“Legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime”. Forse niente è più antitetico di questa breve massima all’attuale Zeitgeist, lo spirito del nostro tempo.
Molti nostri contemporanei non lo sospettano nemmeno, che esistano delle “anime”. Qualche tempo fa, un padre di famiglia mi esponeva le proprie convinzioni atee e materialistiche servendosi più o meno delle espressioni seguenti: “Dio non c’è; l’uomo non è altro che materia; con la morte siamo destinati a tornare in quel nulla da cui, del tutto casualmente, siamo emersi”.
Ho pensato spesso a come faccia, quell’uomo, ad amare e ad accudire i propri figli – bambini belli e intelligenti – dal momento che li considera, stando alle sue stesse premesse, degli aggregati di materia bruta, delle macchine in movimento, degli “animaletti” fortunosamente evoluti. Evoluti, s’intende, solo quel tanto che basta per mascherare i propri determinismi cerebrali dietro un’illusoria apparenza di libero arbitrio. Come fa quell’uomo ad amarli, ma soprattutto: come fa a sentirsi amato da loro? E come fa a provare tenerezza per la propria moglie, anch’essa mero coacervo di atomi e molecole?
Oggi, ad ogni modo, non occorre affatto essere atei o agnostici per mandare in soffitta l’anima spirituale e immortale del Catechismo. Stando ai sondaggi, persino un’ampia percentuale di “cattolici” (anche praticanti) non ritiene che vi sia alcuna vita oltre la morte. Taluni dimostrano di avere orecchiato qualche antica concezione orientale: dopo la morte ci attende la reincarnazione, forse. O forse una sopravvivenza collettiva, in una sorta di misterioso serbatoio di energia cosmica in cui l’identità personale è destinata a dissolversi e svanire. Ma l’anima, la “mia” e la “tua” anima, quel quid immateriale che sarebbe unito al nostro corpo e che se ne distaccherebbe al momento del trapasso… per carità, non si può certo chiedere all’uomo “adulto” e “tecnologico” di oggi di dare seriamente credito a simili ingenuità!
Se già l’esistenza dell’anima è messa in discussione e miscreduta, si può facilmente immaginare che fine faccia l’antica sollecitudine per una sua fantomatica “salvezza” oltremondana. Non è forse vero che Dio, nel caso ci sia davvero, “perdona tutti”? Non crederemo sul serio a tutte le fantasie che i preti si sono inventati per tener buoni quei superstiziosi dei nostri antenati: il diavolo, il peccato mortale, il Giudizio, l’Inferno irremissibile ed eterno…?
In assenza di preoccupazioni per l’aldilà, dunque, ci si concentra sull’aldiquà. Si direbbe quasi che “legge suprema del mondo contemporaneo è la salvezza dei corpi”: corpi da snellire, allenare, abbronzare, profumare, agghindare, denudare, tatuare, sfoggiare, satollare, soddisfare, appagare. Fate caso a quante mercanzie, tra quelle più assiduamente pubblicizzate su quotidiani e rotocalchi, hanno direttamente a che fare con la cura e l’abbellimento del corpo: avrete un’impressionante conferma della somatolatria – “adorazione del corpo”, appunto – che ossessiona l’inconscio collettivo dell’Occidente contemporaneo.
Eppure, come si diceva all’inizio, “legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime”. È proprio la prospettiva oltremondana del cristianesimo a determinare in molti, oggi, un istintivo sentimento di estraneità, di indifferenza ostile, a volte persino di odio nei confronti della fede e dei suoi rappresentanti istituzionali. Tutto ciò che la Chiesa e i cristiani compiono, infatti, lo compiono in vista di un’esistenza “altra”, escatologica; per il bene delle anime, e non soltanto dei corpi. Non vi è un solo convincimento, pratica o precetto morale cristiano che conservi il suo autentico significato se osservato dalla prospettiva puramente temporale che abbiamo visto, in cui ciò che davvero conta è il raggiungimento – qui ed ora – del massimo grado di wellness materiale e psicofisica.
Appare quindi “scontata” la ripulsa, da parte di persone abituate a tale visione delle cose, nei confronti di una religione che considera l’esistenza terrena solo come un cominciamento, un “prologo”; una religione che parla della vita in termini di “milizia”, di “pellegrinaggio”, di “prova” dall’esito incerto e rischioso; una religione che, ancora più scandalosamente, addita nella praeparatio mortis il compito più urgente e drammatico di ogni uomo.
Già: in punto di morte scopriremo che a nulla ci avranno giovato gli agi materiali, i piaceri della carne, i divertimenti, le amicizie, la stima altrui, le soddisfazioni dell’amor proprio, i titoli accademici e la cultura acquisita. In punto di morte, e poi per tutta l’eternità, conterà solo l’anima: se sarà in grazia otterremo il Paradiso, se sarà in peccato otterremo l’Inferno.
Una bella fregatura, per chi l’anima non sa nemmeno di averla.