Roberta Bommassar è vicepresidente dell’ Ordine degli psicologi di Trento. Visto il suo ruolo, ci si aspetterebbe da lei un giudizio prudente, fondato, non ideologico, soprattutto se si parla di questioni importanti. Quale la questione? L’Ordinanza della Corte d’appello di Trento che “riconosce” due padri (e nessuna madre).
Ovviamente, di fronte a tale ordinanza, ci si è chiesti come sia possibile che 3 giudici possano alterare così la natura umana (ogni bambino nasce da una madre ed ha diritto ad essa), e come sia possibile che un reato (perchè in Italia l’utero in affitto è viatato dalla legge 40/2004) sia sanato in questo modo.
Ma la questione più importante è stata la prima: possiamo davvero negare alle generazioni di domani il diritto ad una madre (come nel caso in questione), o ad un padre?
Ecco come si è espressa Roberta Bommassar dalle colonne de l’Adige del 9 marzo:
“La psicologia, come disciplina scientifica giovane ma molto vivace, non può essere partigiana e svilupparsi basandosi su pregiudizi. Il suo scopo è quello di offrire letture ed interpretazioni che permettano di dare senso alle cose che accadono dentro e tra le persone. E queste cose sono comportamenti, pensieri ed affetti. Una grande importanza viene attribuita alla ricerca. Essa ha il compito di confermare o negare delle ipotesi che la psicologia avanza, in questo processo di attribuzione di senso. Una di queste ipotesi potremmo definirla in questi termini: “Un bambino per crescere bene ha bisogno di una mamma e di un papà”. Sul concetto se per mamma e papà s’intenda una femmina ed un maschio dobbiamo dire che le ricerche al proposito non hanno confermato quello che molti stessi psicologi a suo tempo pensavano. Cioè che era necessaria la presenza di una mamma-femmina e di un padre maschio. L’atavico ritardo con cui la società italiana si confronta con i cambiamenti della società, uno dei quali è rappresentato dall’accettazione delle coppie omosessuali e via via delle richieste che vengano loro riconosciuti dei diritti, quelli di esprimere liberamente la propria scelta sessuale, di costituire una coppia riconosciuta, di farsi una famiglia, ha come unico vantaggio che altre realtà hanno affrontato il tema molto prima di noi. Gli Stati Uniti e alcuni paesi europei come l’Inghilterra, Francia e Germania si sono confrontati con studi su queste tematiche con almeno un ventennio di anticipo. Queste meta-analisi, di cui l’ultima raccoglie un centinaio di ricerche, inclusi più di 60 studi empirici svolti direttamente con genitori omosessuali e i loro bambini, mostrano risultati analoghi a quelli delle famiglie con genitori eterosessuali. (Federico Ferrari : Terapia familiare 2011). Questo è il dato, allo stato dei lavori. Gli psicologi si sono interrogati per primi riguardo a risultati anche per loro sostanzialmente inaspettati…”.
In altre parole: per la psicologa Bommassar la scienza è un pre-giudizio. Sì perchè il metodo sperimentale su cui si basa la scienza è molto chiaro: non si costruisce la realtà nella propria testa, ma si osserva e si interroga la realtà, per dare, solo dopo, un giudizio. E la realtà è molto chiara: per fare un bambino ci vogliono sempre un ovulo ed uno spermatozoo, cioè un contributo biologico maschile e femminile. Riconoscere la funzione paterna e materna, a partire dal dato biologico, dottoressa Bommassar, non è dunque un pre-giudizio, ma un post-giudizio, cioè un giudizio dato secondo i canoni di un pensiero razionale e scientifico!
Qualunque analisi seria non può che partire da qui: dal dato di realtà, empiricamente osservabile. La natura funziona in un certo modo, e non prevede la divisione della madre in due (una donna che vende l’ovulo e un’altra che affitta il suo utero), nè prevede, per fare un altro esempio, che un bambino sia strappato dal seno della madre, per essere consegnato a due “padri”.
Al contrario, anche l’allattamento è, per tutti i medici che se ne occupano, per l’Oms, ecc., una fase anch’essa importante del rapporto figlio madre, sia a livello biologico (quanto sia prezioso il latte materno è chiaro a tutti gli studi scientifici), sia a livello psicologico (perchè il legame madre-figlio, instaurato nella gestazione, continua tutta la vita, secondo modalità diverse).
La dottoressa Bommassar – che evita accuratamente di dirci quali siano le conseguenze psicologiche per una donna che, per soldi, vende per nove mesi il proprio corpo, vi ospita un bambino , e poi se ne separa; o quali siano le conseguenze fisiche e psicologiche per le donne che vendono i propri ovuli– , assicura poi che le ricerche avrebbero portato a conclusioni inaspettate per gli stessi psicologi: non sarebbe necessaria la presenza di una mamma-femmina e un papà-maschio!
Ma a quali ricerche e a quali conclusioni si riferisce la dottoressa Bommassar?
Alle sue dichiarazioni risponde, sempre su l’Adige, il 10 marzo, lo psicologo Gilberto Gobbi:
“…E’ risaputo in campo scientifico che la stragrande maggioranza delle ricerche fatte sui figli di coppie omosessuali, sono state manipolate, pur tuttavia si continua a riproporne i risultati (falsi) come risultati scientifici. Per esempio, viene spesso invocato lo studio dell’Università di Melbourne, secondo cui “i figli di genitori dello stesso sesso avrebbero addirittura una maggiore stato di salute e benessere rispetto alla media dei loro coetanei”. Ritengo importante che uomini e donne di scienza si esprimano sulla base di ipotesi condivise e possibilmente verificate empiricamente. Lo studio dell’Università di Melbourne del 2006, rilanciato dal quotidiano la Repubblica il 7 aprile 2015, è uno studio-bufala ed è stato ritirato. E’ solo un esempio di disinformazione scientifica. Se ne potrebbero citare a decine…”.
E conclude: “Se l’obiettivo è il “bene del bambino”, va tenuto presente che il bambino affronta la costruzione della sua identità psicosessuale immerso nel suo contesto psicosociale, ha bisogno di crescere tra le figure di una madre/femmina e di un padre/maschio, ed essere a contatto con le figure differenti: il maschile e il femminile. Ciò gli permette, attraverso l’identificazione, la differenziazione e la separazione, di identificarsi nella sua identità psicosessuale”.
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