Stato doveva riconoscere.
Infatti, se Cesare non è Dio, se lo Stato non è onnipotente, ma sottomesso egli stesso ad una legge che lo supera e lo trascende, allora tutti vanno garantiti nei loro diritti naturali, anche davanti allo Stato. Si pensi a tal riguardo all’importanza della dottrina cattolica del tirannicidio, formulata da Giovanni di Salisbury e ripresa nel corso dei secoli: il fatto che i teologi dichiarassero lecito il tirannicidio di un sovrano divenuto crudele e nemico del bene comune, rendeva chiara la natura non divina e non assoluta del potere stesso.
Ancora nel Novecento, gli attentatori cattolici di Adolf Hitler si richiameranno a questa dottrina.
Se la Chiesa ha spesso impedito al potere secolare di esondare al di là dei propri limiti, analogamente alcuni sovrani cattolici nel corso della storia hanno talora lottato per evitare che lo spirito mondano allontanasse uomini di Chiesa dalla purezza del loro compito e che, con la scusa di servire Dio, venissero invece nutriti orgoglio, interessi personali, cupidigie di vario genere. Ci sono stati Cesari che hanno violato la legge di Dio e sono incorsi nelle ire dei pontefici, e papi che hanno scandalizzato per la loro smania di mondanità o per i loro interventi inopportuni.
Per venire ai tempi più recenti, la Chiesa ha condannato, prima e più di tutti, comunismo, razzismo, nazionalismo e nazionalsocialismo. Proprio cent’anni orsono, nel 1937, l’enciclica Mit Brennender sorge metteva i tedeschi in guardia contro il panteismo razzista e neopagano promosso da Hitler e dai suoi accoliti. Qualche decennio dopo troviamo cardinali, vescovi, sacerdoti, dall’Ungheria alla Polonia, opporsi sino al sangue alla dittatura comunista, laddove Cesare si faceva Dio e pretendeva di imporre a tutti un dominio totalitario.
Il Novecento, il secolo più violento della storia, è stato segnato proprio dal rinnegamento di Dio e dall’assolutismo di Cesare, via via promotore di varie forme di idolatria secolare: l’idolatria dello Stato, del Partito, della Nazione, della Classe, della Razza…
Arrivando ai nostri giorni, molti papi, sino a Benedetto XVI si sono opposti all’aborto (in quanto uccisione di un innocente), al divorzio, al suicidio assistito, alla clonazione umana, all’utero in affitto, alle pratiche di fecondazione artificiale con annessa uccisione di embrioni umani… Sempre, di fronte a queste posizioni, la cultura laica ha alzato le barricate, ricorrendo ai ripetitivi slogan contro le “ingerenze ecclesiastiche”. Ma il cattolico ha visto in quegli interventi, sofferti, difficili, controcorrente, la voce del Dio che ricorda all’uomo la sua legge d’amore e che difende “l’orfano e la vedova“, il povero ed il debole. Quale “povero più povero del bambino nell’utero materno”, si chiedeva infatti Santa Teresa di Calcutta, riferendosi all’aborto.
Cosa guadagnavano i papi del passato dalla difesa dei “principi non negoziabili”? Gli insulti dei grandi giornali e dei poteri mondani, la rabbia di Cesare.
Da un po’ di tempo a questa parte, però, e qui sta l’attualità di questa mia riflessione, le cose sono cambiate. L’espressione “principi non negoziabili”, così intimamente connessa alla difesa della persona umana e del progetto divino su di essa, è stata archiviata, ma molti ecclesiastici, prima silenti, hanno cominciato a parlare e a proporre, di fatto, nuovi e personali principi non negoziabili. Di qui gli interventi continui per pronunciarsi, anche con molta superficialità, su questioni ambientali complesse e controverse; per prendere posizione sulla bontà o meno delle trivelle in mare; per dire la propria riguardo a fatti opinabili…
Di qui anche il silenzio assordante, oppure le dichiarazioni ambigue e pilatesche, ogni qualvolta nel paese o in parlamento si discute di vita, di morte, di famiglia… Chi ha sentito la voce autorevole e insistente della Chiesa sull’utero in affitto o riguardo al progetto di legge sull’eutanasia? In occasione del dibattito sulla legge Cirinnà, che equipara il matrimonio naturale tra uomo e donna, voluto da Dio all’inzio dlela creazione, all’unione tra due uomini o due donne, monsignor Nunzio Galantino, personaggio loquace quant’altri mai, si è trincerato dietro il silenzio, protestando di non voler intromettersi in una questione che riguarda il parlamento italiano. Ma lo stesso Galantino non ha scrupolo, come altri confratelli egualmente loquaci, ad intervenire con squilli di trombe, proprio in questi giorni, in merito alla discussione parlamentare sullo ius soli.
Ma lo ius soli è di diritto divino? E’ un diritto naturale, come il diritto alla vita e alla famiglia?
No. Tanto è vero che la Chiesa stessa non lo ha mai riconosciuto, nè quando c’era lo Stato pontificio, nè oggi, all’epoca del piccolo stato della Città del Vaticano. Il Vangelo, il catechismo, la Tradizione bimillenaria della Chiesa non hanno alcuna posizione al riguardo, proprio perchè il diritto alla cittadinanza è materia che spetta di diritto a Cesare, allo Stato, al potere secolare.
Senza entrare ora nel merito, senza approfondire la questione, che riguarda anche il diritto di una civiltà a tutelare se stessa, la propria identità, la possibilità di scegliere liberamente modi e limiti della accoglienza di persone straniere, è evidente che una chiesa che tace quando dovrebbe parlare, e che parla quando dovrebbe tacere, presentando questioni quantomeno opinabili come nuovi dogmi di fede, e i dogmi di sempre come verità sorpassate (vedi Amoris laetitia) è motivo di scandalo per tutti, soprattutto per i cattolici stessi. Che mai come oggi sono chiamati a riflettere su quelle parole del cardinal Ratzinger, nel 2005: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano“, ma la fede ci rende certi che la tempesta passerà
(pubblicato sul quotidiano La Verità).