La prudenza è una virtù cristiana, e impone di soppesare i giudizi, soprattutto se riferiti ad un pontefice. Ma nessun pontefice è, in quanto tale, immune dal giudizio.
Perchè nessun pontefice gode di un potere suo, autocratico, essendo Egli un vicario cui è stato affidato un depositum fidei, cioè qualcosa che già esiste, che può essere sviluppato e compreso meglio, ma mai mutato.
Il beato cardinal J. H. Newman ci ha insegnato, tra gli altri, l’importanza di ascoltare la propria coscienza, se rettamente formata (“brindo prima alla Coscienza, poi al Papa“) e nello stesso tempo ci ha ricordato, proprio commentando il dogma dell’infallibilità pontificia, quanto essa sia limitata a determinate azioni e circostanze.
“Indubbiamente ci sono azioni di papi alle quali nessuno amerebbe aver avuto parte“, scriveva, e aggiungeva che la Chiesa docente non è sempre stata, nella storia, “lo strumento più attivo dell’infallibilità: vedi il caso della crisi ariana“. E ancora: “Fu forse Pietro infallibile, quando ad Antiochia Paolo gli si oppose a viso aperto? O fu infallibile san Vittore allorchè separò dalla sua comunione le chiese dell’Asia, o Liberio quando, egualmente, scomunicò sant’Atanasio?…“.
Argomentando in questo modo, Newman ricordava di non dire nulla di nuovo, e citava illustri teologi come il cardinal Torquemada o san Bellarmino.
Per il primo “se il papa ordinasse qualcosa contro la Sacra Scrittura, gli articoli di fede, la verità dei sacramenti, i comandamenti della legge naturale o divina, egli non deve essere obbedito e non bisogna curarsi dei suoi ordini“; per il secondo “per resistere e per difendere se stessi non è richiesta alcuna autorità… quindi come è lecito resistere al papa se assale una persona, è altrettanto lecito resistergli se assale le anime… e tanto più se tenta di distruggere la Chiesa. E’ lecito resistergli, affermo, col non fare quello che comanda e impedendo l’esecuzione dei suoi progetti” (cit. in J. H. Newman, Lettera al duca di Norfolk).
Infine Newman ricordava l’importanza dei laici, nella storia della Chiesa, per mantenere salda la nave di Pietro in varie circostanze della storia.
Ebbene, accade che oggi, mentre si fa un gran parlare di laici e del loro ruolo; mentre si elogiano Lutero (che considerò il papato un’ istituzione diabolica da abbattere); mentre si predica il decentramento da Roma; mentre si parla ad ogni piè sospinto di collegialità e sinodalità… sembra sia divenuto impossibile ogni dibattito interno alla Chiesa.
Chi osa bisbigliare le sue perplessità di fronte a determinate azioni (come l’elogio fatto da Francesco verso Napolitano, Bonino e Pannella) o a determinate dichiarazioni dottrinali, diventa automaticamente un reprobo, uno scismatico, un nemico del papa. Amici della Chiesa e del papa divengono Lutero, Pannella, Scalfari… e nemici divengono cardinali tenuti sino a ieri, dai due papi precedenti, in grandissima considerazione. Il coraggio di parlare lo hanno ormai solo alcuni laici, in specie vaticanisti come Tosatti, Valli, Socci, Magister…
Intorno a Francesco, come una guardia pretoriana, sta, non di rado, chi sino a ieri sminuiva e combatteva il magistero di Pio XII, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Spira così, come non mai, nella Chiesa, un’aria cupa; un trionfalismo vuoto; una retorica alimentata dai grandi quotidiani laicisti, cui non corrisponde nessun “effetto Bergoglio”: non più confessioni (di prima), non più persone nelle chiese, non più vocazioni…come alcuni turiferari hanno cercato di far intendere, ormai due anni orsono.
Solo, una grande confusione, un grande sconcerto, di fronte ad un pontefice che parla molto di politica (Trump, Pannella, vicende argentine, immigrazione…), ma mai quando le leggi toccano la famiglia e la vita; che parla molto di poveri, ma è vezzeggiato dai giornali della ricca borghesia; che accoglie i Benigni, i Di Caprio, gli Scalfari… ma nega udienza a sacerdoti e fondatori che la implorano da anni…
Confusione, e divisione. Alimentata da scelte centraliste; da nomine decise saltando le Congregazioni; da affermazioni sovente molto acide, contro suore “zitelle”, preti mondani, cattolici “duri di cuore”; da un insegnamento, che nella sostanza è questo: “Nella Chiesa tutti sbagliano..tranne me…. Nella Chiesa, io ho scoperto la misericordia, la tenerezza...Prima di me, il niente“. Tanto che vi è chi parla ormai non di “Chiesa cattolica”, o di “Chiesa di Cristo”, ma, enfaticamente, di “Chiesa di Francesco”!
Prendiamo le ultime dichiarazioni del pontefice in una delle innumerevoli interviste a ruota libera, che hanno ormai inflazionato la sua figura.
Ecco la domanda dell’intervistatore: “Qual è il suo rapporto con gli ultraconservatori della Chiesa?”.
A questa domanda “si poteva rispondere in molti modi, anche diplomaticamente parlando”. Si poteva anzitutto smorzare la polemica insita nella definzione “ultra conservatori”, che altro non fa che dividere, nella Chiesa, tra “buoni” e “cattivi”.
Invece, Francesco, ha risposto con durezza: «Fanno il loro lavoro e io faccio il mio. Voglio una Chiesa aperta, comprensiva, che accompagni le famiglie ferite. Loro dicono di no a tutto. Io continuo il mio cammino senza guardare di lato. Non taglio teste. Non mi è mai piaciuto farlo. Glielo ripeto: rifiuto il conflitto. I chiodi si tolgono facendo pressione verso l’alto. O li si mette a riposare, di lato, quando arriva l’età della pensione».
Chi sarebbero gli ultraconservatori? Semplice fare i nomi: i cardinali che non hanno condiviso nè il metodo (l’imposizione) nè il merito di alcuni passi di Amoris laetitia: i cardinali Pell, Mueller, Caffarra, Burke… i padri sinodali americani, molti dei padri africani e dell’est… Può un capo parlare con tale durezza dei suoi cardinali, cui spetta, per compito, quello di consigliare il papa? Può deriderli pubblicamente e considerarli dei “ferri vecchi”? Può per mesi definirsi solo “vescovo di Roma”, scrivere a Kung che si può mettere in dubbio il primato petrino, pianificare gite per ricordare colui che distrusse il papato e la Chiesa nel nord Europa, salvo poi dichiarare, quando vuole si vuole decidere qualcosa contro una maggioranza (vedi Sinodo), che tutto va fatto “cum Petro e sub Petro”?
E quel “loro dicono sempre no“, a cosa si riferisce?
Questi cardinali dicono no ad aborto, divorzio, matrimoni gay…e così facendo non dicono nulla di nuovo, nulla di strano, solo ribadiscono ciò che la Chiesa e tutti i papi hanno sempre insegnato. Su dieci comandamenti, 8 contengono un “no”, e la Chiesa ha sempre insegnato che questo no, è, in verità, per un sì: un sì al vero amore.
Per misurare la distanza tra questo modo di parlare e quello di Benedetto, si possono notare due cose: mai Benedetto avrebbe usato espresioni così dure verso i cardinali progressisti, che lo avversavano (e che lui mai ha messo da parte, come invece ha fatto Francesco con Burke ed altri); mai avrebbe alimentato la retorica laicista secondo cui coloro che difendono la dottrina, “dottori della legge” duri di cuore, sarebbero persone che “dicono di no a tutto“.
Proprio Benedetto, nella Caritas in veritate, spiegava che chi vede nei no della Chiesa dei semplici divieti, non ha compreso la morale del Vangelo. Iniziava così, Benedetto:
“…Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una percezione molto diffusa: la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?
Ma è veramente così?...”
E Giovanni Paolo II? Evangelium vitae, Familiaris consortio ecc… dicono cose diverse da quelle che dice Francesco, con un linguaggio diverso.
Se dei papi si contraddicono, se Francesco dichiara pubblicamente che dopo il Sinodo sulla famiglia le cose sono “cambiate”, possono dei laici interrogarsi, discutere, cercare di capire, se necessario obiettare?
Possono e devono.