Il recente Sinodo sulla famiglia ha innescato controversie, discussioni e dibattiti, sia nella Chiesa che nei media: dibattiti i cui echi sono ben lungi dall’essersi chiusi con l’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco. Anzi, l’Esortazione post-sinodale stessa è stata oggetto di letture, analisi e interpretazioni – massimaliste o minimaliste, conservatrici o progressiste – che paiono aver divaricato ulteriormente le già distanti posizioni etiche, interne alla teologia cattolica e alla comunità ecclesiale.
Eppure una bussola sicura esisteva e continua ad esistere in tema di amore, di morale e di famiglia, e col tempo che scorre inesorabile per tutti i figli di Adamo, essa diventa sempre più sicura e luminosa. Questa bussola etica di crescente valore antropologico e orientativo non è altro che il Catechismo della Chiesa cattolica (solitamente abbreviato in CCC).
Il Catechismo, promulgato da Giovanni Paolo II nel 1992, è stato rivisto ed è stato approvato in forma definitiva (e universale) nel 1997 (nel testo tipico latino, da cui la traduzione ufficiale italiana nel 1999). Questa edizione definitiva del Catechismo quindi nel prossimo anno domini 2017 compirà 20 anni e possiamo scommettere che perfino tra 200 anni costituirà ancora, come e più di oggi, un punto di riferimento sicuro per la vita cristiana, una sintesi organica della dottrina cattolica e un manuale di istruzioni per quei battezzati che non vogliono (per nessuna ragione…) allontanarsi dal Vangelo.
Come scrisse Giovanni Paolo II nel 1997, col Catechismo la Chiesa e i cattolici dispongono di una “nuova autorevole esposizione dell’unica e perenne fede apostolica”, “genuina e sistematica presentazione della fede e della dottrina cattolica” (secondo le parole della Lettera Apostolica Laetamur magnopere con cui si promulga il testo).
Il Catechismo, pur con tutta la cautela e la pacatezza tipica del recente Magistero, insegna ex cathedra e senza possibilità di fraintendimento: “Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale” (CCC 2384).
Attenzione! Nei dibattiti sinodali e post-sinodali questo non è emerso affatto. Nel Sinodo è parso emergere il contrario ovvero che il divorzio sia ammissibile e il secondo matrimonio no (anzi ni…). In realtà, è proprio l’istituto del divorzio ad essere analizzato con sapienti parole dal Catechismo (cf. 2382-2386, 1614-15, 1646-1651) e ad essere condannato come tale e per le sue conseguenze. “Esso pretende di sciogliere il patto, liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l’uno con l’altro fino alla morte (…). Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura. Il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente” (CCC 2384).
Tutto questo veniva in mente leggendo su Libero del 9 luglio 2016 due articoli dedicati alla famiglia, anzi alla sua programmata sparizione. Il primo (a p. 7), firmato da Simona Bertuzzi (“A scuola obbligati a studiare omosessualità”), è dedicato alle linee-guida che il Ministero della pubblica istruzione starebbe per varare per introdurre nelle scuole italiane le distruttive teorie del gender. Nelle linee guida che il ministro Giannini probabilmente approverà presto si insiste sul fatto che “la differenza sessuale può essere vissuta in un ampio spettro di inclinazioni”, legittimando così, davanti ai bambini più piccoli, tutte le deviazioni umane: omosessualità, bisessualità, transessualità, prostituzione, poligamia, poliandria, travestitismo, utero in affitto, etc.
Il secondo pezzo, di Caterina Maniaci, ha un titolo (e un sottotitolo) inequivocabili: “Ancora 15 anni e il matrimonio sparisce. I riti religiosi calati del 54%, nel 2031 toccheranno quota zero. Mentre crescono le unioni civili”. Quando si dice il progresso…
L’articolo riporta brevemente i recenti dati del Censis pubblicati col rigoroso titolo di “Non mi sposo più”. I crudi dati dicono a volte più dei commenti e delle spiegazioni: “Nel 2004 si sono celebrati [in Italia] circa 170.000 riti matrimoniali religiosi. Dieci anni dopo 108.000. Ossia 62.000 in meno. Facendo una ricerca (…) si scopre che nel 1994 si contavano 128.000 matrimoni canonici in più rispetto al 2014. Quindi in soli vent’anni c’è stato un crollo del 54%. Come ha spiegato Massimiliano Valerii, direttore del Censis, se si proiettano in avanti le tendenze degli ultimi vent’anni e togliamo ogni anno 6.400 cerimonie, il risultato è che in 17 anni, cioè nel 2031 i matrimoni benedetti dal prete saranno azzerati” (p. 6).
Faccio solo notare che meno matrimoni significa altresì meno figli, meno sana educazione dei medesimi (contesi da una pluralità di soggetti), meno stabilità sociale, più precariato, più solitudine, più violenza, depressione e suicidi. A livello spirituale poi, meno matrimoni implica ovviamente meno battesimi, meno prime comunioni, meno cresime, meno confessioni, meno presenza della Chiesa e del sacerdote tra la gente, quindi meno fede, meno virtù, più vizi…
Contro tutto ciò il teologo Sánchez Navarro (cf. Luis Sánchez Navarro, Cosa ne pensa Gesù dei divorziati risposati?, Cantagalli, Siena, 2015, pp. 98, € 9), da vero esegeta fedele allo spirito della Scrittura, ribadisce che proprio Gesù, contro una mentalità divorzista diffusa presso i Farisei del suo tempo, ribadì, senza alcuna eccezione, il valore sacro dell’indissolubilità del matrimonio. “La durezza di cuore manifestata nel divorzio costituisce una contrapposizione all’ordine voluto da Dio, una negazione della verità profonda sul matrimonio rivelato in Genesi 1-2” (p. 55).
I Farisei antichi ammettevano il divorzio, specie nella forma del ripudio, mentre i farisei moderni, di molto peggiori dei primi, negano il valore sacro del matrimonio in sé, ammettendo qualunque tipo di unione e di “amore” senza limiti, se non quelli soggettivi e arbitrari della propria coscienza.
“L’insegnamento di Gesù, pertanto, è chiaro. Chi divorzia dal suo coniuge e si unisce tramite vincolo coniugale a un’altra persona (sia attraverso il matrimonio civile, sia tramite la mera convivenza) passa a vivere in pubblico adulterio” (p. 58).
Se teniamo all’istituzione del Matrimonio (unico, stabile, monogamico, eterosessuale), fonte di pace, di amore, di serenità e di vera educazione dei figli, dobbiamo lottare come possiamo contro il divorzio e la mentalità divorzista. Seguendo così la dottrina cristiana, come espressa chiaramente nel Catechismo, ed anche la stessa ragione umana, che ci dice che una società senza matrimoni, verso cui ci stiamo avviando, comporterà l’auto-distruzione della civiltà.