C’è un campo in cui la scienza sperimentale, frutto dell’intelligenza umana indagatrice della natura, diventa particolarmente utile e benigna per l’uomo: la medicina. Accade allora che ci si trovi di fronte a grandi uomini, che comprendono perché amano. Che amando, comprendono. Sono i grandi medici che nel corso dei secoli, mossi dalla loro compassione e misericordia per i malati, hanno indirizzato la loro intelligenza, dedicato il loro tempo e le loro forze, per trovare nuovi rimedi ai mali dell’umanità.
Paolo Mazzarello, docente di storia della medicina all’Università di Pavia, ha appena pubblicato “E si salvò anche la madre. L’evento che rivoluzionò il parto cesareo” (Bollati Boringhieri): una biografia del grande ginecologo di fine Ottocento, Edoardo Porro, e del suo servizio a tante madri destinate, senza di lui, alla morte per parto.
Prima di andare a questa figura esemplare di uomo, sarà bene fare un breve salto indietro nel tempo. Per ricordare che alla loro nascita, in evo cristiano, gli ospedali sono quasi sempre legati anche alla necessità di soccorrere i bambini. Madri che muoiono di parto, e bambini orfani di madre, sono, infatti, un dramma dell’umanità di sempre, che noi occidentali, oggi, abbiamo quasi dimenticato, ma che riguarda ancora molti paesi poveri.
Per questi bambini, il medioevo cristiano creò ospedali, orfanatrofi, brefotrofi e mille associazioni di carità. Per le povere madri, per tanto tempo la medicina ha potuto assai poco.
Per millenni le levatrici hanno fatto ciò che potevano, ma la storia moderna dell’ostetricia incomincia
solo nel Settecento. E’ il papa Benedetto XIV, grande protettore della scienza, a promuovere la prima cattedra pubblica di Ostetricia, inaugurata a Bologna nel 1757, e affidata prima a Giovanni Antonio Galli -che aveva rinnovato la tecnica didattica per le levatrici e studenti in Chirurgia avvalendosi, fin dal 1734, di modelli in cera e in argilla-, e poi al suo discepolo, il terziario francescano e padre degli studi sull’elettricità animale Luigi Galvani. Sempre a Bologna, nel 1768, viene pubblicata la prima rivista di ostetricia italiana, Dell’arte ostetrica, mentre nel 1765 Luigi Calza, (1737-1784), bolognese di nascita e allievo del Galli, fonda a Padova il primo Gabinetto Ostetrico avviando la cattedra: “De morbis mulierum, puerorum et artificum”.
Nel 1876, anno in cui è ambientato in particolar modo il libro di Mazzarello, le donne continuano a morire di parto in numero molto elevato. A Pavia, dove Edoardo Porro lavora, l’insegnamento autonomo dell’ostetricia data dal 1818. E la morte relativa al parto in ospedale, è assai frequente. Muoiono molti bambini, quando ad esempio si pratica l’embriotomia per salvare la vita della madre, e molte madri, sia per le febbri puerperali, sia per i tagli cesarei che non riescono quasi mai nel loro scopo di salvare entrambe le vite.
Nell’autunno del 1870 e nella primavera del 1872, per intenderci, si registra il decesso per febbre puerperale di 30 donne su 278. Da poco si è compreso che la febbre puerperale si propaga a causa della “scarsa igiene nelle corsie, dell’uso di ferri chirurgici non disinfettati adeguatamente, delle manovre ostetriche con mani esploranti un po’ troppo violente”, e a causa dell’uso di praticare dissezioni su cadaveri, passando poi nei reparti di ostetricia, senza disinfettarsi.
Il primo a capire sembra essere stato, all’inizio del secolo, il medico ungherese Ignác Fülöp Semmelweis (1818-1865), ma senza particolare successo: provò a spiegare che molte donne morivano a causa del fatto che delle “particelle cadaveriche” passavano dalle mani dei medici autori di dissezioni e autopsie, alle partorienti, ma fu licenziato dall’ospedale di Vienna e condannato dai suoi colleghi: morirà pazzo in manicomio.
E’ Louis Pasteur, padre della microbiologia, con le sue sette osservazioni, nel 1879, a confermare l’intuizione precedente (sono i medici con le loro mani -dirà- a trasportare i microbi da una donna all’altra) e analizzando sangue e pus di una gravida morente, identificherà il germe dello streptococco, chiarendo così definitivamente la natura batterica dell’agente eziologico della febbre puerperale. Per poi affermare: “Il metodo antisettico mi sembra dover essere sovrano nella maggior parte dei casi. Mi sembra che si dovrebbe, subito dopo il parto, cominciare l’applicazione di questi antisettici”. Pasteur consiglia di lavare di continuo, oltre alle mani dei medici, i genitali femminili con acido borico, o, in mancanza di esso, con acqua scaldata a 115gradi, permettendo così di incamminarsi su una strada che salverà la vita di un numero immenso di donne (Louis Pasteur, Scritti di microbiologia, Teknos, 1994).
Ma torniamo indietro di 3 anni. Il parto cesareo esiste da molti secoli. Praticato dall’antichità, sin dal IV secolo d. C. è raccomandato dalla Chiesa, sulle donne incinte già morte, per salvare almeno il bambino ed impedire che sia sepolto vivo con la madre, e che muoia senza battesimo. E’ solo dopo il 1500 che viene talora praticato anche sulle madri ancora in vita, quando il parto naturale è impossibile, con lo scopo di salvare madre e figlio.
“Il taglio cesareo su donna viva -scrive Mazzarello- rimane un intervento eccezionale, ripetuto pochissime volte sino alla fine del Settecento”: con esiti pressoché sempre infausti, per la donna.
E’ dunque durante l’Ottocento che si concentra la crescita del ricorso al cesareo con gli alti costi propri di un epoca in cui non si conoscono l’asepsi, le suture dell’utero e dell’addome. Qui, in quest’epoca, dobbiamo collocare l’impegno di Edoardo Porro.
Nato a Padova da famiglia meneghina il 13 settembre 1842, Porro partecipa, ancora giovane, alle mobilitazioni risorgimentali, prendendo parte anche all’avventura garibaldina di Trento, nel 1866. Nel 1871, durante un’operazione chirurgica, si ferisce alla mano e contrae per infezione la sifilide, che lo torturerà per il resto dei suoi giorni. Nel 1876 gli si presenta il caso decisivo: ha davanti a sé, gravida, la giovane Giulia Cavallini, di bassa statura, affetta da rachitismo, con varie problematiche uterine che le avrebbero impedito un parto naturale. Porro ha solo due possibilità: “eseguire il taglio cesareo salvando il bambino e quasi certamente sacrificando la madre, oppure risparmiare la gravidanza eseguendo la fetotomia (uccisione del feto, ndr). Tertium non datur”. In verità non vi è neppure questa duplice possibilità, essendo quasi impossibile la fetotomia “per l’assoluta difficoltà di accesso al feto”, nel caso specifico.
Porro decide di provare una strada nuova, pensata e ripensata in precedenza: taglio cesareo, e in più, per salvare la Cavallini, asportazione dell’utero e delle ovaie, “eliminando così un terribile focolaio settico e una incontenibile fonte di sanguinamento”. L’operazione funziona, la bimba nasce, la madre, dopo una serie di peripezie, è salva! Il cesareo non è più una sentenza di condanna a morte quasi certa. Il Patriota, giornale della città di Pavia, il I luglio 1876 esulta: “L’esito di sì ardita operazione, la prima di simil genere siasi fatta in Europa, non mancherà di fare un ben meritato rumore tra gli intelligenti della scienza”.
In verità il rumore non sono solo gli applausi, ma anche le critiche, da parte di alcuni colleghi che attaccano Porro sostenendo che l’embriotomia è da preferire alla sicura sterilità futura della donna (la quale andrebbe, inoltre, avvertita previamente).
Pavia non è più la città cattolica che a inizio Settecento ha visto all’opera il gesuita Gerolamo Saccheri, padre delle geometrie non euclidee, e che a fine Settecento ha annoverato nella sua università la presenza quasi contemporanea di don Lazzaro Spallanzani, detto il “Galilei della biologia”, Alessandro Volta, padre della pila, padre Ruggero Boscovich, grande fisico e fondatore dell’osservatorio astronomico di Brera, e di tante altre glorie della Chiesa e della fede (vedi Paolo Mazzarello, Pavia e le svolte della Scienza).
E’ vero, il padre della geologia e della paleontologia italiana, il sacerdote Antonio Stoppani, insegna proprio a Pavia, ma la scena è occupata da nuove idee di stampo materialista e il più celebre dei professori è il criminologo Cesare Lombroso. L’intento della cultura dominante non è più quello cristiano di assistere i poveri e i malati, di avere compassione delle piaghe dell’umanità, ma quello positivista: catalogare sani e malati, adatti (fit) e inadatti (unfit), riusciti e malriusciti.
Porro, però, è un cattolico fervente, accusato di essere “clericale”, perché sostiene la necessità delle suore di Carità negli ospedali e perché non vede di buon occhio la cremazione (Francesco Giarelli, Vent’anni di giornalismo, A.G. Cairo, 1896, p.61), ed ha scrupoli di coscienza. Si rivolge allora al vescovo di Pavia, Lucido Maria Parocchi, un vescovo intransigente, sulla linea di Pio IX, noto per l’ortodossia, che non ha neppure ricevuto l’autorizzazione governativa ad esercitare la funzione episcopale. Parocchi dà il suo responso, affermando il “diritto di sacrificare una parte per la salute del tutto”, e la possibilità di permettere un “male minore per evitare un male peggiore”. Tanto più che per la Chiesa la sterilità femminile non costituisce, come nel mondo antico, ma anche per molti illuministi, una causa di nullità matrimoniale o di possibilità, per il marito, di ripudiare la consorte. Il marito, continua Parocchi, non potrà certo lamentare di essere stato “defraudato del debito coniugale” e di un presunto diritto a futuri figli. Sono i tempi in cui un figlio è un dono, non un possesso, né un diritto.
L’intervento di Parocchi conferma Porro, ma anche tanti altri medici italiani. Intanto il nome di Porro diventa famoso in Europa e l’operazione “di Porro” si diffonde in tutto l’occidente. Usato ancora oggi per le emorragie uterine severe, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, per salvare le madri, rimarrà fondamentale sino alla scoperta della sutura uterina per realizzare un cesareo senza asportazioni.
Porro diviene così l’ostetrico italiano “più famoso del mondo”. E’ maestro di Luigi Mangiagalli, consigliere comunale e presidente del consiglio della fabbrica del Duomo, a Milano, e presidente della Società Italiana di scienze naturali, nel 1900.
“Era un medico– rammenta Mazzarello- disinteressato all’aspetto economico della sua professione. Chiamava ‘commercianti’ della scienza e dell’arte salutare quei medici che subordinavano tutta la loro attività ai soldi e si facevano pagare anche da chi lottava ‘contro tutte le difficoltà della vita’… anziché farsi pagare, quando era colpito dalle condizioni di povertà, ‘vi lasciava l’obolo provvidenziale e mandava poi cibi, il vino, gli indumenti che facevano difetto’… guardava ai soldi con indifferenza” e per questo lasciò molto poco alla moglie e alla figlia.
Amico di Felice Cavallotti, anticlericale e feroce oppositore dei Savoia, lo assiste in circa 20 dei suoi 33 leggendari duelli.
Porro muore il 17 luglio 1902: “un amico sacerdote portò l’estrema unzione, tanto desiderata, e poco dopo Edoardo Porro morì di edema polmonare… Al capezzale erano presenti la moglie, la figlia, il genero, un altro sacerdote e il suo medico personale”.
Pochi giorni dopo viene aperto il suo testamento, che contiene parole come le seguenti: “Davanti al terribile pensiero dell’eternità chi di me vuole ricordarsi preghi Dio che mi protegga con la sua infinita misericordia. Mai come sullo scorcio della mia vita la credenza in Dio, il pensiero della vita futura, hanno campeggiato davanti a me. Coloro che dicono la scienza essere destinata a materializzarsi s’ingannano o vogliono ingannare… Chi più studia, chi più cerca di approfondire un segreto della natura, tanto più vi scorge la sapienza infinita del Creatore e trovo assurdo che il caso, la natura, possano aver coordinato e fatto la mirabile organizzazione che si ammira nel regno animale, vegetale e nell’inorganico. Se poi si passa a considerare la ragione dell’uomo, si trova qui tanto da restare sorpresi della sapienza del sommo Iddio, che, formando all’uomo la mente, lo volle distinto da tutti gli altri esseri e metterlo in grado di capire quanto poco egli conosca o sospetti del moltissimo che non ha potuto e che forse non potrà mai spiegarsi… Dio, che mi vedi e per cui il mio spirito è invaso di amore e di terrore, salvami e fa salve le anime dei miei parenti, dei miei amici e di quelli che credono. Come siamo piccini davanti all’eternità e come appare immenso ciò che riguarda Dio!”.
L’anno dopo la sua morte, il 4 agosto 1903, si laurea in medicina Giuseppe Moscati, ben presto operativo in quell’ Ospedale degli Incurabili di Napoli fondato cinque secoli prima da Ettore Vernazza per curare i sifilitici, i malati che nessuno voleva avvicinare. Anche Porro, che, come si è visto ha contratto la sifilide che lo ha accompagnato sino alla fine, avrebbe certamente condiviso, con Moscati, questi suoi pensieri: “Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini son passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell’eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene”; “La vita è un attimo; onori, trionfi, ricchezza e scienza cadono, innanzi alla realizzazione del grido della Genesi, del grido scagliato da Dio contro l’uomo colpevole: tu morrai! Ma la vita non finisce con la morte, continua in un mondo migliore. A tutti è stato promesso, dopo la redenzione del mondo, il giorno che ci ricongiungerà ai nostri cari” (apparso su La Croce)