In questi giorni alcuni di noi si sono recati al Meeting di Rimini, come quasi tutti gli anni. Pur non appartenendo a Cl, abbiamo sempre guardato con simpatia a molti aspetti di questo movimento. Abbiamo sempre
apprezzato, per intenderci, il coraggio dei ciellini, il loro interesse per la cultura, per la musica, per la politica…
Vedevamo in ciò un cattolicesimo incarnato, che si sporca le mani, magari qualche volta un po’ troppo, ma questo è il lato b della medaglia: difficile evitarlo del tutto, da parte di noi umani.
“I ciellini fanno lobby”, ci hanno detto spesso. “E perché, gli altri no?”, rispondevamo, più o meno, aggiungendo: “dipende da come la fanno, e per cosa”.
Tante volte abbiamo visto i ciellini “fare lobby” per il bene; per aiutare il prossimo (malato, carcerato, povero… si pensi solo al Banco Alimentare); per giungere ad obiettivi ambiziosi, ma buoni. Altre volte si è visto anche altro… ma questo, va ripetuto, fa parte della vita e della nostra fragile umanità. Scandalizzarsi del male è troppo facile; ammirare il bene che gli altri fanno, invece, richiede uno sforzo in più, ma fa anche vedere meglio, e più in profondità.
Il Meeting è stato per anni un appuntamento imperdibile, la vetrina di Cl, dei suoi multiformi interessi, carismi, attività. Ha prodotto mostre fatte con il cuore e con la testa; abbiamo ammirato la capacità di valorizzare personaggi di grande spessore, ignorati dal pensiero dominante; abbiamo assistito alla forza di proporre idee controcorrente; abbiamo osservato con gioia tanti giovani volontari, spendersi gratuitamente e con entusiasmo…
Cl è stato, per decenni, il movimento cattolico più curioso, più vivace, più capace di fare cultura, di rivedere con occhio grato la storia della Chiesa i suoi santi, le sue opere, in vista di un impegno nel presente. Per questo anche il più capace di dialogo, anche con il mondo laico.
Detto tutto questo, da un po’ di tempo non capiamo più nulla. Ci consola il fatto che a non capire siano tanti altri, anche dentro il movimento. Non alludiamo solo a nomi noti, da Antonio Socci a Mons. Luigi Negri, ma anche a tanti altri, come quel sacerdote, una vita intera in Cl, che alcuni giorni fa confidava: “siamo anni luce lontani dal carisma originario”
Pensiamo, per iniziare, alla politica: negli anni in cui CL era nel centro destra -avendo individuato in Berlusconi non il bene, ma quantomeno colui che rendeva possibile una alternativa alla sinistra dominante-, invitava sì ministri e sottosegretari della maggioranza cui apparteneva, ma anche Bersani (presente davvero molte volte) ed altri politici di parte avversa. Si ricordi quando al Meeting si potevano trovare, in abbondanza, copie de Il Foglio e, in contemporanea, de Il Riformista.
In fondo, che un Movimento inviti ai suoi raduni politici con cui ha legami, o con cui vuole dialogare, va benissimo. Ma ci vuole sempre cautela, quando si manovrano cose delicate e bollenti come la politica. Passare da Formigoni, presente in tutti i Meeting, alla sua scomparsa definitiva, quasi fosse morto, dopo la sua caduta politica, non è bello. Anche perché non appartiene alla storia di Cl rottamare così chi ha sbagliato (dimenticando del tutto anche il bene fatto).
Passare improvvisamente ad invitare 5 ministri del Pd, più il segretario dello stesso partito (più il film di Veltroni, la conferenza di Luciano Violante…), dopo essere stati organici al centro destra per decenni, è un voltafaccia che si può giustificare con mille discorsi, ma non bisogna poi pretendere che tutti lo considerino disinteressato. Tanto più se si fa di tutto per evitare il dibattito su temi politici molto caldi e, per gli invitati, almeno di fronte ad una platea cattolica, un po’ imbarazzanti: scuola e famiglia, per esempio. E’ vero, al Meeting del 2015 c’è anche un rappresentante, uno solo, dell’opposizione: Roberto Maroni. Ma è troppo facile malignare, notando che si tratta, in fondo, di un politico con cui il Movimento, che ha il suo cuore a Milano, deve fare i conti…
Che a Cl interessino, ora, solo le Opere?
IL Pd presente quasi al completo finisce per alimentare l’idea diffusa per decenni da Repubblica , che il potere sia il fine. E questo, ne siamo certi, non è. Però alcuni di noi ricordano alcune confidenze, del cardinal Giacomo Biffi, che di don Giussani fu amico ed estimatore, soprattutto sul ruolo in Cl della Compagnia delle Opere, e il tarlo del dubbio scava e fa male.
Dalla politica alla situazione ecclesiale. Se ieri si stava con Forza Italia (non senza un particolare dialogo con Pierluigi Bersani), ed oggi si va a braccetto con il Pd, in particolare quello di Renzi, cosa accade a livello ecclesiale? Stiamo assistendo, noi poveri cattolici di tutti i giorni, cresciuti tra l’amore della Chiesa e una certa diffidenza per il clericalismo, alla svolta galantiniana. Nunzio Galantino, segretario della Cei, molto più potente del presidente dei vescovi Angelo Bagnasco (tanto che al Meeting la Guarnieri lo ha definito, erroneamente, ma significativamente, il “capo dei vescovi italiani”! ) si sta adoperando in ogni modo per spazzare via persino il ricordo della Cei di Camillo Ruini. Per esempio elogiando – è stato fatto, sebbene ambiguamente, in più occasioni-, progetti di legge come il Cirinnà, o ostacolando un Family day ancora più necessario di quello che vi fu nel 2007, con benedizione papale.
La Cei di Ruini e la Cei di Galantino sono agli antipodi. Per contenuti e modalità. Se si stava un tempo, con entusiasmo, con il primo, si può schierarsi oggi, con la stessa convinzione, con il secondo? Se non si confonde la fedeltà alla Chiesa, con la fedeltà a chi ne detiene in un certo periodo il potere, no.
Anche perché don Juliàn Carrón, attuale guida di Cl, solo pochi anni sembrava un altro. Come non ricordare, di fronte ai discorsi e alle posizioni di oggi, la sua lettera, resa pubblica da Gianluigi Nuzzi, del marzo 2011? In essa si proponeva una disanima molto critica della gestione della diocesi di Milano da parte dei cardinali Martini e Tettamanzi. Cardinali che certamente si riconoscerebbero oggi nella linea tracciata, con mano spesso pesantuccia, da Galantino.
Al nunzio Giuseppe Bertello, don Carrón descriveva una chiesa ambrosiana, dopo la gestione dei suddetti arcivescovi, piuttosto desolante. Notava, tra le altre cose: “L’insegnamento teologico per i futuri chierici e per i laici, sia pur con lodevoli eccezioni, si discosta in molti punti dalla Tradizione e dal Magistero, soprattutto nelle scienze bibliche e nella teologia sistematica”; “dal punto di vista della presenza civile della Chiesa non si può non rilevare una certa unilateralità di interventi sulla giustizia sociale, a scapito di altri temi fondamentali della Dottrina sociale, e un certo sottile ma sistematico “neocollateralismo”, soprattutto della Curia, verso una sola parte politica (il centrosinistra) trascurando, se non avversando, i tentativi di cattolici impegnati in politica, anche con altissime responsabilità nel governo locale, in altri schieramenti. Questa unilateralità di fatto, anche se ben dissimulata dietro a una teorica (e in sé doverosa) “apoliticità”, finisce per rendere poco incisivo il contributo educativo della Chiesa ai bene comune, all’unità del popolo e alla convivenza pacifica…”.
Quanto alla “presenza nel mondo della cultura, così importante per una città come Milano, va rilevato che un malinteso senso del dialogo spesso si risolve in una autoriduzione della originalità del cristianesimo, o sconfina in posizioni relativistiche o problematicistiche che, senza rappresentare un reale contributo di novità nel dibattito pubblico, finiscono col deprimere un confronto reale con altre concezioni e confermare una sostanziale Irrilevanza di giudizio della Chiesa rispetto alla mentalità dominante”.
Infine Carron concludeva: “Mi permetto infine di rilevare, per tutte queste ragioni, pur sommariamente delineate, l’esigenza e l’urgenza di una scelta di discontinuità significativa rispetto alla impostazione degli ultimi trent’anni, considerato il peso e l’influenza che l’Arcidiocesi di Milano ha in tutta la Lombardia, in Italia e nel mondo… Occorre una personalità con profondità spirituale, ferma e cristallina fede, grande prudenza e carità, e con una preparazione culturale in grado di dialogare efficacemente con la varietà delle componenti ecclesiali e civili, fermo sull’essenziale e coraggioso e aperto di fronte alle numerose sfide della postmodernità… Per queste ragioni l’unica candidatura che mi sento in coscienza di presentare all’attenzione del Santo Padre è quella dell’attuale Patriarca di Venezia, Card. Angelo Scola”, il quale “ha mostrato fermezza e chiarezza di fede, energia nell’azione pastorale, grande apertura alla società civile e soprattutto uno sguardo veramente paterno e valorizzatore di tutte le componenti e di tutte le esperienze ecclesiali”.
Rileggendo questa lettera di soli pochi anni fa, viene da chiedersi se il Carrón di oggi sia lo stesso, quanto a linguaggio e contenuti, di quello di ieri, o se non si debba notare un adeguamento un po’ marchiano -similare a ciò che avviene nel campo politico-, alla linea attualmente vincente: quella di mons. Galantino e di quanti oggi nella Chiesa credono sia giunto il momento della vittoria, postuma, delle idee del cardinal Martini. Se poi la linea di Galantino coincide con quella di Repubblica, di Melloni e di quanti hanno sempre visto Cl come il fumo negli occhi, la domanda si fa ancora più inquietante: sopravviverà il carisma di don Giussani?
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