Ideologia gender, la pratica dell’utero in affitto, l’opinione secondo cui non importa chi genera i figli, ma chi li alleva… sono tutte posizioni filosofiche basate su una visione spiritualista dell’uomo. Monica Cirinnà, Sergio Lo Giudice, Vladimir Luxuria… anche se a prima vista potrebbe sembrare strano, sono dei puri spiritualisti, degli attardati seguaci di Platone e di Cartesio.
Se in un recente passato a dominare è stato il paradigma materialista, per il quale l’uomo è solo materia, oggi a cercare una rivincita è la visione opposta: tutto è spirito.
Se tutto è spirito, non importa se si nasce maschio o femmina, da un punto di vista materiale, corporeo, genetico, anatomico, ormonale, psichico…. L’importante è ciò che si pensa e si decide di essere. Un maschio che si ritiene femmina, sarà femmina, e viceversa (lo stesso discorso però nessuno lo farebbe mai per un’anoressica: “se ti senti grassa, è perchè sei grassa”)
Analogamente non importa se un figlio nasce da un patrimonio genetico di una persona estranea, da un ovulo comperato, o nell’utero di una donna che non vedrà mai: l’importante è chi crescerà il bambino, e con quale “amore” lo farà.
Ciò che conta è un “amore” svincolato dalla natura, dalla biologia, dalla genetica, dall’esperienza…
Ma lo spiritualismo è una visione corretta, filosoficamente e scientificamente, dell’uomo?
No. Come non lo è il materialismo, che ha ormai mostrato, esistenzialmente, tutti i suoi limiti. Spiritualismo e materialismo colgono solo parte della realtà umana, e come tali non possono che portare al fallimento e alla sconfitta.
Oggi sappiamo molto bene che Platone e Cartesio, i filosofi che scindevano in un rigido dualismo anima e corpo, avevano torto. Un grande neuroscienziato, Damasio, ha scritto proprio un libro intitolato Cartesio aveva torto (Adelphi).
Vedevano molto più lontano Aristotele, e, ancor di più, filosofi come Agostino e Tommaso, che, rifacendosi alla Bibbia, coglievano l’uomo non come puro corpo, nè come anima calata, contenuta in un corpo, ma come un’ unità psico-fisica.
Per Platone e Cartesio l’uomo è essenzialmente e unicamente anima, pensiero. Per il grande filosofo greco il corpo è la prigione, la tomba dell’anima (soma-sema); per il celebre matematico il corpo è mera res extensa, un abitacolo senza vera dignità, come lo scafandro dell’astronauta (l’astronauta è tale, quale che sia lo scafandro che indossa).
Ebbene, come si diceva, oggi è piuttosto chiaro che questa visione non regge, così come non regge l’idea materialista secondo cui l’uomo è solo ciò che mangia, ciò che le leggi naturali decidono che sia…
Le neuroscienze ci dicono che, accanto ai geni maschili e femminili, esistono anche il cervello maschile e femminile, la psicologia maschile e femminile; la medicina in generale contraddice il dualismo cartesiano per il quale basta curare il corpo, infischiandosene dell’anima, così come rigetta l’idea che sia sufficiente alleviare le sofferenze dell’anima, per guarire il corpo.
Si va sempre di più comprendendo la necessità di una visione unitaria.
Infatti le cosiddette malattie psicosomatiche dimostrano chiaramente la capacità del corpo di agire sulla psiche e della psiche di agire sul corpo; analogamente l’assistenza di un anziano mostra che tutto il nutrimento biologico possibile, senza un nutrimento affettivo, serve a ben poco; i casi di persone che si risvegliano dal coma, non per merito di un medicinale, ma perchè trattati con affetto e premura, magari per anni, dai loro parenti, confermano ulteriormente che tutto ciò che è spirituale è anche corporale e viceversa.
Così, quanto all’identità sessuale, si nasce maschio, ma nello stesso tempo si diventa maschio. Si nasce femmina, ma si deve anche diventare femmina. Il dato naturale, corporeo, materiale, cioè il nascere maschio o femmina, esiste, è evidente, non può essere negato, ma non basta, non è tutto: deve per così dire crescere, svilupparsi, fiorire.
Accanto al dato, il corpo, ci sono l’ambiente, i condizionamenti, le scelte… in una parola la vita che compete allo spirito.
Fingere che non esista il dato genetico, materiale, la natura, come fa lo spiritualista, è, come tutte le finzioni, nocivo; fingere che non esista il dato culturale, ambientale, educativo, del libero arbitrio, come fa il materialista, è anch’esso un atteggiamento errato, perchè paraziale.
Nessuno di noi cercherebbe di far crescere limoni dai semi di soia; ma neppure di far crescere limoni dai semi di limone, privando la pianta di acqua, luce e nutrimento.
Si è maschio o femmina, dunque, sia nel corpo, che nella psiche; si è padri e madri sia fisicamente, che spiritualmente. Il ritornello secondo cui vi sono padri e madri che non sono buoni padri e buone madri, è una banale constatazione, che non porta però con sè, come conseguenza, la bontà della omogenitorialità.
Dal seme di limone può non nascere un bel limone succoso; ma ciò non significa che, per avere limoni succosi, sia meglio fare a meno del seme di limone.
Così i genitori devono essere anzitutto tali (cioè capaci di generare, cioè complementari e diversi); inoltre devono anche essere “bravi” genitori, cioè capaci di unire al dato biologico, al loro saper generare nel corpo, la capacità di generare anche nello spirito. Solo così il figlio sarà frutto di una relazione completa, e potrà così sviluppare in modo completo la sua natura. Solo così sarà anzitutto un figlio a tutti gli effetti, ed inoltre sarà anche amato da chi deve amarlo, da chi può dargli ciò di cui ha bisogno.
Negare la natura in nome della cultura è dunque come negare il corpo in nome dello spirito: una operazione spiritualista assurda come quella contraria. La cultura stessa, infatti, esiste perchè l’uomo è, per natura, un animale culturale (concetto del tutto evidente alla linguistica e alle neuroscienze, quando dichiarano che il linguaggio potenzialmente infinito è solo umano, è solo della natura umana; vedi Andrea Moro, Parlo dunque sono, Adelphi, 2015).
Allora, di cosa ha bisogno ogni uomo? Essendo fatti di anima e di corpo, in stretta e inscindibile relazione tra loro, abbiamo tutti bisogno sia di nutrimento biologico sia di nutrimento spirituale. Non di uno solo. E viviamo ogni esperienza con il corpo e lo spirito, insieme.
Questo non solo da adulti: sin da bambini. Scrive il celebre ginecologo Carlo Flamigni parlando della vita fisica e psichica del feto umano di pochi mesi: “Lontano dall’essere un ospite inerte, il feto svolge un ruolo attivo nell’andamento della gravidanza, controlla vari aspetti del suo sviluppo ed è capace di rispondere a vari stimoli uditivi, visivi e tattili provenienti dall’ambiente esterno. Alcuni psicologi parlano di ‘personalità’ del feto prima della nascita. Queste supposizioni sono confortate da vari racconti di individui in ipnosi che hanno ricordato esperienze vissute nel periodo prenatale o l’esperienza della nascita. In base quindi al presupposto che il feto possa essere cosciente, consapevole e capace di memoria, è anche stato ipotizzato che le esperienze che vive durante il periodo prenatale possano influire sullo sviluppo della sua emotività e sulla sua mente. Vari studi hanno dimostrato che l’attitudine della madre verso il feto ha un forte impatto sulla salute sia fisica che psichica del nascituro. I bambini nati da madri ‘ambivalenti’, cioè con difficoltà ad accettare la gravidanza anche se apparentemente felici, presentano spesso problemi comportamentali e somatici… le cosiddette ‘cool mothers’, madri cioè che per problemi di carriera o finanziari non vogliono una gravidanza, hanno più spesso figli inizialmente letargici e apatici. Il bambino prima della nascita è strettamente legato alle esperienze fisiche, mentali ed emotive della madre” (Avere un bambino, Mondadori).
Il celebre ginecologo Pino Noia, insieme ad altri autori, ricorda che “è ormai accertato che il feto risenta degli stati d’animo materni”, attraverso la percezione di mutazioni di tono di voce, attività fisica e frequenza cardiaca della madre. Egli ha bisogno non solo di nutrimento biologico, ma anche di “nutrimento psichico”. Analogamente il neonatologo di fama mondiale, Carlo Bellieni, dell’Università di Siena, ricorda che la risposta al dolore del feto non può essere soddisfatta solo da un farmaco: “la persona che soffre, e così il neonato, ha bisogno di una presenza umana per consolarlo e aiutarlo” (Noia et al., Il dolore feto neonatale, Ginecorama, ottobre 2011, n.5; Carlo Bellieni, L’alba dell’io. Dolore, desideri, sogno, memoria del feto, Società editrice fiorentina, 2004);
Se dunque un bambino crea una relazione fisica e psichica con la madre, già nell’utero, ciò non dimostra a sufficienza che di quella madre egli è figlio, sia materialmente che spiritualmente? Che toglierlo alla madre significa recidere un legame psichico e fisico, e non solo spostare una creatura da un contenitore ad un altro, come si fa con il caffè?
Se una donna non può mai essere un puro contenitore, perchè ogni esperienza corporale ha un corrispettivo spirituale (quale donna ha vissuto la gravidanza solo come un fatto meramente corporeo?); se il legame del corpo del bambino con quello materno non esaurisce il rapporto del bambino con la madre, è difficile capire che la maternità surrogata è una ferita profonda sia per la donna che per il bambino?
E’ difficile capire che un bambino ha bisogno del padre e della madre; di più: di essere frutto dell’amore spirituale e corporale, nella sua unità veramente generatrice, dei suoi genitori?