«Poliamorosi», in Spagna chiedono diritti: ora come la mettiamo?

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Love is love, giusto? Bene, allora adesso si tirino fuori le ragioni per cui non si dovrebbe sposare la causa di Polyamory Madrid, associazione spagnola impegnata nella diffusione e nella richiesta di riconoscimento del poliamore e che – a quanto pare – sarebbe pronta a sfilare in piazza «per rivendicare gli stessi diritti delle famiglie tradizionali». La questione non è di secondaria importanza non soltanto perché i «poliamorosi» si stanno pian piano organizzando anche in Italia – negli Stati Uniti invece si parla di molte decine di migliaia di unioni «poliamorose» già da anni (cfr. “Newsweek”, 2009) – ma perché, strettamente collegato a questo tema, c’è quello delle adozioni da parte di “famiglie” «poliamorose».

No, non è uno spauracchio ma la logica conseguenza di quanto sostenuto da Giuseppina La Delfa, Fondatrice ed ex presidente di Famiglie Arcobaleno, in una lettera pubblica a Papa Francesco nella quale si legge che «la scienza – la psicologia, l’antropologia, la pedopsichiatria – e anche la sociologia e il diritto ormai» avrebbero dimostrato che un bambino può crescere bene non soltanto in una “famiglia arbaleno” ma anche all’intero di “famiglie” «poliamorose», con cioè molti genitori dato che «non importa – assicura La Delfa – se questi siano uno, due o diciotto». Una rassicurazione che, immagino, farà comprendere ai sostenitori delle unioni civili che è tempo di prendersi avanti con il lavoro e di battersi anche per “famiglie” «poliamorose».

O forse si vogliono rimangiare il Love is love? O forse vogliono farci credere che l’amore conti, sì, ma fino ad un certo punto? Suvvia, non facciano i medievali ed esprimano pubblicamente sostegno a Polyamory Madrid e ad altre realtà analoghe. Lo stesso chiaramente vale pure per i sacerdoti e prelati al passo coi tempi: se davvero credono vi possano essere, nelle coppie, «elementi positivi» anche al di fuori «del sacramento del matrimonio», c’è da domandarsi per quale assurda ragione e soprattutto con quale sentenziosa sicurezza potrebbero escludere che vi siano «elementi positivi» pure nelle “famiglie” «poliamorose», per quanto al di fuori «del sacramento del matrimonio».

Attenzione a non prendere tutto questo come una provocazione, perché – lo si ripete – è solamente una conseguenza di quanto potrebbe accadere, anzi, sta già accadendo. Tanto è vero che, fra i più stimati studiosi e autori di ricerche i cui esiti metterebbero in luce che un bambino può crescere benissimo con due papà o due mamme vi sono personalità – si pensi, per esempio, alla psichiatria Nanette Gartrell – che non temono di dichiararsi «polyamorist», ragion per cui c’è da aspettarsi, nel giro di qualche anno, alluvioni di pubblicazioni scientifiche non troppo scientifiche che davvero sostengano che, per i figli, non conta se i genitori «siano uno, due o diciotto».

Ne consegue, per quanti fino a ieri sostenevano che la famiglia fosse una sola – quella fra un uomo e una donna uniti in matrimonio – una sola possibilità: tornare a ripetere quella verità. Forte e chiaro: senza violenza verbale o eccessi, ovvio, ma forte e chiaro. Ogni mediazione, ogni compromesso, ogni tentativo di cauta apertura già alle unioni civili – vale a dire al riconoscimento pubblico, non già di diritti che le coppie conviventi anche omosessuali anche in Italia già possedevano, ma di una unione per il solo fatto che due persone si amino – conduce infatti diritto dritto alla causa delle “famiglie” «poliamorose». E’ questione, come si è cercato di spiegare, solo di logica. E di tempo.

Giuliano Guzzo

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