Molto spesso viene citata o almeno chiamata in causa, negli ambienti più disparati, la Dottrina sociale della Chiesa, per attribuire ad essa tutto e (quasi) il contrario di tutto. Pochi giorni fa il giornalista Francesco Agnoli, dalle colonne della Verità, ha mostrato il distacco tra le posizione cattoliche in materia di società e quelle espresse dal quotidiano di ispirazione cattolica Avvenire. La questione in ballo era il trattamento di Trump, dalla stampa cattolica ufficiale bollato più o meno come eretico, demoniaco e anti-cristiano. Ma il problema in realtà è più generale.
Capita infatti che persone a digiuno di conoscenze elementari di catechismo (come spesso lo sono giornalisti e opinionisti vari) si confondano e prendano lucciole per lanterne, assicurando, magari in buona fede, essere tale dottrina sociale cattolica contro la pena di morte, e a favore dell’immigrazione no limits, contro il principio di autorità, e favorevole alla democrazia quale unico sistema legittimo di governo. Ed altre fandonie del genere. Risulta opportuno proporre i chiarimenti che si impongono, per notare che non pochi membri della Chiesa (cardinali, vescovi, teologi, preti, suore e catechisti) spesso e volentieri hanno una concezione incompleta, parziale o addirittura contraddittoria della dottrina sociale cattolica.
Per cercare di tirar fuori i lettori dagli equivoci, vediamo rapidamente cosa si intende per Dottrina sociale della Chiesa e quali ne sono gli elementi caratterizzanti.
- La Dottrina sociale della Chiesa non è altro che l’applicazione della dottrina cattolica (in sé e per sé religiosa e morale) nella sfera pubblica, sociale e politica. E’ quindi assurdo dire, come a volte fanno perfino certi teologi e prelati, che tale dottrina sia sorta ex nihilo nel XIX secolo, con la magnifica enciclica Rerum novarum di Leone XIII (1891). Sarebbe come dire che per 1800 anni i cattolici vivessero appartati e non in società, oppure che non avessero tratto nulla dall’insegnamento di Cristo circa l’autorità dello Stato, il dovere della fraternità e della condivisione, il valore anche sociale della famiglia, la liceità della guerra (giusta) e del servizio militare, e tantissime altre cose che si trovano chiaramente e nettamente nei 4 Vangeli. Sia la Bibbia, sia l’insegnamento dei Padri e dottori della Chiesa nei primi secoli ha sempre avuto per oggetto non solo l’uomo singolo davanti a Dio, ma anche, per forza di cose, l’uomo inserito nella società e nella comunità politica. Come dimostra in modo inequivocabile, l’eccellente saggio storico di mons. Umberto Benigni, di rara puntualità teologica e appena ristampato (Storia sociale della Chiesa, 2 volumi, CLS, 2016)
- La dottrina sociale cattolica non è di per sé una dottrina politica, ed esiste una distinzione pur nella correlazione, tra legge morale e legge civile. La legge morale non è in quanto tale legge dello Stato, ma la legge di un qualunque Stato, per sua natura, dovrebbe seguire al meglio la legge naturale (vietando aborto e divorzio, per esempio). La legge morale, sintetizzata nei 10 comandamenti, è una legge ragionevole, razionale e umanizzante: la Chiesa, ricordandola, aiuta i popoli e i governanti a fondare la società sulla giustizia, il diritto e il bene comune.
- A volte si sostiene, sia da parte laica sia da parte di cattolici aggiornati e confusi, che la dottrina di fede sarebbe oggettiva, perenne e invariabile, mentre la dottrina morale al contrario sarebbe variabile, ed anzi più o meno opinabile. Certi credono che per essere cristiani si debba necessariamente ammettere il dogma della creazione del mondo da parte di Dio, o della resurrezione di Cristo: dogmi esplicitamente richiamati nel Credo cattolico che si recita alla Messa domenicale. Il che è senz’altro vero. Ma pensano poi, e questo è falso, che in ambito morale non esistano ‘dogmi’ e verità assolute, ma solo consigli e indirizzi pastorali. Così un cattolico potrebbe essere favorevole all’aborto, un altro al matrimonio gay, un terzo all’eutanasia o al principio anarchico secondo cui “la proprietà è un furto” (Prudhon). Ma questo significherebbe ridurre la religione ad un mero elenco di verità astratte, facendo della vita concreta un ambito assolutamente a-morale e soggettivo. Questa posizione evidentemente, benché molto diffusa nel cristianesimo nord-europeo di matrice luterana e nel cattolicesimo post-conciliare, non è accettabile.
- La Chiesa nella sua dottrina etico-sociale ha condannato come grave omicidio l’aborto, e ovviamente ha sempre dichiarato che l’unico matrimonio valido sia quello tra un uomo e una donna, pur non battezzati (il cosiddetto matrimonio di natura). Nessun teologo o sacerdote, vescovo, pontefice o politico cattolico può e potrà mai variare di uno iota tali dottrine, fondate come sono nella Sacra Scrittura, nella Tradizione e nel Magistero ecclesiastico. Alcuni punti della dottrina morale cattolica sono altresì dei punti fermi della dottrina sociale cattolica e questi, evidentemente, non sono negoziabili.
- Ci sono poi molti problemi politici e sociali che non toccano direttamente l’ambito morale, e che quindi, logicamente, possono avere risposte diverse e differenziate, e mutevoli in base al contesto culturale. Così le norme che debbono regolare la tassazione dei cittadini, la possibilità e la misura dell’accoglienza dei migranti e degli stranieri, la punizione e la reclusione dei criminali, e molte altre cose non secondarie nella retta gestione della società, possono dar luogo a dibattiti leciti e proficui, senza mai scadere in un relativismo etico né fondativo, né assiomatico.
- Esattamente 15 anni fa, nel 2002, il cardinal Joseph Ratzinger firmava una preziosa Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica. In essa si condannavano il “pluralismo etico” e il “relativismo culturale”, “come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore” (n. 2). Secondo Ratzinger “la legittima pluralità di opzioni temporali” da parte dei cattolici (n. 3), si arresta dinnanzi alle “esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili” (n. 4).
- Così per esempio se è una verità certa e assoluta che il matrimonio secondo il Vangelo sarà sempre il matrimonio monogamico e indissolubile, l’accoglienza o meno di migranti e profughi di religione mussulmana, dipende da molte circostanze, e non sarà mai oggetto di una affermazione dogmatica assoluta, data una volta per sempre. Potrebbe darsi benissimo, e senza alcuna contraddizione, che l’emigrazione italiana di fine Ottocento sia stato qualcosa di moralmente accettabile, mentre non lo sia più, per le sue caratteristiche e il mutato contesto, l’immigrazione-invasione odierna degli afro-magrebini in Europa. E si capisce bene il perché. Certi comportamenti, come la soppressione del feto o la bestemmia o il suicidio configurano un comportamento negativo e immorale in ogni caso (ex toto genere suo). Non così la guerra, che può essere difensiva (e giusta) o offensiva (e violenta), o la pena di morte del colpevole, pena non illegittima se data al criminale recidivo, ma discutibile se eseguita barbaramente o con leggerezza.
- La Dottrina sociale della Chiesa, che è assurta da decenni a disciplina universitaria nelle Facoltà di teologia, fa parte integrante della visione cristiana della vita. Nessuno può prendere da essa quello che vuole e rigettare il resto. E nessuno, neppure costituito in autorità, può rendere incerto ciò che è assolutamente certo e definito, o obbligatorio ciò che è contingente e relativo.
- «Il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà religiosa […] si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun modo su di una inesistente uguaglianza tra le religioni e tra i sistemi culturali umani» (n. 8). Basta a volte una sola frase, come quella appena citata, per mostrare l’abissale distanza tra due concezione del cattolicesimo che da mezzo secolo si fanno la guerra e di cui solo una però è legittima. E non è certo quella politicamente corretta e promossa dai mass media del Sistema.