Gender e femminismo: l’ideologia della nuova sinistra mondiale

Che-Guevara_LGBT

L’ideologia gender è divenuta uno dei punti cardine della sinistra mondiale degli ultimi decenni. In Argentina è appena uscito un interessante studio, El libro negro de la nueva izquierda (Il libro nero della nuova sinistra), scritto da due giornalisti e studiosi, Nicolás Márquez e Agustín Laje, che analizzano quali sono i miti della nuova sinistra.

Il primo volume, cui ora ci riferiamo, è dedicato all’ideologia gender.

Abbiamo intervistato uno dei due autori, il giovane Agustín Laje. Classe 1989, laureato in Scienze Politiche è autore di diverse pubblicazioni, collabora con numerose testate giornalistiche e dirige il Centro de Estudios Libertad y Responsabilidad.

—Può spiegarci che relazione c’è tra l’ideologia gender e la sinistra dei nostri giorni?

Se questa “nuova sinistra” si caratterizza per qualcosa, è per aver messo da parte le vecchie concezioni economicistiche della “lotta di classe” e averle rimpiazzate con una strategia di “battaglia culturale”. Una delle conseguenze più importanti di questo cambiamento è che il soggetto rivoluzionario della sinistra non è più la classe sociale, e pertanto il proletariato ha perso la centralità che aveva in altri tempi. Oggi la nuova sinistra, usa l’iniezione di discorsi ideologici in gruppi culturali minoritari o contrastati per porli contro il sistema capitalista e i valori tradizionali dell’Occidente, attraendoli nel suo alveo. In tal senso, la nuova sinistra ha creato nuove ideologie: indigenismo, “dirittoumanismo”, ecologismo, femminismo, omosessualismo, etc. Quella gender abbraccia queste due ultime correnti e potrebbe essere definita come un’ideologia che annulla le caratteristiche naturali del sesso, per fare di questo niente più che mera cultura. Tutti gli aspetti relativi alla sessualità sono completamente ricondotti al campo della cultura e si insegna che per modificarli occorre distruggere la propria vigente struttura culturale attraverso quella che ho definito “battaglia culturale”. Ecco allora che agli omosessuali si suggerisce che la loro posizione minoritaria è conseguenza di una “cultura etero-normativa” da distruggere, mentre alle donne si dice che in questa “cultura patriarcale” gli uomini sono i loro nemici dichiarati. E cosa porterebbe sollievo a queste vite tanto sofferenti? Il trionfo della sinistra, naturalmente.

—E pensare che nei Paesi comunisti omosessuali e donne non hanno ricevuto un bel trattamento…

Tutto ciò è paradossale. La nuova sinistra cerca di egemonizzare soggetti che prima disprezzava o addirittura perseguitava. Le donne, ad esempio, sono sempre state emarginate dalla direzione politica dei Partiti Comunisti che andarono al potere nel XX secolo (di fatto, se la passavano molto male in URSS, come spiego nel libro). Gli omosessuali nella Cina maoista subivano pene che andavano dalla castrazione fino alla morte. In Unione Sovietica erano portati in Siberia, nei campi di concentramento. A Cuba, Che Guevara li mandava ai lavori forzati nella Penisola di Guanahacabibes. La copertina del nostro libro è una caricatura di questo paradosso: un Che Guevara omosessuale e femminista. Oggi vediamo molte bandiera del “Che” nelle marce per l’orgoglio gay, il che è ridicolo tanto quanto vedere svastiche in manifestazioni a favore dello Stato di Israele.

—Nel vostro libro parlate anche di femminismo e “violenza di genere”. Qual è la posizione della sinistra sul tema?

Il femminismo iniziò come conseguenza naturale delle rivoluzioni liberali del XVII secolo. Era un femminismo sano, giusto: chiedeva diritti civili e politici per la donna. Però si sarebbe presto deformato. Ludwing von Mises se ne era già accorto nel 1922, nel suo “Il socialismo”, quando sosteneva che se il femminismo, andando oltre le sue rivendicazioni di uguaglianza davanti alla legge, avesse cercato di contrastare la natura stessa, sarebbe diventato una branca del socialismo. In effetti, già con Friedrich Engels, amico di Marx, il socialismo tentò di portare la battaglia in favore delle donne dalla sua parte. Disse che tutti i loro problemi avevano una ragione precisa: l’esistenza della proprietà privata. La stessa causa del problema dello sfruttamento tra le classi. Perciò, la rivoluzione operaia non avrebbe liberato solo l’operaio, ma anche la donna. Cosa che ovviamente mai si verificò (né per gli uni, né per le altre). Il femminismo poi crebbe con forza in Occidente. Si spogliò di questo “classismo” e passò alla strategia “culturalista” della quale ho già parlato. È qui che nasce il problema della “violenza di genere”, ovvero la volontà di creare nella società la sensazione generalizzata di una guerra sotterranea degli uomini contro le donne. È il conflitto che tiene viva questa sinistra risuscitata. Certo, la violenza degli uomini contro le donne esiste, ed è riprovevole. Però “violenza di genere” è quella violenza motivata da un odio verso l’altro genere in quanto tale. Ebbene, in quanti casi di quella che i media definiscono come “violenza di genere” tutto ciò si verifica? Come provare che il movente della violenza è stato l’odio di genere? Ovvio che non si prova mai nulla, ma la società dà per scontato che la violenza di genere sia semplicemente quella unidirezionale, dell’uomo sulla donna. Così si manipola il linguaggio e si genera un conflitto che di sicuro non aiuta a combattere le vere cause della violenza in generale.

—Può riportarci alcuni esempi di quello che sostengono le femministe oggi riguardo al rapporto sesso-cultura?

Laje_gender_femminismo

Agustín Laje

A partire dagli anni ’70 la sinistra ha iniziato a concentrarsi sul sesso come potente arma di cambiamento culturale. Grandi esponenti del femminismo hanno esplicitamente elaborato strategie per distruggere i nostri valori culturali e creare così le condizioni favorevoli per una rivoluzione di sinistra. Un esempio che mi ha colpito è quello di Shulamith Firestone, che nel suo libro “La dialettica del sesso” rivendicava incesto e pedofilia. In “Utopia” vagheggiava un mondo “post- femminista” in cui gli adulti avrebbero potuto avere rapporti sessuali con i minori, purché questi ultimi fossero consenzienti e avessero organi sessuali di dimensioni tali da consentire la penetrazione dell’adulto. E raccomandava persino che la prima fellatio al bambino fosse praticata dalla madre! Altro personaggio a noi più vicino è Beatriz Preciado, docente all’Università di Parigi VIII, secondo cui l’“etero-capitalismo” ha reso pene e vagina “organi sessuali egemonici” (come se la loro condizione di organi sessuali fosse un’imposizione culturale e non un dato di natura!). Per opporsi a questa “tirannia” e “ri-sessualizzare” il resto del corpo, ha scritto “Il Manifesto contro-sessuale”, dove raccomanda una serie di pratiche, delle più strampalate, per “sfidare l’egemonia”, come ad esempio imparare a masturbarsi un braccio. Il bello è che in tutte queste tecniche, presentate come una ricetta di cucina, bisogna fingere (sic!) un orgasmo. In tal modo, senza rendersi conto, la prof.ssa Preciado ammette ciò che nega: ovvero che la biologia determina la realtà del nostro corpo. 

—Il grande nemico della sinistra sembra il capitalismo. Ciò nonostante vediamo come i “poteri forti” e l’alta finanza appoggino e promuovano le sue battaglie culturali. Come lo spiega?

È vero, la nuova sinistra si regge in gran parte grazie ad un settore del potere finanziario mondiale. Però si tratta di un settore specifico, quello “progressista”. Credo sia un errore, un riduzionismo, pensare che la nuova sinistra sia un appendice di tale settore finanziario mondiale, come se si trattasse di qualcosa di omogeneo. Soros, Rockefeller, la Fondazione di Gates, etc. hanno sempre appoggiato la sinistra. Probabilmente sono quei ricchi con senso di colpa la cui psicologia fu ben analizzata da von Mises in “La mentalità anticapitalistica”.

—Qual è la situazione in Argentina relativamente alla diffusione dell’ideologia gender?

Da tempo si stanno educando le giovani generazioni secondo i diktat dell’ideologia gender. Le istituzioni dello Stato sono ormai permeate da questa ideologia e credo di poter dire che è divenuta egemonica. Quanti cercano di sfidare le sue imposizioni vengono perseguitati. La situazione è complessa, perché paradossalmente questa ideologia si presenta come un inno al “pluralismo” e alla “diversità”, ma in realtà non conosce tolleranza. E senza tolleranza non c’è pluralismo né diversità.

—E il governo Macri? È culturalmente succube della nuova sinistra?

Totalmente. E non perché sia di sinistra, ma in quanto tecnocratico: in altre parole, non sa nulla di cultura.

—Perché la destra è così complessata su questi temi? E come pensa si possa superare questa condizione?

Perché nel 1992, con la caduta dell’URSS, pensò che la sinistra fosse condannata al museo delle antichità. In quello stesso anno uscì ad esempio il best-seller di Francis Fukuyama, “La fine della storia e l’ultimo uomo”, secondo cui capitalismo e democrazia liberale avevano definitivamente trionfato. D’altra parte, alcuni anni prima, Daniel Bell aveva pubblicato “La fine delle ideologie”, dove intravedeva un mondo senza ideologie, che però, come vediamo, era solo fantasia. Insomma, la destra si è addormentata sugli allori di un trionfo parziale, che poi la sinistra ha ribaltato con una controffensiva culturale che dura fino ad oggi. E dato che questo è avvenuto sul piano delle idee, se la destra vuole affrontare la sinistra dovrà dare battaglia culturale. Per far ciò però ha bisogno di nuovi intellettuali, disposti a sfidare l’egemonia, a sporcarsi nel fango del politicamente corretto, a venire squalificati e anche perseguitati.

—Dopo l’uscita del vostro libro avete avuto problemi?

Tantissimi. Il mio profilo Facebook è stato bloccato molte volte. Quello di Nicolás Márquez, co-autore con me del libro, è stato bloccato per un mese dopo una discussione con una femminista. Sono stati hackerati i siti che ci hanno intervistato. Inoltre abbiamo ricevuto minacce e numerose offese di ogni genere.

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Agustín Laje

—Un’ultima domanda. In Argentina c’è chi vuole depenalizzare l’aborto. Cosa ne pensa?

Come liberale, il primo diritto che difendo è quello alla vita: senza vita non c’è libertà, né alcun altro diritto. La vita viene prima della libertà, per ragioni di mera logica: per essere libero, devi vivere. Pertanto, sono totalmente contrario all’aborto, in ogni caso. La scienza ha dimostrato che il nascituro non è una “parte” del corpo della madre, ma ha un DNA proprio e genera i suoi propri organi (come la placenta e il cordone ombelicale). Alcuni dicono che la sua mancanza di autonomia ed autosufficienza lo trasforma in qualcosa di “pseudo-umano” (Hitler non pensava lo stesso dei disabili?). Ma il nascituro ha bisogno della madre per vivere anche fuori dalla sua pancia. Oppure chi è appena nato non ne ha più bisogno? Altri sostengono che l’aborto va legalizzato in quanto, di fatto, già avviene ed è una realtà sociale; legalizzarlo aiuterà a salvare le donne che abortiscono clandestinamente. Con lo stesso criterio dovremmo allora legalizzare, ad esempio, le rapine alle banche, perché anche queste sono parte della realtà sociale, e anche queste implicano un pericolo per il ladro che, trovandosi in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine, può venire colpito a morte. È terribile che la donna muoia per un aborto clandestino; però fa parte dei rischi che ella stessa decide di correre quando sceglie di uccidere un’altra vita, proprio come un ladro che rischia quando commette i suoi crimini violando i diritti di terzi. In breve: il rischio che comporta il fatto di violare diritti inalienabili non dovrebbe giustificare la legalizzazione di tale violazione, ma piuttosto un maggior controllo statale per proteggere effettivamente quei diritti che si pretende di violare. Niente può permetterci di violare il diritto a nascere e a vivere. È curioso che quanti ricorrono permanentemente a menzogne per legalizzare l’aborto, hanno avuto il diritto a nascere. Sarebbe bene che la smettano di cercare di negare ad altri il diritto del quale essi stessi hanno potuto godere.

Fonte: Notizie ProVita

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