Intervistato da radio e giornali, ed in innumerevoli incontri sul territorio, Massimo Gandolfini, portavoce del Family day, sostiene la necessità di votare no al prossimo referendum di ottobre, quando il popolo italiano sarà chiamato a dire se conferma o respinge le riforme costituzionali del governo Renzi. Analoga la posizione di Eugenia Roccella e Carlo Giovanardi, di Idea, dell’avvocato Gianfranco Amato, del Popolo della Famiglia, di personalità pro vita e famiglia come Federico Iadicicco, di FDI e Lorenzo Fontana, eurodeputato della Lega nord…, tutte persone attente alla promozione della famiglia, oltre che di grillini e di varie personalità della sinistra Pd (che dopo aver definito per anni la nostra come “la costituzione più bella del mondo”, non possono oggi rottamarla del tutto).
Perchè questa posizione? Quale, soprattutto, il rapporto tra la battaglia portata avanti dal movimento pro family e il no alla riforma costituzionale?
Per rispondere, è bene anzitutto affrontare il metodo Renzi-Boschi, ed in seguito il merito della riforma.
Partiamo dunque dal metodo:
da tempo questo governo procede a colpi di fiducia e impone brusche accelerazioni, approfittando della forza del premier, che è nel contempo capo del governo e segretario del partito di maggioranza. Un’ opposizione numericamente debole e divisa, facilita questo modus operandi, e mette a rischio il ruolo stesso del Parlamento, cui spetta, secondo la nostra Costituzione, il potere legislativo.
Nel caso del recente ddl Cirinnà, se possiamo ancora chiamarlo così, il governo ha dichiarato prima la sua neutralità; ha poi sponsorizzato il tentativo di formare una maggioranza variabile con i 5 stelle, tentando nel contempo l’operazione illegittima del super canguro; infine ha imposto dall’oggi al domani un nuovo testo, che non è dunque mai passato in commissione, nè ha potuto essere vagliato dal voto libero dei senatori.
Questo è dunque il metodo di Renzi, giunto al governo senza passare dalle elezioni, dopo un plateale sgambetto al suo compagno di partito Enrico Letta, e che alternativamente si appoggia a Forza Italia (patto del Nazzareno), all’NCD di Alfano, e, quando serve, al gruppo parlamentare di un uomo così ambiguo e chiacchierato come Denis Verdini (nella foto, con Boschi: tra banchieri toscani e renziani ci si intende? )
E’ difficile ricordare tanta spregiudicatezza nella pur travagliata storia politica del nostro paese.
Dal metodo passiamo al merito. La riforma promossa e imposta a tappe forzate dal premier Renzi e dal ministro Boschi, con il forte sostegno di Giorgio Napolitano, non è, in verità, una riforma, ma una rivoluzione. Di una riforma si sentiva il bisogno, di una rivoluzione no.
La nostra Costituzione, infatti, può apparire, in alcuni punti, un po’ datata, ma il suo bilanciato sistema di pesi e contrappesi ha motivazioni storiche assai chiare. Usciti dal fascismo, non senza che mancasse un pericolo comunista, era necessario costruire una carta che tutelasse al massimo libertà, pluralismo e democrazia ed impedisse il ritorno ad un potere soverchiante dei governi. Cioè ad una dittatura.
La riforma di Renzi va nella direzione del tutto opposta a quella scelta dai padri costituenti: delegittima il più possibile il popolo votante (con la legge elettorale), ma anche il parlamento e il presidente della Repubblica, affidando gran parte dei poteri al governo.
In questo scenario, tra le altre cose, si è ridotto il Senato ad una sorta di “dopolavoro” (copyright Carlo Giovanardi). Un dopolavoro le cui competenze sono poche e non ancora chiarite.
Vorrei mettere a fuoco solo due tra i problemi che un simile Senato-fantasma comporterebbe.
Con la riforma costituzionale in caso di guerra e per quanto riguarda i temi etici, il Senato non avrà alcun potere decisionale. Quindi anche le tematiche più importanti e che maggiormente richiedono riflessione e approfondimento, potranno essere affrontate in fretta e furia, a colpi di fiducia e di pressioni governative.
Immaginiamo la discussione sull’utero in affitto, guidata dal governo Renzi, senza la necessità di un passaggio dalle due camere. Renzi potrebbe imporre in quattro e quattr’otto il volere suo, o di qualche alleato, impedendo qualsiasi dibattito in parlamento e nel paese! Potremmo parlare ancora, in tal caso, di paese democratico?
Pensiamo ora al caso di una guerra. Noi italiani entrammo nella prima guerra mondiale in seguito ad un patto segreto del nostro governo, ad insaputa del nostro parlamento, che fu messo di fronte al fatto compiuto. Anche nella seconda guerra mondiale i nostri soldati si sono trovati a morire senza che nè il popolo nè un parlamento avessero potuto esprimere alcunchè. Ma senza andare così lontano nel tempo, la recente guerra in Libia, in cui siamo stati coinvolti a causa di pressioni esterne (Usa, Francia ed Inghilterra) ed interne (Napolitano in primis), ha dimostrato quanto sia folle buttarsi con tanta fretta in avventure estemporanee, senza neppure il tempo per valutare le eventuali conseguenze.
Vogliamo davvero che un domani un governo possa snaturare la famiglia, dall’oggi al domani, per le esigenze personali di alcuni suoi senatori o leader di partito, o che, di fronte ad altri conflitti dichiarati magari da qualche potenza straniera, abbia il potere di dichiarare guerra senza un dibattito parlamentare serio, senza una riflessione ponderata nei due rami del Parlamento e nel paese?
Il popolo del Family day non lo vuole. Ed è impegnato sempre più convintamente a far sentire la sua voce anche in questo campo.