di Marco Tosatti
La Chiesa cattolica tedesca l’anno scorso ha perso un numero record di fedeli: quasi 218.mila persone, circa 39 mila più dell’anno precedente. E’ una cifra particolarmente alta, superiore persino a quella del 2010, l’anno in cui la Chiesa tedesca fu scossa dallo scandalo degli abusi
sessuali sui minori. In Germania la fede va dichiarata all’atto della dichiarazione fiscale; e in conseguenza di ciò – come illustra il recente caso di Luca Toni – la confessione di appartenenza rivendica e riceve una tassa, la “Kirchensteuer”.
Sono cifre considerevoli; nel 2011 la Chiesa tedesca ha percepito qualche cosa come 6,3 miliardi di dollari. La Chiesa tedesca è il secondo datore di lavoro nel Paese, e la sua influenza è considerevole nel Terzo Mondo grazie anche agli aiuti elargiti con i fondi della Kirchensteuer. Alcuni commentatori – come l’americano George Weigel – attribuiscono questa crescente disaffezione, oltre che a ragioni finanziarie, alla tendenza di una larga parte dell’episcopato a tentare di modificare la dottrina della Chiesa. Fra questi la dottrina relativa al matrimonio e ai sacramenti per i divorziati risposati, di cui si parlerà nel Sinodo dell’ottobre prossimo. E’ interessante in questo senso vedere che cosa afferma, in un’ampia intervista a “Zenit”, mons. George Gaenswein, Prefetto della Casa Pontificia e già segretario di Benedetto XVI.
Alla domanda dell’intervistatore:
Alcune di queste dispute provengono dalla sua terra d’origine, la Germania. Perché?
Sì. È vero che non tutti gli errori vengono da là, ma il punto in questione certamente sì: vent’anni fa Giovanni Paolo II, dopo una lunga e impegnativa trattativa, non accettò che i cristiani risposati potessero accedere all’Eucaristia. Ora, non possiamo ignorare il suo magistero e cambiare le cose. Perché alcuni pastori vogliono proporre ciò che non è possibile? Non lo so. Forse cedono allo spirito del tempo, forse si lasciono guidare dal plauso umano causato dai media… Essere critico contro i mass media è certamente meno piacevole; ma un pastore non deve decidere in base agli applausi o meno dei media; la misura è il Vangelo, la fede, la sana dottrina, la tradizione.