di Giuseppe Rusconi (Rossoporpora)
E’ comprensibilmente stanco monsignor Jean Laffitte, reduce com’è dai giorni intensissimi dell’Incontro mondiale delle famiglie a Filadelfia. E’ stanco, ma ugualmente ben disposto a darci un’intervista a poche ore dall’inizio del Sinodo ordinario sulla famiglia, secondo appuntamento in un anno di un percorso oggettivamente fin qui assai turbolento e probabilmente ancora di più nelle prossime settimane, considerata la crescente preoccupazione di non pochi cattolici praticanti per quella che è percepita come una ‘deriva incontrollata’ della Chiesa in materia di matrimonio. Il Convegno di mercoledì all’Angelicum con i cardinali Burke e Caffarra e l’arcivescovo Vasil’ ha ampiamente confermato che l’inquietudine è ormai molto diffusa. Il cinquantatreenne vescovo francese, segretario del Pontificio Consiglio per la famiglia (recentemente nominato anche Prelato del Sovrano Militare Ordine di Malta), ha tra l’altro appena pubblicato due libri in versione inglese e in versione spagnola: il primo, intitolato “The choice of the family”, presenta l’introduzione di Carl Anderson, Cavalieri di Colombo e la prefazione di mons. Charles Chaput, arcivescovo di Filadelfia; nel secondo, “Cristo, destino del hombre”, l’autore riflette ampiamente, in primo luogo su vita, famiglia e società. Alla vigilia del secondo Sinodo sulla famiglia mons. Laffitte non si sottrae alle domande sui temi più spinosi, esponendo con chiarezza quanto affermano Magistero e Dottrina sociale della Chiesa in materia di matrimonio, divorziati risposati, persone con tendenza omosessuale…
Monsignor Laffitte, Lei da sei anni è il segretario del Pontificio Consiglio per la famiglia, che ha anche organizzato il recente incontro mondiale di Filadelfia, alla cui fase finale ha partecipato papa Francesco. Il Sinodo che si apre domani è dedicato proprio alla pastorale della famiglia, così come lo era stato il primo di un anno fa. Le chiediamo: su quale argomento secondo Lei dovrebbero prima di tutto concentrare l’attenzione i padri sinodali?
Mai come nell’ultimo mezzo secolo, dalla costituzione pastorale Gaudium et spes promulgata l’8 dicembre 1965 ai nostri giorni, nella storia della Chiesa si sono approfonditi il mistero dell’amore tra un uomo e una donna, l’alleanza coniugale, l’esercizio della sessualità, il dono della vita, la famiglia e il suo ruolo nella società. Pensiamo anche ai grandi testi di san Giovanni Paolo II, alle sue catechesi tra il 1979 e il 1984 sull’amore umano, all’esortazione apostolica Familiaris Consortio del 1981; agli interventi ripetuti di Benedetto XVI (già da cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede) e, più recentemente, a quelli di papa Francesco in materia. Insomma: credo che la Chiesa disponga davvero di tutti gli strumenti necessari per illuminare, aiutare e guidare le famiglie…
Tutto vero, ma – considerati i preziosi strumenti a disposizione – che cosa dovrebbero fare in concreto da domani i padri sinodali?
I padri sinodali e tutti coloro che hanno come missione di accompagnare le famiglie dovrebbero fare prima di tutto un esame di coscienza, chiedendosi: Che cosa abbiamo fatto di tutto questo dono di Dio?Della ricchezza straordinaria di esperienza offerta da Dio alla sua Chiesa?
Oggi però si insiste sul fatto che in materia antropologica la società è molto cambiata negli ultimi decenni…
Sì: secondo lo slogan corrente, siccome la situazione è cambiata, la Chiesa dovrebbe adattarsi alle mutate contingenze e modificare il suo linguaggio. Senza voler offendere nessuno, mi sembra uno slogan che riporterebbe la Chiesa all’anno zero della riflessione e dunque anche un modo sicuro di evitare la questione essenziale che ripeto: Che cosa abbiamo fatto del dono di Dio? Perciò, prima di pretendere di aiutare le persone e prima di riflettere sull’influsso nefasto della cultura relativistica (che certamente esiste e opprime), i padri sinodali si dovrebbero chiedere: Perché è accaduto questo? Forse perché non ha funzionato la trasmissione del messaggio di speranza dell’amore umano, presente in tutti testi della Chiesa in materia nell’ultimo mezzo secolo? Chi l’ha veramente trasmesso?
Par di capire che siano stati in pochi…
Direi alcuni, appunto pochi, pastori; le comunità e i movimenti che si sono impegnati nell’apostolato in favore delle coppie e delle famiglie; alcune istituzioni accademiche – come il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II – e alcuni istituti teologico-pastorali. Penso ad esempio alle oltre 400 associazioni e movimenti in 60 Paesi diversi con cui sono stato in contatto per più di vent’anni. Posso anche testimoniare che un buon terzo di tali aggregazioni è nato e si è sviluppato dopo la pubblicazione della Familiaris Consortio del 1981. Mi chiedo allora: come mai queste famiglie soggetto di evangelizzazione si sono appoggiate su un testo considerato da molti come la Bibbia della spiritualità coniugale…
… un testo che, in questi ultimi mesi, è stato giudicato obsoleto da alcuni teologi, ma anche pastori…
Sì, tanti pastori, in particolare in Occidente, fanno finta di considerarlo un testo ormai inutilizzabile. Non solo: in tantissimi casi lo hanno sprezzantemente ignorato, dimostrando di non interessarsi per niente alle persone e al loro bene fondamentale richiamato più volte anche da papa Francesco. Sarebbe proprio il caso, come hanno detto mercoledì al Convegno all’Angelicum i cardinali Burke e Caffarra, di insistere nel riproporre l’insegnamento della Chiesa in materia; sono d’accordo con l’idea dell’arcivescovo di Bologna che il Sinodo chieda a papa Francesco di promulgare un Catechismo del matrimonio e della famiglia.
All’incontro mondiale delle famiglie a Filadelfia, da cui Lei è appena tornato, c’erano comunque diversi vescovi…
Venivano da Paesi in cui si prova a fare davvero qualcosa di concreto per trasmettere la speranza cristiana. Molte delle famiglie convenute con entusiasmo a Filadelfia sono state invece dolorosamente colpite dall’assenza quasi totale di pastori provenienti da Paesi europei in cui si pretende di riformare o rivoluzionare l’insegnamento cristiano in materia.
Monsignor Laffitte, posta la domanda iniziale citata, fatto l’esame di coscienza e trovata una risposta, come dovrebbero poi procedere i padri sinodali?
Dovrebbero cercare di riflettere su come trasmettere ciò che oggi già noi possediamo. Poi declinare i temi connessi: l’alleanza degli sposi, la fede nel sacramento ricevuto e quindi nella grazia che viene data per superare le difficoltà (per esempio il perdono vissuto), il dono gioioso della vita che presuppone una riscoperta dei valori inscritti nella sessualità umana, l’approfondimento della paternità e della maternità. Tutto questo senza cercare di piacere al mondo, ma per concretizzare la sua missione di testimonianza. La Chiesa deve fare tutto questo in circostanze difficili, ma sa che è accompagnata amorevolmente dallo sguardo protettivo di Dio.
Passiamo a uno dei temi più ‘mediatizzati’, del resto su stimolo costante anche di alcuni cardinali, vescovi, teologi: quello dell’ammissione alla Comunione dei divorziati risposati… in genere si prefigura dopo un non ben precisato percorso penitenziale…
Vorrei prima di tutto ricordare che papa Francesco ha ribadito più volte che i lavori del Sinodo non devono essere ridotti alla riflessione su tale questione. Ed anche che in diverse occasioni la Chiesa ha ribadito il contenuto di una disciplina sacramentaria che chiede ai battezzati divorziati e poi risposati di non accedere alla Comunione eucaristica. Non è possibile per loro ricevere la Comunione eucaristica se il primo matrimonio sacramentale è valido, un vincolo che non può essere sciolto. Concedere tale possibilità costituirebbe una vera e propria rivoluzione, già sperimentata da alcune confessioni protestanti con le note conseguenze: crollo di fedeli, fratture interne che hanno portato alla separazione all’interno della stessa confessione…Questo detto, osservo che i divorziati risposati non possono essere considerati dei battezzati di seconda classe…
Può spiegare tale asserzione?
In sintesi: quando un battezzato è impegnato in una seconda unione e dunque si trova in una particolare situazione di difficoltà, non si deve dubitare a priori che Dio possa dargli un aiuto speciale per viverla anche serenamente. Mi riferisco qui alla richiesta di pentimento avvalorata dall’ astinenza sessuale in chi è parte della nuova unione. Oggi si sottovaluta l’aiuto della grazia divina in questo mondo. Nelle discussioni pastorali sembra prevalere l’idea che l’astinenza dalle relazioni sessuali per i divorziati risposati sia un requisito sproporzionato, che va molto al di là delle capacità umane. Chi condivide tale idea de facto considera i divorziati risposati come soggetti cristiani di serie B. Ma come… nessuno nella Chiesa sembra mettere in dubbio la capacità dei consacrati – grazie all’aiuto della grazia di Dio – di adottare uno stile di vita coerente con la scelta fatta liberamente ed espressa pubblicamente… pochi però sono invece quelli che osano incoraggiare i fedeli ad appoggiarsi con fede e speranza sull’aiuto della grazia, invitandoli a una conversione.
Monsignor Laffitte, c’è un altro tema su cui probabilmente insisteranno alcuni padri sinodali, che godono di un largo favore nel mondo culturale e mediatico à la page: un riconoscimento ecclesiale (benedizione e altro ancora) delle coppie dello stesso sesso. Che valutazione dà di tale richiesta?
Assolutamente negativa. Che si legge nella Genesi? Uomo e donna li creò,non Uomo e uomo li creò o Donna e donna le creò. In questo senso, da una parte dobbiamo avere una chiara coscienza di ciò che non può essere accettato dalla Chiesa cattolica e dall’altra dobbiamo cercare di accompagnare e aiutare le persone omosessuali cristiane, naturalmente non tacendo la verità delle cose. Anche loro sono battezzate e dunque – con l’aiuto della grazia divina – hanno la possibilità di astenersi dall’unirsi sessualmente con un’altra persona. Chi dice che tale unione è legittima e va benedetta, ha una visione pagana della questione, totalmente fuori da una concezione cristiana della persona umana. Mentirei, se dicessi di non essere molto preoccupato per le asserzioni di alcuni teologi, moralisti, talvolta anche prelati, favorevoli a togliere ogni connotazione negativa alla sessualità fuori del matrimonio… Dicono: non si deve evidenziare il negativo, ci sono elementi positivi anche in coppie di questo genere. Però omettono sempre di ricordare il disegno di Dio riguardante l’uomo e la dottrina della Chiesa in materia. A volte sono in buona fede, a volte in malafede e flirtano con quella rivoluzione antropologica che vorrebbe spezzare del tutto i legami tra l’uomo e Dio. Ma la Chiesa non può arrendersi a tale rivoluzione.
P.S. L’intervista appare in versione originale in www.rossoporpora.org e in versione cartacea e leggermente ridotta nell’edizione del 3 ottobre 2015 del ‘Giornale del Popolo’ (inserto ‘Catholica’), quotidiano cattolico della Svizzera italiana.
fonte: www.rossoporpora.org