Il Sinodo in corso, ormai alla sua fine, ha visto il confronto di schieramenti del tutto opposti. Da una parte i padri sinodali tedeschi, che in maggioranza, con l’eccezione del cardinal Mueller, hanno indicato come via quella del rinnovamento: della disciplina, del linguaggio, e quindi, in ultima analisi, della dottrina stessa, dal momento che essa, se non è viva e operante, semplicemente non esiste (se non in qualche libro, buono per le librerie antiquarie).
Dall’altra la Chiesa più promettente del mondo, quella africana, così ben raccontata da 12 vescovi neri in un libro appena edito da Cantagalli, Africa. La nuova patria di Cristo (p.238, euro 18,50)
Se si guardasse alle cifre, nude e crude, non ci sarebbero dubbi: i prelati tedeschi da tempo non hanno più
alcun “prodotto” da vendere. Propongono nuove vie, praticano l’aggiornamento da decenni, magnificano le ricette di loro conio, ma le loro chiese, come quelle dei belgi, ugualmente schierati per una radicale renovatio, sono ormai deserte. Pronte per essere cedute ai comuni, alle associazioni di volontariato, o ai mussulmani.
Al contrario, le chiese africane si riempiono sempre di più, ad una velocità inaudita. Se consideriamo che nei primi trecentocinquant’anni dopo Cristo i seguaci del Nazzareno non avevano superato il 7-8% della popolazione dell’Impero romano, capiamo bene cosa significhi il fatto che i cristiani africani sono già duecento milioni in poco più di 150 anni di evangelizzazione: si tratta di una crescita vertiginosa!
Senza contare il fatto che mentre l’Africa nel 2050 conterà un quarto della popolazione mondiale e “avrà il tasso di crescita del cristianesimo più elevato, se sono confermate le tendenze attuali”, la Germania sarà un paese non solo con pochissimi cattolici, ma anche con pochissimi tedeschi, visto l’alto tasso di disgregazione familiare e di solitudine e il basso tasso di figli che la caratterizza.
Ebbene, il segreto degli africani, poi tanto segreto non è: al libero esame tedesco, di protestante memoria, preferiscono la fedeltà, pari pari, al Vangelo e al Magistero, anche quando essa impone una visione delle cose ben diversa da quella propagandata dal pensiero dominante.
Nel già citato Africa. La nuova patria di Cristo, il cardinal Sarah si chiede ad esempio: “se noi accettiamo alla Sacra Mensa i fedeli divorziati risposati civilmente, perchè allora la rifiuteremmo ai fedeli diventati poligami? Dovremmo anche eliminare l’adulterio dalla lista dei peccati mortali”. Come si vede, qui il linguaggio è molto semplice, del tutto logico, assai lontano dai giri mentali che fanno dire a qualche teologo sofista che si potrebbe considerare la rottura di un matrimonio come la morte di un coniuge; o da quelli per cui tutto sommato, aggiustando e annacquando un po’ le dure parole di Cristo con dosi massicce di indefinita “misericordia”, si può ben riuscire nella quadratura del cerchio (cioè nel mantenere, a parole, la dottrina dell’indissolubilità, permettendo nel contempo, con bollino ufficiale, la totale solubilità, e cioè, in Occidente, la poligamia diacronica).
La cifra del pensiero dei padri africani, ridotta in soldoni, è semplice: il loro sguardo non è mai, anzitutto, sociologico o ideologico. Esso si basa sul fatto che, come scrive mons. Bartèlemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio per la Cultura, i cristiani non possono pensarsi e pensare il proprio rapporto con il mondo senza mettere Dio al primo posto.
La Chiesa, scrive mons. Adoukonou, deve parlare chiaro in un mondo minacciato dall’ “islamismo radicale e di conquista” e da “una certa civiltà occidentale secolarizzata, edonista, servilmente gaudente e consumista“, perchè come cristiani “abbiamo il dovere di smarcarci da questa civiltà post-moderna, non per paura nè per ripiegamento su noi stessi, ma per fedeltà alla nostra identità profonda cristiana e africana. Non vogliamo, per la preoccupazione di attirare la gente, metterci in situazione di compromesso di valori con l’illusione di aprirci al mondo”. Del resto, non era Gesù a dire, molto schiettamente: “Volete andarvene anche voi?“.
L’Europa di oggi, prosegue mons. Adoukonou, impietoso verso i giri di parole e le confusioni linguistiche e concettuali dell’Instrumnentum laboris, non è soltanto “la culla dell’ateismo radicale della post modernità“, ma paradossalmente anche “di una forma non meno radicale di islamismo”: “sono infatti giovani cittadini europei che vanno a centinaia ad arruolarsi nei gruppi jihdisti in Siria, in Iraq, in Afghanistan e in altri paesi. Questi giovani non vanno certamente perchè sono semplicemente poveri e senza lavoro, ma soprattutto perchè la società consumista occidentale non presenta più a loro dei valori veri. Tutto è banale e a buon mercato”.
Per i padri africani è dovere della Chiesa cattolica additare con chiarezza alle nuove generazioni la bellezza del matrimonio cristiano, contro l’ideologia liquida e la teoria del gender, e, nel contempo, curare le ferite. Ma la cura ha bisogno di una diagnosi corretta, che per gli africani coinsiste nel riconoscere che le “ferite” vanno lette non come fanno alcuni ecclesistici occidentali, ma come “risultanti dall’esclusione di Dio e dalla determinazione a creare un nuovo tipo di uomo”, secondo la visione atea dell’esistenza. Solo così si edifica una nuova civiltà, segnata dall’amore cristiano, e si può fare davvero, nel contempo, una “accoglienza pastorale delle famiglie ferite” (tema analizzato, quest’ultimo, dall’arcivescovo di Douala in Camerun).