di Giuseppe Rusconi (Rossoporpora)
Ampia intervista a padre Armando Flores Navarro – rettore del Pontificio Collegio Messicano di Roma- sul viaggio apostolico in Messico, preceduto dall’incontro storico dell’Avana. Permane in tanti cattolici messicani la memoria viva della ‘Cristiada’. La visita condensa in pochi giorni alcuni dei grandi temi del magistero di papa Francesco: povertà, ingiustizia sociale, violenza radicata e crimine organizzato, migrazioni, valorizzazione degli indios. Il Papa parlerà non solo al Messico, ma a tutte le Americhe. La ferita provocata dal fondatore dei Legionari di Cristo.
Armando Flores Navarro – già parroco per undici anni nella diocesi di Zamora – dal 2011 è rettore del Pontificio Collegio Messicano, un grande edificio immerso in un bel parco, inaugurato negli Anni Sessanta lungo via del Casaletto, nella zona semi-urbana di Roma alle spalle del quartiere di Monteverde. Al nostro interlocutore, che è anche vice-postulatore della causa di canonizzazione di José Sanchez del Rio – il quattordicenne alfiere cristero torturato e assassinato nel 1928 durante la Cristiada, l’insurrezione cattolica contro il governo messicano allora laicista e persecutore – chiediamo di illustrarci i temi principali del viaggio apostolico in Messico, preceduto dall’incontro storico all’Avana tra Francesco e Kirill. Nell’intervista si è dato ampio spazio anche alla guerra dei cristeros, le cui tracce permangono nell’animo e nel cuore di tanti messicani.
Signor rettore, prima di addentrarci in qualche considerazione sul viaggio apostolico in Messico soffermiamoci sullo scalo di Francesco all’Avana per incontrarvi il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill…Che cosa ha provato quando ha saputo dell’incontro, che senz’altro merita un posto di grande rilievo nella storia dei rapporti ecumenici?
Una grande contentezza. Conoscendo la storia, il fatto che Francesco incontri all’Avana suo fratello Kirill dà molta speranza all’umanità in questo momento. Il Vangelo offre al mondo la Buona Novella, ma le divisioni tra noi cristiani indeboliscono la forza della nostra testimonianza. Le differenze devono attenuarsi…
Però, se le differenze religiose si attenuano, c’è anche un rischio da tener presente: quello di ‘fondersi’ in una religione indistinta, di mettere tutto in uno stesso calderone a scapito delle singole identità… il fatto è che, se l’identità si indebolisce, viene impedito un dialogo vero, fecondo, fondato sulla roccia e non sulla sabbia…vengono annullate la varietà e la verità delle differenze…
Certo, ma il Papa in questo senso è molto chiaro. Non credo che questo incontro possa portare a mettere in un unico calderone le varie identità…
Non ci si riferiva all’incontro Francesco-Kirill…
Francesco parla spesso della cultura dell’incontro. Ognuno deve conoscere e riconoscere l’identità dell’altro per rispettarla, non annullarla. Riconoscere nell’altro i suoi valori, riconoscere nell’altro la sua storia e la saggezza che ha sviluppato lungo i secoli. Insomma il Papa ci dice che incontrarsi non è rinunciare alla propria identità.
E’ IL PAPA CHE HA SCELTO TAPPE E CONTENUTI DELLA VISITA
Signor rettore, veniamo allora al viaggio papale in Messico: quali i motivi? Fin qui è anche l’unico viaggio non europeo dedicato a un solo Paese…
Quando nello scorso settembre papa Francesco si è recato a Cuba, avrebbe poi voluto entrare negli Stati Uniti attraverso il Messico, dalla ‘porta’ di Ciudad Juarez, come uno di quei milioni di migranti che gli stanno molto a cuore e con cui si identifica. Lui stesso è figlio di migranti. Però gli sarebbe dispiaciuto atterrare in Messico e non poter venerare la Vergine di Guadalupe, patrona anche dell’America latina. Perciò ha deciso di dedicare al Messico, grande Paese di forti radici cattoliche e con una popolazione per il 90% ancora cattolica, un viaggio particolare, che si sarebbe sviluppato in più tappe.
Chi ha scelto tappe e contenuti della visita? A quel che appare lo stesso Francesco…
Lo dicono anche i vescovi che hanno collaborato nell’organizzazione. Lui stesso ha scelto le città e gli altri luoghi, tutti simbolici in qualche modo di aspetti importanti della vita messicana. Di inviti ne aveva ricevuti decine, da conferenze episcopali regionali, governatori di Stati…
Anche dal mondo della cultura, per il quale era previsto un incontro poi cancellato, dato che il Papa ha preferito la visita a un ospedale…
E’ stato il Papa a scegliere anche i ceti sociali con cui voleva incontrarsi.
Il primo Papa a visitare il Messico fu Giovanni Paolo II nel 1979. Papa Wojtyla fece poi altri quattro viaggi nel Paese; il suo successore Benedetto XVI uno nel 2010. Quella di Jorge Mario Bergoglio è così la settima visita apostolica in 37 anni. Che cosa è cambiato sostanzialmente dalla prima volta?
C’è la differenza di una generazione. Ma chi, come i miei coetanei, ha vissuto intensamente le visite di Giovanni Paolo II, ha anche trasmesso alla nuova generazione l’amore per il Papa, che noi riceviamo con la trasmissione della fede…
NEL 1979 (PRIMA VISITA DI GIOVANNI PAOLO II) ANCORA NON ESISTEVANO RAPPORTI DIPLOMATICI
Nel 1979 non esistevano neanche rapporti diplomatici tra il Messico e la Santa Sede, tanto che l’allora presidente messicano dovette inventarsi un atterraggio casuale del suo elicottero mentre stava per atterrare pure l’aereo del Papa; l’incontro tra i due fu rapidissimo, caratterizzato da un “Buenas dias, Señor”…
Istituzionalmente sono cambiate tante cose. Lo Stato mostrava ancora una radicata diffidenza verso la Chiesa, che era d’altra parte ancora molto chiusa in se stessa dopo il trauma della persecuzione religiosa degli Anni Venti e Trenta. Nel 1979 però la Chiesa è ‘uscita’, ha reso testimonianza in piazza, nelle strade per accogliere Giovanni Paolo II. Da quel momento è cambiato qualcosa anche nei rapporti tra Chiesa e Stato e lentamente si è poi addivenuti negli Anni Novanta all’instaurazione di relazioni diplomatiche tra Messico e Santa Sede. Oggi le leggi riconoscono la personalità giuridica della Chiesa, prima negata; certo c’è ancora una lunga strada da percorrere in termini di vera libertà religiosa…
CRISTIADA: UN TRAUMA NON ANCORA DEL TUTTO SUPERATO
Più volte i vescovi messicani hanno invitato, anche in tempi recenti, i cattolici a volersi impegnare pubblicamente nella vita del Paese, superando quel ‘trauma’ cui Lei ha accennato poco fa…
Sì, i vescovi hanno incoraggiato i cattolici a colmare quel deficit ancora esistente di partecipazione alla vita pubblica. Certo nelle comunità i cattolici mostrano un senso di solidarietà spontanea e straordinaria. Ma nella vita politica restano un po’ assenti.
Il ‘trauma’ della Cristiada, cioè dell’insurrezione armata di decine di migliaia di cattolici contro il governo messicano laicista nella seconda metà degli Anni Venti, è o non è ancora del tutto superato? I cristeros, i ‘guerriglieri di Cristo’ che morivano gridando ‘Viva Cristo Rey!’ sono ancora presenti nei cuori di tanti messicani di oggi?
Il trauma non è definitivamente superato. Io sono il vicepostulatore della causa del quattordicenne alfiere cristero Josè Sanchez del Rio, martire beatificato da Benedetto XVI nel 2005. Ora è stato riconosciuto un miracolo e forse Josè sarà canonizzato nell’autunno di quest’anno. Chissà che papa Francesco non dia l’annuncio proprio nel corso del viaggio in Messico, magari nella tappa di Morelia, quando incontrerà i giovani… Ebbene, sono tornato nell’aprile scorso a Sahuaya, nello stato di Michoácan – dove José è nato – e la cosa che mi ha colpito di più è che in tutti permane un senso molto forte del martirio di questo ragazzo. La persecuzione è stata violenta e i cattolici hanno cercato di difendere in piazza la loro libertà religiosa.
Ciò che è stato riconosciuto dall’attuale ambasciatore messicano presso la Santa Sede, Mariano Palacios Alcocer, che, in un incontro dell’altra settimana promosso a Roma dall’Osservatorio indipendente Mediatrends America-Europa, ha detto che “la Cristiadaè stato un processo giustificato dalla radicalità della Rivoluzione giacobina al potere in Messico”…. L’ambasciatore del Venezuela German Mundarain Hernandez ha sostenuto nella stessa occasione che “il tema dei cristeros – che storicamente è quello dei rapporti tra Stato resosi indipendente dalla corona spagnola e Chiesa – è sempre presente non solo nel Messico ma in tutta l’America latina” ed è prevedibile che “raffiorerà durante la visita papale”. Passiamo ora alle tappe previste nel viaggio di papa Francesco, che condensa un po’ tanti aspetti del suo magistero: per l’intera settimana l’incontro con la povertà…
E’ un tema trasversale, che tocca in varia misura tutto il Messico, dove la quota di popolazione povera è stimata mediamente quasi al 50% (con due terzi in condizione di ‘povertà estrema’). Nel Chiapas, nel Messico meridionale, l’incontro sarà con gli indios, considerati ‘poveri tra i poveri’, esclusi socialmente e culturalmente. Il Papa troverà la povertà dei migranti soprattutto a Ciudad Juarez.
I TEMI PRINCIPALI DEL VIAGGIO APOSTOLICO
Ecco… i migranti. E’ un argomento che il Papa evidenzia costantemente…
Il Messico è un Paese caratterizzato dalla mobilità umana: interna, dall’estero, verso l’estero. Chi emigra oggi è molto vulnerabile, vive precariamente. Si emigra dalle aree rurali verso le città, si entra in Messico dal Guatemala, si esce dal Messico verso gli Stati Uniti. A Ciudad Juarez il Papa parlerà sia ai migranti convenuti in città sia a quelli appena al di là della frontiera; parlerà simbolicamente a tutte le Americhe, unite in un unico continente di sofferenza. Con pesantissime conseguenze anche sull’unità delle famiglie, gravemente colpita dalla costrizione dell’emigrazione.
Il Papa incontrerà da subito la religiosità popolare cui è molto legato… la prima santa messa sarà nella Basilica di Città del Messico dedicata alla Vergine di Guadalupe…
La religiosità popolare è l’anima del Messico. La popolazione ha in sé un forte senso religioso e mariano. L’incontro del Papa con la Vergine di Guadalupe è connotato da un valore simbolico straordinario: i messicani si identificheranno tutti con il Papa, quando lo vedranno inginocchiato davanti alla Madonna, che ha un volto meticcio, come il nostro.
Perché è così importante la religiosità popolare per i messicani?
La religiosità stimola le persone a uscire in strada, a mostrarsi pubblicamente durante le processioni, a testimoniare senza nessuna reticenza la loro condizione di credenti davanti all’intera comunità. Il popolo si esprime attraverso la religiosità popolare, che diventa anche un fatto culturale, un fatto sociale. Attraverso la religiosità popolare il cristianesimo si esprime in piazza. Mi attendo che le parole e i gesti del Papa spingano i cattolici a uscire maggiormente per le strade, a testimoniare senza falsi pudori la bellezza del cristianesimo e i valori del Vangelo, lievito necessario per trasformare la società rendendola più giusta e più fraterna.
Il Messico è anche travagliato dalle gravi piaghe della violenza, del narcotraffico…
Il Messico è un po’ lo specchio della globalizzazione in tutti i suoi aspetti anche negativi. Globalizzazione dell’indifferenza, della disuguaglianza. Il Papa sicuramente parlerà del ruolo della Chiesa nella costruzione della pace. Costruire la pace vuol dire rifiutare la violenza. Purtroppo la violenza spesso deriva dalla grave disparità, dalla pesante iniquità nella distribuzione della ricchezza. Con la violenza, come hanno ricordato anche recentemente i vescovi, si perde il senso della legalità, il senso del bene e del male, il senso della valore della persona, il senso del legame sociale il cui tessuto viene spezzato.
Non mancherà da parte del Papa la condanna del crimine organizzato…
No, non mancherà. Chi ha approfittato maggiormente fin qui in Messico della globalizzazione, delle frontiere aperte, degli accordi economici per valorizzare gli scambi commerciali con gli Stati Uniti e con il Canada? Il crimine organizzato, i cosiddetti ‘cartelli’ del traffico di droga, del traffico di armi, della tratta delle persone: tanti soldi guadagnati grazie a certi aspetti della globalizzazione. Non solo: la situazione messicana non è particolare di quel Paese, ma è comune a tutte le Americhe.
LEGIONARI DI CRISTO: LA FERITA SI STA RIMARGINANDO A POCO A POCO
Il Messico è anche la patria della congregazione dei Legionari di Cristo, travagliati in anni recenti, come è noto, da vicende di gravità inaudita legate alla personalità perversa del loro fondatore Marcial Maciel. Nel 1979 la congregazione ebbe un ruolo importante nell’organizzazione della prima visita di Giovanni Paolo II. Quale il ruolo odierno per una congregazione che ha intrapreso da alcuni anni un percorso penitenziale giustamente molto duro?
Oggi i Legionari di Cristo, come altri ordini e congregazioni, collaborano alla riuscita della visita. Ma non hanno un ruolo particolare e importante nella gestione del viaggio papale.
Il Messico ha superato il ‘trauma’ dei gravi fatti legati in primo luogo al fondatore dei Legionari di Cristo? O la ferita è ancora presente?
Non direi che la ferita sia stata di tutto il Messico, ma localizzata soprattutto nei ceti sociali in rapporto con i Legionari di Cristo. Certo la ferita è dura da rimarginare; penso però che a poco a poco lo sarà. Del resto i Legionari sono sulla strada giusta perché l’obiettivo sia raggiunto.
P.S. L’intervista appare in versione integrale su www.rossoporpora.org. Appare in versione cartacea un po’ ridotta nell’edizione di sabato 13 febbraio 2016 del ‘Giornale del Popolo’, quotidiano cattolico della Svizzera italiana (inserto ‘Catholica’)
Fonte: Rossoporpora