a cura di Claudio Forti
Mi pare particolarmente significativo – dopo il richiamo dall’Europa all’Italia perché renda più snelle le procedure di “interruzione volontaria di gravidanza” (Ivg) – tradurre e trascrivere la toccante e istruttiva testimonianza che la giovane messicana, Patrizia Sandoval, dà in questo video, registrato durante una sua breve presenza in Spagna. Lo faccio volentieri perché la sua è una forte testimonianza in favore della vita, di fronte a una delle tante menzogne chiamate, ahi me, “conquiste di libertà”, fatte passare per verità dall’ideologia relativista, egoista e nichilista voluta dal “pensiero unico” dominante contemporaneo. In questa testimonianza si può toccare con mano il dramma dell’aborto e il miracolo della misericordia!
Ringrazio il portale di informazione cattolico spagnolo www.actuall.com che mi manda ogni giorno la sua news letter. Da questo ottimo organo di informazione ho potuto trarre questa straordinaria testimonianza.
Ecco il link per seguirla in originale https://www.youtube.com/watch?v=DJpcamlvsfQ
È una benedizione per me essere qui nel vostro paese, in questo vostro bel paese, per condividere tutto ciò che abbiamo vissuto in questo fine settimana. Sembra che io sia venuta a dare qualcosa, ma in verità debbo dire che ho anche ricevuto molto. E questo mi ha dato tanta forza per continuare a perseverare in ciò che faccio in difesa della vita. Voi sapete molto bene di che si tratta, per cui alle volte uno si scoraggia, perciò in questo fine settimana io desidero ringraziare gli organizzatori di questo incontro e le persone che mi hanno fatta giungere in questo luogo.
Bene, la mia storia è cruda e dolorosa. Molte persone rimangono toccate nell’ascoltare ciò che io ho vissuto nella clinica di Planned Parenthood (una clinica per aborti), e ci sono persone che rimangono scioccate durante le mie conferenze. Me ne rendo conto, però è necessario ascoltare ciò che è, in definitiva, la verità. Bisogna ascoltare ciò che succede a queste donne e a questi bambini a cui non è permesso nascere, e sulla menzogna che viene diffusa in tutto il mondo. Certo, sfortunatamente per ignoranza, io ho abortito. Ho molto sofferto. Lavorando in quella clinica ho fatto del male a molte donne e a molti uomini, alla mia famiglia, e feci molto male anche a me stessa. Io ora spendo la mia vita per dare testimonianza su ciò che ho vissuto. Per me è molto difficile stare qui in piedi davanti a voi con questo microfono, però è necessario che lo faccia, perché altre persone non cadano in questo inganno.
Inizio quindi la mia storia cominciando da quando ero molto giovane. Ai tempi in cui ero una bambina non sapevo che cosa fosse la sofferenza. Io ero molto felice nella mia famiglia, e mio padre era il miglior papà del mondo. Mia madre era una mamma molto affettuosa e piena di amore. Mio padre era un gran lavoratore, tutto dedito alla famiglia. Però quello che mancava era la fede. Ciò che mancava alla mia famiglia erano Dio e i valori. Nella mia famiglia ci si preoccupava solamente di avere la miglior casa del quartiere, la miglior automobile, i vestiti migliori. Eravamo quindi dei materialisti che si facevano guidare dalla società, da quello che poteva dire la gente. A casa mia non ho mai sentito parlare della castità. Mio padre mi diceva
sempre: “Figlia mia, il giorno in cui penserai al matrimonio, cercati un uomo con una buona carriera; cercati un uomo che abbia uno stipendio elevato! Ma cerca anche tu di pensare alla tua carriera, così da poter guadagnare molto denaro. Negli Stati Uniti non puoi avere fortuna se non hai una buona carriera. Non sei nulla!”. Ecco, queste erano le cose importanti. Questi erano i valori che io serbavo nel mio cuore.
Mia madre, come vi dicevo, era una madre amorosa. Per me era la miglior madre del mondo. Però il difetto che aveva mia madre era la vanità. Quando era bambina mi diceva sempre: “Figlia mia, io mi suiciderò quando avrò 40 anni. Mi taglierò le vene, perché preferisco mille volte morire che avere le rughe sul viso”. Mi ricordo che la prima volta che mia madre mi disse queste parole mi spaventai molto e le dissi: “Mamma, come puoi dirmi che ti ucciderai per non avere le rughe sul volto?”. Si, mia madre ci teneva molto alla bellezza e al rimanere giovane. I valori della vita che io appresi nel mio focolare riguardavano la bellezza, la giovinezza, il successo e la buona carriera. Mi veniva detto: “Figlia mia, rispettati. Vali molto. Venivo posta come sopra un piedestallo. Sei vergine, proteggi questo tuo tesoro, questa purezza! Arriva alla chiesa col vestito bianco! Io non avevo questi sogni. Nella mia scuola, quando avevo 12 anni, ci dissero: “Ragazzi, vi faremo un corso di educazione sessuale. Dovete ottenere il permesso dai vostri genitori”. Ricordo che quando giunsi da mia madre, le dissi: “Mamma, ci hanno detto che ci verrà fatto un corso sul sesso, e stanno aspettando una risposta dai genitori”. Mia madre mi rispose: “Favoloso! Mi fa piacere che della gente intelligente venga a farvi questo corso”. Rimane il fatto però che io sentivo che mia madre si vergognava di parlarmi della sessualità. Anche mio padre si vergognava di parlarne. Anch’io però mi vergognavo se i miei genitori me ne avessero parlato. Preferivo mille volte andare al corso così che avrei ascoltato quanto mi avrebbero detto. Così anch’io avrei potuto fare delle domande – così credevo – liberamente.
Bene, il primo giorno del corso ci portano 30 banane e 30 preservativi, e ci insegnano ad applicare i condom sulle banane dicendoci: “Ragazzi, ora vi insegneremo come praticare il sesso sicuro”. Ci diedero anticoncezionali dicendoci che questi mezzi ci avrebbero evitato una gravidanza e un contagio sessuale. Ma quella era una menzogna. È scientificamente comprovato che gli anticoncezionali sono abortivi, però non prevengono alcuna gravidanza! La stessa cosa può dirsi per il condom, che non dà una sicurezza assoluta, né per quanto riguarda la gravidanza e nemmeno per la difesa da malattie. Però in questo corso ci dicevano: “Cento per cento sicuro”.
Ci parlarono della pornografia: “Ragazzi, non succede nulla, state solo guardando!”. E ci parlarono della masturbazione dicendoci che non c’è nessun problema a masturbarsi. “Noi preferiamo che vi masturbiate, piuttosto che abbiate relazioni sessuali con differenti partner. A noi non interessa se vi piacciono gli uomini o le donne: tutto ciò è del tutto normale!”.
Noi facevamo domande anche sulla omosessualità, sulla masturbazione, e loro ci rispondevano che “la masturbazione era una cosa sana, che ti toglieva lo stress, eccetera”. Era una vera distorsione della realtà. Così, quando uscii da quel corso quello che avevo appreso era che avrei potuto avere tutte le relazioni sessuali possibili, l’importante però era che mi proteggessi con il “sesso sicuro”. Questo era il concetto che mi ero fatta della sessualità. Valori totalmente negativi. Un vero inganno!
Ricordo che a quella giovane età ormai non avevo più una fede certa. Non andavamo più a messa. In quel tempo ci fu anche il divorzio dei miei genitori. Questo fatto fu molto doloroso per me. Ricordo che questo trauma mi causò un problema che si chiama dicotilomania. È un trauma che causa a molte bambine la caduta dei capelli. Mi spiaceva moltissimo, perché avevo una bella capigliatura. Non sapevo però come arginare questa sofferenza. Con mio padre, dal Guatemala andai in Messico, dove vissi con lui. Io mi presi cura della casa, lavando i panni e cucinando. Mio padre mi diede molta libertà di fare quello che con mia madre non avrei potuto fare. Così cominciai a uscire. Non avevo alcuna disciplina. Perciò andavo a ballare ogni fine settimana con le amiche. Ero vanitosa, egoista, superba. Dovevo essere sempre la migliore, la più bella, la meglio vestita e alle volte bevevo. Ecco, questi erano i valori che riempivano il mio cuore.
All’età di 19 anni conosco il mio primo fidanzato- Io ne avevo 19 e lui 24, e abbiamo cominciato ad avere relazioni sessuali. Io pensavo che l’amore vero era una cosa buona, e quando si vuol tanto bene a una persona, ci si concede totalmente. Per me questo era l’amore! Oggi però posso dire che è un amore falso, perché ci sono gravi conseguenze quando si hanno relazioni sessuali fuori del matrimonio. Così iniziammo ad usare il preservativo. Ma il condom non è sicuro al 100%! Il condom può fallire al 25% nel primo anno e il 55% il secondo. Quindi non protegge assolutamente da una eventuale gravidanza. E fu quello che successe a me. Compresi l’inganno e mi sentii tanto male. Alle prime nausee parlai con mia cugina, la quale mi portò un test di gravidanza. Quando scopro che è positivo la prima cosa che entra nel mio cuore è la paura. «Che cosa debbo fare? Mio padre si arrabbierà con me, mi scaccerà da casa? E i miei studi? E il successo? Qui non c’è alcun successo! Sono gravida a 19 anni. Qui finisce la mia vita! Non riuscirò a fare nulla!»- e la seconda cosa a cui penso è: “Il mio corpo cambierà”. Ero tanto vanitosa. Al tempo del ginnasio pensavo che se non si è belli attraenti, non si è nulla. Questo era quello che avevo appreso! Così il mio corpo si deformerà. Non lo voglio! Pensavo a cosa avrebbero detto mio padre e la gente. Che avrebbero detto di me?
Così mia cugina mi disse: “Devi abortire! Io penso che dovresti impegnarti nei tuoi studi, abortire e apprendere la lezione”. Quella cugina mi voleva bene e anch’io glie ne volevo. Quando la rividi piangevo perché avevo molta paura. Lei non pensava di darmi un cattivo consiglio, ma il migliore! Eravamo entrambe ignoranti. Però io dissi che prima volevo parlare col mio fidanzato. Quando gli parlai, egli si dimostrò molto felice di essere padre, e mi dice: «Patrizia, io ti appoggio. Non preoccuparti, io sono con te e ti proteggerò!». Voi non potete immaginare quanto sono importanti e quanto diano consolazione queste parole per una donna impaurita per una gravidanza improvvisa. Questo fatto mi diede molto coraggio, perché non mi sentivo più sola! È importante l’appoggio dell’uomo! Sapete che la causa numero uno dei 66milioni di aborti che si sono praticati negli Stati Uniti è dovuta al disinteresse o al non appoggio della donna da parte degli uomini.
Ricordo di aver fatto la mia prima ecografia mentre ero al secondo mese di gravidanza, e potevo vedere chiaramente le braccia del bambino e il suo cuore che palpitava. Vidi che il bimbo si stava formando. All’uscita di quell’appuntamento io appoggiavo le mie mani sul ventre e cantavo. Anche la notte mettevo le mani sul mio ventre e sentivo che stavano proteggendo quella creatura, e mi sentivo felice. Dopo qualche tempo giungono a casa mia le mie migliori amiche, le quali, sapendo il fatto, mi dicono: «Patrizia, sei matta, stai prendendo la peggiore decisione della tua vita! Si, hai visto l’ecografia, ma guarda che ciò che è in te non è ancora completamente formato! Non è ancora un bebè: è un grumo di cellule! Devi abortire prima dei 5 mesi, perché a quel punto è un bebè. Tu sei al quarto mese di gravidanza e hai ancora l’opportunità di farlo. Tu devi approfittare per continuare i tuoi studi!».
Queste parole riaccesero in me la paura, per cui dissi: «Hanno ragione. Sono matta! Che cosa sto facendo?». Io credo che la più profonda causa dell’aborto è la paura. So anche che c’è anche l’egoismo, ma prima dell’egoismo viene la paura! A causa di questa paura dissi: «Si, hanno ragione, vado ad abortire!». Però io non diedi la notizia al mio fidanzato: era troppo felice. Così dovrò raccontargli bugie. A parte il fatto che i latini non abortiscono, e nemmeno i messicani. Queste cose le fanno gli americani! “Così dovrò raccontare bugie al mio fidanzato, dicendogli che ancora non è un bebè e che era un grumo di cellule”. In quel momento ciò che conquistava il mio cuore era l’egoismo, il mio successo, il “che diranno la gente e mio padre?”. Era solo il mio interesse che regnava nel mio cuore.
Arrivo alla clinica piena di vergogna. Mi dicevo che non volevo guardare in faccia a nessuno e fare le cose al più presto possibile per poi uscire. Entrata nella clinica non potei fare a meno di vedere che nella sala d’attesa c’erano solo scarpe da tennis di giovani ragazze. Erano presenti da 20 a 30 giovani di 13, 14, 15, 16 e 17 anni pronte per abortire. Rimasi molto sorpresa nel vedere tante giovani. La addetta alla reception mi dice che in California e in molte parti degli Stati Uniti le giovani di 13 anni possono abortire senza il consenso dei genitori. Credo che qui in Spagna sia fino ai 16 anni. Così il padre di una figlia di 13 anni non è al corrente del fatto che sua figlia ha abortito.
In California, se una giovane di 20 anni ha un forte mal di testa ed emtra in una farmacia per prendere una pastiglia contro il mal di testa, non può averla, perché è solo dopo i 21 anni che si può averla senza ricetta. Però una bambina di 13 anni che desidera abortire in una clinica per aborti, può ricevere una anestesia, che è ben più di una pastiglia! Così sono le leggi!
Entro così dal chirurgo. Sapete che non viene detto nulla di ciò che succede durante e dopo l’aborto. Mi misi seduta sul lettino e la dottoressa mi disse: “Patrizia, non preoccuparti, non essere nervosa. Guarda, anch’io ho praticato un aborto. Ho detto tutto anche a mia figlia. Io sto bene e anche tu starai bene. Non stai facendo nulla di male! Si tratta solo di un grumo di cellule!”. Io guardavo questa dottoressa: bella, affascinante e molto professionale, e mi dicevo: “Anche lei ha praticato un aborto e ne ha praticati due in un anno a sua figlia, e vedo che sta bene. Quindi non sto facendo niente di male! È una dottoressa! E i medici desiderano il bene per i loro pazienti”. Così mi sono calmata dicendomi che alla fine tutto sarebbe passato in cinque minuti.
Nel frattempo entra l’infermiera con l’apparecchio per l’ecografia, e lei mi dice: “Patrizia, ti facciamo l’ultima ecografia per federe a quanti mesi di gravidanza sei”. Mi ricordo che mi passavano con l’apparato sull’addome. Il mio cuore mi diceva: “Guarda lo schermo!”. Mi ricordavo di essere al quarto mese di gravidanza. “È già sviluppato – mi dicevo – non lo faccio! Poi: “Infermiera, posso guardare lo schermo?”. E lei: “Perché vuoi vedere lo schermo?”. “Perché voglio vedere se è sviluppato, se è già grande …”. “Il bebè? Ma è chiaro che non è un bebè: è un grumo di cellule! Non stai facendo nulla di male. Non è necessario che guardi lo schermo!”. Durante l’aborto dicevo: «Io ho deciso di farlo. Non ni creerà alcun trauma. Io sarò più forte! Così mi dicevo che non avrei dovuto piangere. Avrei solo dovuto sopravvivere in quei 5 minuti. Cinque minuti passano rapidamente. Io dovetti controllarmi per poter sopravvivere a quell’aborto. Non ricordo gli strumenti, non ricordo il dolore, non ricordo nulla. Ma ricordo che il mio cuore divenne tanto duro per poter sopravvivere a quell’atto e inquietarmi.
Prima di uscire dalla clinica la dottoressa mi dice: “Bene, ora ti diamo questi anticoncezionali, queste pastiglie perché possa aver cura di te stessa e poter praticare il sesso sicuro”. E aggiunse: “L’unico problema che avrai dopo questo aborto saranno delle coliche e dei piccoli flussi di sangue. Domani può cominciare il suo lavoro, non ci sono problemi!”. Non mi parlarono mai della sindrome post aborto, e dell’inferno che avrei dovuto soffrire emotivamente, mentalmente e per conseguenza, fisicamente per le fitte al ventre, dopo questo aborto. Sentii tutto ciò come un tradimento, anche se alleggerito, perché io non avevo ancora quei problemi. Ma sentii qualcosa di raro quando avvertii come un ribaltamento nel ventre. Era una cosa strana, ma mi dissi che l’avrei dimenticato, continuando ad essere la donna di prima.
Parlai col fidanzato e gli dissi: «Cosa credi? Questa mattina mi sono sentita male e ho perduto il bebè. Sono stato dalla ginecologa e lei, freddamente: “Abbiamo perduto il bebè”. Fredda anch’io. E quando mi resi conto che lui piangeva, e piangeva la perdita del bebè … Egli era seduto in quel momento. Mi dissi: “Ma lui è un uomo, come può piangere la perdita di un bebè? Sono io la donna che ha abortito, e non posso spargere una lacrima. Mi sono sentita molto colpevole in quel momento, ma non mi sentivo triste. Era come se fossi bloccata. Così dissi: “Beh, però non sono più incinta. Andremo avanti come prima e dimenticheremo tutto. Però non potevamo dimenticarlo. Io sentivo ansietà dentro di me, avevo incubi notturni, e quando vedevo bambini piangere rimanevo traumatizzata.
Anche il mio fidanzato piangeva e mi diceva: “Patrizia, io sogno una bambina che mi dice papà, papà!”. E diventava triste. Anche lui soffriva la sindrome del post aborto. Anche mio padre, che non sapeva dell’aborto, pareva ne soffrisse egli stesso le conseguenze. Io mi arrabbiavo quando mi diceva che voleva una bambina, e gli dicevo: “Taci! Perché sei triste?”. Ed era perché mi sentivo in colpa. Mi rimanevano fra le dita ciocche di capelli. Il mio fidanzato mi dava repulsione e così i miei sentimenti verso di lui cambiarono. Egli non capiva cosa succedeva e mi diceva: “Patrizia, perché sei sempre arrabbiata? Hai degli attacchi di ira, sei triste, piangi? Torna quella che eri prima!”.
Io non capivo quello che mi succedeva, e non lo collegai all’aborto. Però ho continuato ad avere relazioni sessuali con lui, praticando il “sesso sicuro”. Io ero una donna responsabile che prendeva ogni giorno la sua pillola. Nonostante ciò mi trovo incinta per la seconda volta. Erano passati sei mesi dal primo aborto e mi chiedevo: “Com’è possibile che mi trovi incinta un’altra volta?”. E dire che mi prendo cura di me stessa e sono responsabile!”. Non riuscivo a capire.
Però questa volta decisi che appena fossi stata al primo mese di gravidanza – essendo un grumo di cellule, non sarebbe stato nulla di male … -, ma che vergogna ritornare alla stessa clinica. Come avrei potuto tornare e mostrare la faccia quando mi avevano praticato l’aborto sei mesi prima? Così andai alla clinica di Planned Parenthood. E mi dicevo che non avrei sentito nulla e che sarei stata quieta. “Io voglio dominare questo aborto – mi dicevo -, non mi lascerà traumatizzata”. Ma la cosa che ricordo della dottoressa di quella clinica, e che mi accolse con un applauso, dicendo: “Congratulazioni Patrizia! Non ci posso credere che non stai piangendo! Non posso credere che non stai scalpitando e che non mi dai problemi! Sei la donna coraggiosa che ho visto durante un aborto! Sei la miglior paziente che abbia avuto! Questo è un bene anche per me! Congratulazioni! Sei una donna coraggiosa”.
E io mi sentivo come una donna coraggiosa. La miglior donna durante un aborto in Planned Parenthood. Mi mettono in una piccola stanza dietro la clinica, mi fecero indossare un camice e dei calzini caldi, mi fecero un massaggio, mi offrirono un the con dei biscotti, e mi dissero: “Felicitazioni! Ci hanno detto che ti sei comportata molto bene”. E io, gratificata per lo stile e il servizio di Parenthood, Così sono uscita nuovamente con un contenitore di condom e gli anticoncezionali per poter continuare a praticare il “sesso sicuro”. Ciò che mi affascinava di Planned Parenthood, e che loro, quando parlavano con mio padre, cambiavano la denominazione perché non si rendesse conto che io avevo appuntamento con loro. Quando mandavano i risultati per posta, non mettevano mai francobolli sulla busta, così che mio padre non si rendesse conto che io andavo negli Stati Uniti. Non mi chiedevano nulla nemmeno per gli anticoncezionali. Per questo per me quelli di Planned Parenthood erano come dèi: erano la mia salvezza! Così io potevo fare quello che volevo con il mio fidanzato, e loro mi appoggiavano. Loro erano il meglio per me.
Io continuavo nella relazione col mio fidanzato, ma le cose peggiorarono dopo il secondo aborto. Ancora coliche, ancora le solite pastiglie e le solite cose che sentivi. Ero tanto angustiata da pensare di togliermi la vita. Mi sentivo tanto angustiata, tanto vuota, mi strappavo i capelli. Mi guardavo allo specchio, e siccome prima avevo pianto, dalla principessa che ero in precedenza, vedevo una persona piena di astio. La mia autostima cominciò ad abbassarsi. Mi vedevo ingrassata, molto degradata, così iniziai ad essere anoressica e con disordini mentali. Non potevo dormire perché mi sentivo colpevole, e non capivo perché mi succedevano queste cose. La sensazione di fastidio che mi dava il mio fidanzato cresceva, così mi allontanai da lui.
Il 90% delle coppie in cui avviene un aborto finiscono con la separazione o col divorzio. Questa è una statistica comprovata. Così io mi stavo allontanando da lui. Mi irritava, ma continuavo a stare con lui. Continuammo con gli anticoncezionali, avendo relazioni sessuali “responsabili”, tanto che mi ritrovo incinta per la terza volta. Come può essere? Io ero arrabbiata e mi chiedevo: “Perché continuo a rimanere incinta? Non lo capisco! Questa volta però non volevo abortire da sola e non volevo sentirmi in colpa. Voglio che anche lui si senta in colpa e viva la miseria in cui sto vivendo. Così, quello che farò è andare a dirgli che sono incinta. Ma io sapevo che lui sarebbe stato contento. Però farò in modo di ingannarlo perché mi porti alla clinica per abortire.
Ricordo che gli parlai, e ne fu tanto felice. Ma quando ho sentito la sua felicità, gli ho detto: “No, non essere tanto felice, perché questa gravidanza non si può portare a termine. Non possiamo essere genitori: siamo troppo giovani e questo non è il tempo!”. Io penso che molti dicono che “non è il tempo”. “Prima ci sposiamo, e poi formiamo una famiglia”. E quando lui mi dice: “Davvero Patrizia vuoi sposarti con me?”, egli non sapeva che gli raccontavo bugie, perché non lo volevo. Gli risposi: “Certo che voglio sposarti!”. E quando mi dice: “Patrizia, io desidero accontentarti, ma io non voglio abortire!”. E quando egli mi disse “io non voglio abortire”, in quel momento mi trasformai in leonessa, dicendogli: “E tu che diritto hai sul mio corpo? È il mio corpo! Così dovrei lasciare i miei studi, il mio lavoro? Dovrei caricarmi di questa miseria dunque? Per te non c’è alcun problema, la tua vita non ha da cambiare, tu puoi continuare a studiare e a lavorare! Il corpo è mio! È il mio diritto! E ti dirò che non mi importa di quello che succede, io vado ad abortire! Tu non hai voce in capitolo! Rendetevi conto: io gli tolsi il diritto di essere papà! Egli non poteva dire nulla.
Da quel momento tutto andò male, ma io pensavo nel mio cuore: che persona sconsiderata! A lui non importa del fatto che la mia vita diventi un disastro! Mi pareva un egoismo il suo, e pensavo che lui non avrebbe sofferto come me! Quella era la mia mentalità. Così andammo alla clinica. Tutte le donne presenti venivano esaminate in gruppo. Anche gli aborti si facevano a gruppetti. In quel modo avevamo la sensazione di essere accolti, potendo fare amicizia con le altre. Quello era il modo di agire di quella clinica. Ricordo che quando ero sul lettino vidi prendere la macchina per la suzione, che è un aspiratore molto potente, 28 volte più potente di un aspirapolvere domestico. Mi ricordo che il rumore era tanto forte – già l’avevo sentito -, però volevo vedere la reazione del mio fidanzato. E quando mi sono girata per vedere il suo viso – mai avevo visto un volto così terrorizzato -, le sue labbra tremavano nervosamente. La sua mano stringeva la mia. E durante l’aborto io sentivo le sue lacrime che bagnavano il mio viso. E quando ho sentito le sue lacrime su di me, mi sono sentita tanto in colpa e dicevo in cuor mio: “Perché lui può piangere per l’aborto, e io non posso spremere una lacrima? Perché non mi sento triste? Mi sento in colpa, però non sono triste. Lui sta piangendo un aborto nel suo nome. Cosa succedeva al mio cuore? Il mio cuore era diventato duro!
Dopo questo fatto ricordo che pensai: “Non racconterò a nessuno dei miei tre aborti”. Lui crede che questo sia il mio primo aborto, quando in realtà è il terzo aborto in un anno e mezzo. Nessuno, nessuno si renderà conto di questo! Lo nasconderò nel più profondo di me stessa, perché sentivo una grande vergogna per questo aborto. Mi vergognavo di fronte a lui, e non potevo guardarlo in faccia. Così gli dissi che mi sentivo disperata e volevo uccidermi. “Ho bisogno di cambiare ambiente – gli dissi -, e mi trasferisco nella capitale della California che si chiama Sacramento.
Vedo un annuncio della Planned Parenthood che necessita urgentemente una infermiera che parli spagnolo. Ma io dissi: va bene, non sono infermiera, ma alla fine vogliono una persona che parli due lingue. E durante l’intervista l’incaricata mi disse: “Non preoccuparti, Patrizia, se non sei infermiera, noi possiamo insegnarti. Io vidi questa come una buona opportunità, però mi pareva strano che non volessero le mie credenziali, accettandomi così. Immaginatevi, per maneggiare siringhe, aghi e strumenti è necessario un po’ di pratica. Ma loro mi dissero: «Non preoccuparti, noi stessi ti insegneremo! Hai problemi nel vedere molto sangue?». Risposi: “No”. «Bene, qui in questa clinica facciamo 25 aborti il mercoledì e 25 il venerdì. 50 aborti ogni settimana. Di queste, almeno 45 sono donne latinoamericane che non hanno documenti e non conoscono nemmeno una parola di inglese. Per questo abbiamo bisogno di una come te, che lavorerai con noi». Mi pagavano tre volte di più del mio lavoro precedente. Mi resi conto cheerano solo persone giovani che lavoravano a Planned Parenthood. Oralo capisco: Planned Parenthood prende giovani innocenti e inesperte e le pagano molto perché rimangano lì.
Io ero felice perché la vedevo come una impresa di successo, e io volevo il successo e vedevo la crescita della carriera in quel luogo. Quando inizio, era un lunedì, la incaricata di Planned Parenthood mi accoglie immediatamente nel suo ufficio e mi dice: «D’accordo, Patrizia, oggi faremo 50 visite. Tu preparerai queste ragazze all’aborto per il mercoledì e il venerdì. E se tu vedi una ragazza che ha molta paura di abortire, tu dovrai fare tutto ciò che è in tuo potere perché non manchi all’appuntamento. Le dirai che tu stessa hai fatto 3 aborti, che stai bene e che anche lei starà bene. Non potrai portare in clinica nessuna fotografia della tua famiglia, dei tuoi cugini, dei tuoi nipoti, perché se una donna entra e vede la fotografia di una famiglia può restare traumatizzata, e se ne va. E se se ne va, la colpa è tua. In questa clinica non si usa la parola bambino, mamma o papà. Tu parlerai sempre di grumo di cellule. Nemmeno userai la parola “feto”. La cosa più importante in questa clinica è quella di non lasciare mai che una donna guardi lo schermo dell’ecografo. Anche se lo esige e piange, tu dirai che c’è già una infermiera che guarda lo schermo e che lo schermo deve essere rivolto verso di lei. Né tu, né gli altri addetti possono guardare lo schermo! Siamo intesi?». Ero un po’ confusa e mi chiedevo perché volevano cambiare il mio vocabolario. Però stetti in silenzio.
Continuavo per tutto il giorno a ripetere quello che mi aveva insegnato l’incaricata, preparando così le pazienti all’aborto. La domanda numero uno è quella che fanno tutte le donne è: «Il mio bebè soffrirà?». E io rispondevo: “Certo che non soffrirà, perché non è un bebè, ma un grumo di cellule! E un grumo di cellule non sente nulla, non preoccuparti!”. Le tranquillizzavo, perché dovevo esser sicura che sarebbero tornate, altrimenti mi avrebbero rimproverata e avrei perso il lavoro. Ora poi vivevo sola in un appartamento e avevo un’automobile. Ma quello che stavo facendo nella massima ignoranza, erano in realtà degli assassini.
In quel tempo si potevano guadagnare fino a 1000 dollari per ogni aborto. Si guadagnavano 25mila dollari al giorno, 50mila dollari in due giorni! Ci sono cliniche negli Stati Uniti – sono poche, però ci sono -, in cui si praticano 3 aborti all’ora. Si tratta di un vero mercato in una cultura di morte! Però io, nel mio cuore, pensavo di aiutare queste donne, pensando che era meglio che queste donne non soffrissero e non mettano al mondo un bambino per soffrire! Io pensavo di star facendo un bene. Arrivò il mercoledì, giorno degli aborti. Quando arrivo, in quel mattino, l’incaricata mi dice: “Patrizia, oggi devi caricare le batterie, perché viene da fuori un abortista. Sarà un susseguirsi di aborti per tutto il giorno. Non possiamo perdere nemmeno cinque minuti, perché perdiamo denaro! Sai perché questo dottore viene da fuori? Un dottore esterno non lo conosci, non è di questa clinica. Lo si fa perché quel dottore, dopo aver praticato tanti aborti, se una donna ha qualche complicazione e presenta un reclamo, quel dottore non fa parte della clinica! Così non abbiamo problemi!”. L’aborto è l’unica chirurgia in cui negli Stati Uniti una donna non può poi chiedere ragione di una morte o di una complicazione. Letteralmente, la donna firma un documento in cui afferma che qualsiasi cosa succeda, non può chiedere e reclamare. Questa è la legge della California e in molti stati degli Stati Uniti.
Lei mi disse un’altra cosa importante: “Tu non dovrai mai dire assolutamente a qualcuno di ciò che hai visto nello schermo, quando sarai fuori di qui. E non potrai avere nessuna amicizia con una delle pazienti, e nemmeno guardarla negli occhi durante l’aborto, perché il 99% delle donne giungono qui angosciate. Giungono piangenti, sperando che la addetta alla reception, una infermiera o il dottore la guardino negli occhi e le dicano: “Perché stai piangendo? Davvero intendi abortire? Ci sono altre opzioni, se vuoi! Puoi non abortire! No, Patrizia, qui l’unica scelta è l’aborto! Per questo non puoi guardarle negli occhi”. Ricordo che mi ha detto: “Non dovrai mai dire a una madre o al padre che è in sala d’attesa, che dopo l’aborto gettiamo i resti del loro bebè nell’immondizia”.
Quando sentii quelle parole: “Gettiamo i loro bambini nell’immondizia”, rimasi tanto confusa, perché avevo sentito la parola “mamma, mamma!”. Non erano papa e mamma. Ma rimasi zitta e non feci alcuna domanda. La prima donna aveva 15 anni, sembrava svenirmi tra le braccia. E io le dicevo: “Non esagerare! Stai scoraggiandoti per un grumo di cellule? Io sono stata coraggiosa. Non ho mai pianto e non mi sono mai scoraggiata!”. Mi ricordo che piangeva e sudava, ma io non potevo guardarla negli occhi. La misi sul lettino. Entrò il dottore e mi disse: “Patrizia, dobbiamo procedere con l’aborto. Devi metterti dietro a me per darmi assistenza”. Così mi misi dietro a lui per essere guidata. Ma io non avevo imparato ancora nulla. Era la prima volta nella vita che assistevo a un atto chirurgico. Il dottore prese gli strumenti. Ricordo che prese una siringa lunga come la distanza fra le dita della mia mano e il gomito. E disse che avremmo dovuto iniettare quella anestesia per sette volte così che lei non senta nulla. Quando vidi quella siringa pensai ai miei tre aborti. E poiché non ricordavo nulla, mi spaventai.
Mentre il liquido veniva iniettato sette volte la ragazza si spaventò. Vennero messi in ordine gli strumenti. Prese la cannula, che è un ferro sottile che si adatta alla macchina per l’aborto che finisce a punta come un coltello. Un piccolo tubo lungo collegato all’aspiratore. Quello che vidi per cinque minuti, stando dietro al dottore, era che lui, entrando nell’utero cercava di andare di qua e di là come meglio poteva. La ragazzina cominciò a muovere freneticamente le gambe. Gli strumenti si muovevano di conseguenza. Il sangue scorreva e il medico si muoveva continuamente. Era un caos totale! Mi ricordo che mentre stavo dietro al dottore la ragazzina gridava: “Il mio bebè, il mio bebè!”. Tutte le donne sanno che è un bambino nel profondo del loro essere. E mentre ero dietro al dottore, mi dicevo: “Questo non è normale! Sembra che la stiano violando. Ed è comprovato scientificamente che l’aborto procurato è letteralmente un atto di violenza. Una violazione!”. E il medico si muoveva in questo caos, palpeggiando. E io gli dissi: “Dottore, come fa a sapere che ha fatto uscire tutto?”, perché io vedevo che era in difficoltà. Mi rispose: “Lo vedo per il tempo, che io controllo. E lo calcolo per la quantità di sangue che finisce in quel fiasco …”. Poi disse: “Ecco, Patrizia, sono già passati 5 minuti e credo che abbiamo terminato. Credo …”.
Si ferma la macchina. È già uscita una gran quantità di sangue. Apre il “fiasco” e il contenuto cade in una borsa. L’infermiera che era ferma nello stanzino, mi dice: “Patrizia, prendi la borsa e vieni con me. Seguii la ragazza in uno stanzino dietro la clinica. E lei mi disse: “Corri a chiudere la porta, perché se questa giovane si alza per andare in bagno e vede quello che vediamo in questo momento, allora si che abbiamo problemi, perché può chiederci qualcosa!”.
Io, che ero molto confusa, chiusi la porta. E pensavo: “Beh, si tratta solo di un grumo di cellule, come avevo detto due giorni prima a quella ragazza, e che non c’era nulla di male! E che dovevamo solo controllare quelle cellule e poi poteva andare a casa”. Di fronte a noi c’era un contenitore di vetro. Presi la borsa e versai il suo contenuto nel contenitore. La mia collega prese una pinza e la mosse al suo interno cercando qualcosa. All’improvviso vidi comparire un braccio con la manina distesa. E mi disse: “Questa è la parte numero uno. In questo momento la voce di Patrizia si incrina). È necessario trovare 5 parti del feto per dire al medico che l’aborto ha avuto successo”.
In quel momento per me fu come se Dio avesse fermato il tempo, così che io potessi vedere tutti i dettagli. Così ho potuto vedere la forma delle dita, e quella forma ci identifica come esseri umani. Potevo vedere le linee del palmo della mano e, all’estremità delle dita, le unghie formate. E tutto ciò viene gettato nella spazzatura! Alza la luce, ed ecco una gambetta deformata. E ricordo di aver visto il piede con all’estremità delle dita la traccia delle piccole unghie. E quello che mi colpì molto era vedere la pelle che cresceva sul piede. E disse: “Questa è la parte numero 2”. E la gettò tra i rifiuti. Trovò poi l’altro braccio e l’altra gamba. E alla fine, quando alzò la piccola testa verso la luce, fui invasa da un dolore profondo, perché vidi i capelli, gli occhietti, il suo naso, le sue orecchie. Però quello che mi addolorò di più fu il vedere la sua boccuccia aperta, perché questo bebè gridò per la sua vita minacciata, e nessuno lo poteva sentire perché non aveva voce. Voglio chiarire che la anestesia era solamente per la donna, non per il bambino! Questo fatto me lo conferma un ginecologo pro vita del Guatemala. Il bambino ha sentito ogni strappo sul suo corpo. E anche la testa finì nella spazzatura. Alla fine l’infermiera disse: “L’aborto è andato bene …”.
Quando io vidi com’era finito questo bimbo di tre mesi di gestazione, mi ricordai di aver abortito a 4 mesi, e mi resi conto di essere stata ingannata. Mi dissero infatti che si trattava di un grumo di cellule. Questo non era un grumo di cellule, ma un essere umano. Però rimasi zitta come una codarda, atteggiandomi da forte. E dissi: “Io posso sopravvivere a questo”. Il trauma fu grande, ma cercai comunque di sopravvivere. Quello che mi impressionò era però il fatto di vedere come la mia collega prendeva le parti del bimbo dicendomi: “Che cosa farai in questo fine settimana? Che cosa mangerai sta sera?”.
Poi entrò il medico per chiedere se c’erano tutte le parti, mentre scherzava, canticchiava e raccontava barzellette alle colleghe. E io mi dicevo: “Ma queste persone sono diventate come dei robot, come zombie, che non provano quello che sto provando io. Non hanno visto che si tratta di un essere umano?”. Ma io rimanevo in silenzio. Così tutto il giorno in quella clinica, il giorno degli aborti, è una cosa che ti riempie di orrore, perché ascolti il rumore della macchina – che è come quello degli aspirapolvere -, e lo senti tutto il giorno. Le ragazze sembrano svenire letteralmente. Le trascinano verso il lettino. E gli aborti erano a ripetizione. Per me era partecipare all’uccisione di esseri umani come in una autentica macelleria.
Entra una ragazza, abortisce e se ne va. E così per tutto il giorno questa macchinazione e questo lucroso negozio. Era una cosa tanto brutta che, alla fine della giornata, in quella borsa si sono accumulate 25 parti di essere umano. Io chiesi all’infermiera: “Che cosa facciamo con questa borsa?”. E lei mi rispondeva: “Ah, con questi rifiuti? Attenta che non possiamo gettarli nei bidoni della spazzatura esterni, perché le donne, quando escono, possono aprire un bidone e vedere i resti dei bambini morti e disseminati. Li mettiamo in un congelatore e ogni mese viene una compagnia che li getterà nella discarica. Quella ragazza aveva 14 anni.
Sappiamo che da qualche tempo La Planned Parenthood traffica con organi di bambini. Il mercato non si ferma. Precedentemente i feti venivano smaltiti in discarica. Mi ricordo di aver visto il grande congelatore e, con mia grande sorpresa, vedo blocchi di ghiaccio contenenti pezzi di bambini che la Planned Parenthood aveva ottenuto dagli aborti di un mese. Immaginate di vedere un blocco di ghiaccio con mani, teste con la bocca ancora aperta nell’ultimo grido. Era una cosa bruttissima. Io ero arrivata proprio quando portavano via tutti quei resti umani per gettarli nella discarica.
Da allora, ogni giorno mentre tornavo a casa con la mia auto, piangevo. Ogni giorno di più mi sentivo colpevole, anche perché mi rendevo conto di aver assassinato i miei tre figli! «Però – mi dicevo – che cosa faccio se me ne vado di qui? Come farò a mantenermi? Ho bisogno di lavorare!». Dopo un mese, ad ogni modo, non ce la facevo più. L’ultimo giorno del mio lavoro entro e vedo una giovane con il ventre molto ingrossato. E la incaricata mi dice: “sono felice. Non la avevo mai vista tanto felice”. Il fatto è che l’aborto a quella ragazzina di 16 anni sarebbe costato 3000dollari. Lei mi disse: “Sarai tu a seguire questo aborto. È al sesto mese di gravidanza ed è in cinta di due gemelli”. Noi sappiamo che un bebè di 6 mesi è in grado di vivere perfettamente, anche se è prematuro. Molti bambini sono sopravissuti ai sei mesi di gestazione. Io però non avevo il coraggio di vedere due bambini di 6 mesi fatti a pezzi in un contenitore di vetro. Uscii scappando di lì. Ero tanto traumatizzata da sentirmi come una assassina, come una complice che aiuta una mamma a uccidere i suoi figli con un inganno. Era come se uccidessi ancora i miei figli. Mi pareva di impazzire.
Da quel giorno cominciai a frequentare un ragazzo che si drogava. Il dolore che avevo nel cuore era tanto grande che solo la cocaina riusciva ad attutirlo. Ma la cocaina non mi faceva nulla, così iniziai a usare una droga che si chiama metafenamina, che si fuma con una pipa. È più forte, più potente. Mi drogavo, ma il dolore persisteva. Non potevo lavorare e nemmeno studiare in quelle condizioni. Persi anche la casa e la mia macchina. Avevo perso tutto! Rimasi in quelle condizioni di drogata per tre anni. Vivevo per la strada, addetta alla cocaina e alla metafenamina.
Dormivo sulle panchine, nei vagoni ferroviari, nelle auto e dormii anche in hotel con molti drogati. Non avevo il coraggio di parlare coi miei genitori perché mi consideravo un nulla. Ero come spazzatura. I miei valori erano il successo e la bellezza, ma ormai non valevo niente! Mi vergognavo di parlare coi miei genitori. Ricordo che mi guardavo allo specchio e non riconoscevo più la donna un giorno felice, quella donna che aveva dei sogni, la principessa amata dai suoi genitori, che credeva di farsi strada nel mondo. Ero diventata come una morta vivente. A causa della tanta droga consumata mi cadevano i capelli a ciocche. Ero tanto magra che mi ero ingobbita come una vecchia. Le ossa mi uscivano dalle spalle e dalle costole. Gli occhi erano diventati profondi per il tanto pianto, e inoltre non riuscivo a dormire. Quando mi guardavo nello specchio era come se guardassi la morte, una persona che non valeva più nulla. Una spazzatura.
E un giorno litigai con il mio fidanzato. Mi lasciò sdraiata su una panchina. Gli dissi: “Non tornare indietro per me! Mi fai arrabbiare!”. Mi ricordo di aver visto il mio fidanzato salire sulla sua automobile, lasciandomi sola. Passarono ore e ore, e io iniziai a piangere, a piangere, vedendomi sola su quella panchina. Avevo fame, sete e sonno. Non avevo nulla. Avevo toccato il fondo. Mentre piangevo, per la prima volta nella mia vita sentii la voce di dio Padre nel mio cuore. E sentii che mi guardava dal cielo con compassione. Sentii nel mio cuore che Lui era con me in quel momento. Egli mi amava da sempre, ma aspettava il momento del mio ritorno. E in quel momento tornai a vederlo. Ricordo che gli dissi: «Non ho nulla! Tu sei l’unico che ho in questo momento! Non ho droga, non ho famiglia, non ho amici, non ho nulla! Ma io voglio ringraziarti perché mi hai dato una fanciullezza tanto felice, con i migliori genitori del mondo! Io ho distrutto la mia vita e per questo ti chiedo perdono!».
Ricordo che abbracciai le mie gambe mentre piangevo e piangevo! In quel momento sentii un abbraccio. E quando aprii gli occhi per vedere chi mi abbracciava, vidi una giovane coi capelli biondi e gli occhi azzurri pieni di amore e misericordia. Il suo nome è Bonny. Lo vidi dall’etichetta che portava sul petto. Mi guarda negli occhi e mi dice: «Gesù ti ama!». Io le dissi: “che …?”. E lei mi ripeté: «Gesù ti ama! Io sono cameriera in quel ristorante. Dio ha parlato al mio cuore dicendomi: “Bonny, guarda dalla finestra, e di a quella ragazza drogata e affranta su quella panchina, che io la amo e le perdono tutto! Anche se suo padre e sua madre la abbandonassero, io non la abbandonerò mai! E io sarò con lei fino alla fine dei tempi! Questa è la divina misericordia di Gesù Cristo». Compresi in quel momento che Gesù era disceso in terra per me! Gesù si era avvicinato a me. In quel momento mi abbracciò. Ed era Gesù che mi diceva: “Io ti amo e ti perdono, e sono con te!”.
Però era necessario che mi pentissi perché accadesse questo miracolo. E quella ragazza mi disse: “Voglio portarti a casa tua. Non m’importa dove sia, ma ti porterò. Mi accompagnò alla casa di mia madre. Mia madre era tornata negli Stati Uniti. Mia madre mi abbracciò e mi disse: «Patrizia sono tre anni che prego per te! Sono tornata alla fede cattolica. Sono rimasta per ore in ginocchio davanti al Santissimo chiedendo che tu potessi tornare a casa!»
Ora voglio dire a tutti voi qui presenti che le preghiere di una madre sono tanto forti e potenti, che Dio mantiene un posto speciale per noi nel suo cuore! Voglio dire alle madri presenti di non perdere mai la fede se hanno un figlio che credono perduto, perché se Dio ha fatto per me questo miracolo, lo può fare con ognuno dei suoi figli. Ringrazio Dio per la vita di mia madre, perché se non fosse stato per lei e per la misericordia di Dio, io non sarei qui in questo momento a darvi la mia testimonianza.
Mia madre mi portò alla messa e alla confessione. Cominciai a guarire e a recuperare la mia dignità come figlia di Dio, perché prima non sapevo più chi ero! Ora so di essere una figlia di Dio. Mi portò anche a un ritiro spirituale, che si chiama “La vigna di Rachele”, perché io non potevo perdonarmi per aver abortito. Si, avevo confessato i miei aborti, però non riuscivo a perdonarmi. In quel ritiro, in cui entrai come la assassina dei suoi tre figli, il sabato notte, quando chiusi gli occhi per una meditazione io vidi i miei tre figli in piedi di fronte a me. Erano una bambina, un bambino e una bambina. E, mentre mi avvicinavo a loro saltavano per la gioia, cantando misericordia. E gridavano: “Guarda, sta arrivando la nostra mamma. Quanto le vogliamo bene! Quanto la amiamo! Guarda, stiamo conoscendo nostra madre!”. E ricordo che la più piccola saltellava girandosi per dire ai suoi fratelli: “Guardate che bella la nostra mamma!”. Aveva i capelli raccolti a chignon. Sentii che in quel momento Dio parlava al mio cuore dicendo: «Patrizia, la Vergine Maria ha messo quel vestito ai tuoi figli, perché tu li veda così belli! Stai certa che sono sotto la mia protezione e quella della Vergine Maria nel Cielo».
Al mio risveglio dopo questa meditazione, sentii la misericordia dei miei figli, in quel momento mi sentii risanata. Molte delle persone che hanno abortito, per riuscire perdonarsi, debbono sentire il perdono dei loro figli non nati. E loro le perdonano! In quel momento, quando vidi il loro amore, volli recuperare, visto che ero stata una cattiva madre, volevo recuperare ed essere la miglior madre che posso essere in questo momento. Da quel momento feci la promessa di difendere la vita con tutto il mio cuore e tutto il mio essere, per riparare tutti i danni che ho fatto.
La mia prima figlia si chiama Marianna, in onore alla Vergine: il secondo si chiama Emmanuel, in onore di Gesù (Dio con noi); e la terza si chiama Rosy, in onore del Rosario. Sapete, la mia croce è stata pesante. A volte potete sentirvi scoraggiati per i problemi della vita, però desidero consolarvi usando le parole che mi dice il mio direttore spirituale: “Patrizia, non sperare di vedere i frutti, perché se uno non vede i frutti si scoraggia. Ma il giorno in cui arriverai in cielo, Patrizia, tutti i bambini non nati verranno verso di te e ti abbracceranno e ringrazieranno!”. E le persone che lavorano per la vita avranno un giudizio speciale nel giorno della loro morte. Gesù è il nostro avvocato! Però quando noi, pro vita, saremo in piedi di fronte al Padre, la voce dei non nati griderà: «Padre, Padre, abbi misericordia di queste anime, perché ci hanno amato!». (Qui Patrizia è molto commossa). Quando morirete, queste voci chiederanno per voi: «Padre, Padre, abbi misericordia di queste anime, perché ci hanno amato!». Questo è ciò che dobbiamo sperare! Non vedere i frutti sulla terra, ma nel Cielo, che è la nostra corona di perle.
Sapete, fu molto difficile quando cominciai a dare la vita, perché ebbi ancora delle prove difficili. Dopo qualche anno lavorai da un dermatologo, e ricordo che questo dermatologo mi disse: “Patrizia, abbiamo un incontro molto importante, e necessito il tuo appoggio”. Dovevamo vendere i suoi prodotti esclusivi e carissimi. “Per questo voglio che tu creda in essi come ci credo io”. Ricordo che avemmo questo incontro e arrivano i rappresentanti di queste creme, dicendo: “ora vi spiegheremo da dove vengono queste creme”. Viene alzato un grande cartello in cui è ritratto un feto morto. E sentii una voce che diceva: “Queste creme antirughe vengono da donne incinte che, sapendo di attendere un figlio down, lo abortiscono, ci danno i tessuti del feto da cui ricaviamo questa crema antirughe. Ci viene mostrato il processo, partendo da un feto. Una freccia ci indica il feto che viene fatto passare nell’acqua bollente – disse il rappresentante: come un brodo di pollo -, e il processo termina diventando una crema antirughe.
Il mercato continua, ma noi dobbiamo avere il coraggio – anche se non ne vediamo i frutti – di non scoraggiarci e perseverare ed essere voce per tutti quei bambini che diventano un prodotto per il mercato. Per questo vi ripeto: non scoraggiatevi! Alzate la voce. Non aspettiamoci tanti frutti in questa terra, li riceveremo in Cielo! Vi ringrazio per avermi accolta, e, per favore, chiedo le vostre preghiere, perché è una missione difficile. Io pregherò per voi. Grazie mille! Grazie, grazie. Grande applauso!
Presentatore – Tante grazie, Patrizia, per la tua testimonianza! Terribile, però certa e reale, che ha dato a tutti noi gli stimoli per continuare a lottare in favore della vita. Abbiamo voluto che Patrizia venisse tra noi per raccontarci (E qui non riesce a parlare per un nodo di commozione alla gola), la terribile realtà dell’aborto.
Alla fine di questa commovente testimonianza, il traduttore e trascrittore Claudio può comprendere perché il mondo, specialmente il mondo sviluppato, finché non riuscirà a capire quanto grave sia l’uccisione di un figlio nel seno di sua madre, non riuscirà a risolvere, o perlomeno arginare, nemmeno gli altri mali che affliggono l’umanità.