Il 12 aprile 2017 il Santo Padre ha nominato, tra gli altri, James Martin sj, consultore del Segretariato per le Comunicazioni, l’organismo che sovraintende alla gestione di tutti i mezzi di comunicazione vaticana (televisione, radio, stampa, internet, ecc.). Una nomina di questa importanza non farà altro che far esultare gli attivisti LGBT di tutto il mondo, in particolare di quelli delle lobbies mass-mediatiche, che già sono molto potenti.
Ma chi è padre James Martin? Si tratta di uno dei più famosi gesuiti degli Stati Uniti,
giornalista molto noto della rivista “America”, il più importante magazine dei gesuiti negli States. Egli è un punto di riferimento delle comunità dei cattolici LGBT. Pensate che quando Trump ha abrogato la legge di Obama che istituiva il “bagno transgender”, legge che imponeva alle scuole di consentire ai maschi che si sentissero femmine di frequentare i bagni, le docce, gli spogliatoi delle ragazze, e viceversa, il gesuita James Martin si è talmente risentito che ha scritto un tweet a 100.000 followers scrivendo le seguenti parole: “Gli studenti trans patiscono già tante offese. Non fa male a nessuno che si consenta ai ragazzi di utilizzare il bagno delle ragazze e viceversa. È un affronto alla loro dignità di esseri umani”.
Nel novembre scorso padre James Martin ha accettato un premio dalla associazione New Ways Ministry (co-fondata da suor Jeannine Gramick, una suora pro-aborto, pro-matrimonio omosessuale). Essa è una associazione già condannata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e dalla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti. Nella sua lunga dissertazione per il ricevimento del premio, padre James Martin, tra l’altro, ha detto che: “la Chiesa dovrebbe riconoscere che la comunità LGBT esiste (…) e che essa porta doni unici alla Chiesa. (…) Le implicazioni pastorali sono le seguenti: celebrare messe con la comunità LGBT. (…) Che le persone LGBT sono figlie predilette del Signore. (…) Infine, dire che una delle parti più profonde di una persona – la parte che dà e riceve amore – è ‘disordinata’ è in sé stesso inutilmente crudele”.
Sopra, Martin contro la beatificazione di Giovanni Paolo II nel 2011. Di lui Rodari scriveva: “...Martin non è una voce qualunque. Le sue idee l’hanno portato a essere spesso in feroce contrasto con Roma. Basti ricordare l’endorsement per i sacerdoti omosessuali quando, un anno fa, il segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone durante un viaggio in Cile legò il problema della pedofilia nel clero a quello dell’omosessualità...”
Tale discorso tenuto alla New Ways Ministry ricalca il contenuto-base del suo ultimo libro che è stato appena pubblicato dal titolo: “Costruire un ponte: come la Chiesa Cattolica e la comunità LGBT possono entrare in relazione di rispetto, compassione e sensitività”. Nel suo libro, a quanto riportano le fonti giornalistiche, padre James Martin certamente non richiede un cambiamento di dottrina, né si fa paladino del matrimonio omosessuale, ma se poi dice che parlare di “atti intrinsecamente cattivi”, come fa il Catechismo della Chiesa Cattolica, è inutilmente crudele, vuol dire che non aiuta le persone parlando loro della verità del loro orientamento omosessuale, ma le “categorizza” sulla base dell’orientamento sessuale stesso. Sembra quasi che per il gesuita non esista la persona che è figlia di Dio, pur con un certo orientamento sessuale, ma che esista il “gay” che è figlio di Dio. In questo modo, si fa fuori la verità della persona (“maschio e femmina Dio li creò”) e, dopo aver incasellato quest’ultima, la si butta tutta sul rispetto e la compassione, cioè sul sentimento.
Per questo, non credo abbia molto senso parlare di “comunità LGBT” e di “pastorale per persone LGBT”, come non avrebbe senso parlare di “comunità degli obesi” e “pastorale per le persone obese”. Si parla invece di figli di Dio e popolo di Dio.
Il neo cardinale Kevin Farrell, designato da papa Francesco a guidare il nuovo “dicastero vaticano dei laici, della famiglia e della vita” ha vergato la quarta di copertina del libro, scrivendo: “Un libro benvenuto e di cui si ha bisogno, che aiuterà vescovi, preti, addetti della pastorale e tutte le personalità della Chiesa a gestire in maniera più compassionevole la comunità LGBT”.
Nel 2013 Marin si autocandida scherzosamente a papa
Padre James Martin, come si vede, utilizza sempre la sigla abbreviata LGBT, ma in realtà sarebbe più giusto parlare di LGBTQPIE+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali, Queer, Pansessuali, Intersessuali, eterosessuali, ecc. ecc.) cioè delle oltre 60 modalità di espressione fluida dell’orientamento sessuale che gli appartenenti a questo gruppo dicono di avere, e che trovano fondamento nella ideologia del gender, ideologia che destruttura l’identità della persona. Dunque abbiamo un gesuita che anziché enunciare chiaramente la gravità della ideologia del gender, parla solamente di una misericordia compassionevole tesa, in fin dei conti, a normalizzare la cultura omosessualista-genderiana nella Chiesa.
La rubrica di Martin sul New York Times
Che curioso! In questi ultimi mesi i gesuiti sono balzati prepotentemente agli onori della cronaca. Oltre a padre James Martin, di cui abbiamo appena detto, ha fatto un autentico exploit il neo superiore generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa Abascal, che ha affermato che non sappiamo effettivamente cosa abbia detto Gesù a proposito della sacralità del matrimonio e del divorzio, semplicemente perché ai tempi di Gesù non era stato ancora inventato il registratore. Alcuni giorni fa, un altro gesuita, padre Thomas Reese, firma di punta del National Catholic Reporter, ha detto che, poiché i tempi sono cambiati, non siamo affatto sicuri che oggi Gesù direbbe le stesse parole che disse alle persone del suo tempo, facendo così intendere che se Gesù fosse oggi tra di noi, avrebbe ammesso il divorzio. Dulcis in fundo, il gesuita direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, in un tweet, ha scritto che “la teologia non è la matematica. 2 + 2 in teologia può fare 5. Perché essa ha a che fare con Dio e la vita reale della persona…”, arguendo così che non bisogna essere rigidi, dogmatici e scolastici, come se si fosse nell’ambito della matematica, ma creativi senza limiti. Il gesuita però dimentica cosa dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al. 159: “Fede e scienza. Anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né IL VERO CONTRADDIRE IL VERO”. [maiuscolo mio]
Certo che questi gesuiti hanno fatto un bel quartetto!
Padre Thomas Reese ha fatto l’ipotesi di cosa direbbe Gesù a proposito del divorzio se si trovasse fra di noi oggi, ma non ci ha detto cosa affermerebbe il fondatore della compagnia di Gesù, sant’Ignazio di Loyola, se si trovasse oggi in mezzo a loro!
articolo tratto dalla pagina facebook di Sabino Paciolla
https://www.lifesitenews.com/…/fr.-james-martins-vatican-ap…
Ps: Oltre che critico di Giovanni Paolo II, Martin ha sempre criticato anche Bendetto XVI, tranne in una occasione, le sue dimissioni:
“Gesuiti per Ratzinger. E’ a sorpresa James Martin, gesuita firma di pregio della rivista America, a sostenere la “storica” decisione di Benedetto XVI di dimettersi. Solitamente molto critico col Vaticano e con Ratzinger per la censura comminata a diversi teologi e teologhe troppo dissidenti sulla dottrina, Martin sul New York Times elogia Benedetto XVI dicendo che le dimissioni “sono il fiore di una primavera inaspettata”. Un fiore che “dal Vaticano II” aspettava ancora di sbocciare” (Il Foglio, 13/2/2013)