Per la legalizzazione della fecondazione artificiale extracorporea (Pma: Procreazione medicalmente assistita) si è seguito in Italia lo stesso schema che ha portato alla legalizzazione dell’aborto. Così come la legalizzazione dell’aborto (male minore) doveva servire per sconfiggere l’aborto clandestino (male maggiore) e tutelare la salute delle donne, la legalizzazione della Pma (male minore) doveva sconfiggere il “far west della provetta” (male maggiore) e tutelare la salute delle coppie infertili.
INDICE:
- Il far west delle origini
- Fine del far west o suo restyling lessicale?
- Il far west nelle tecniche
- Il far west continua e peggiora: sepolti e abbandonati nel gelo
- Neo far west: il ritorno dell’eterologa
- Orrori da neo far west
- Bambini da genitori defunti
- Gemelli di età diversa
- Bambini con più di due genitori nella loro vita
- Diritto in tilt e caos legali
- Bambini contesi
- Bambini abbandonati o eliminati perché “difettosi”
- Bambini da genitori-nonni
- Aberrazioni “collaborative”
- Bambini fabbricati per scopi abietti
- Conclusione
IL FAR WEST DELLE ORIGINI
Dopo la nascita nel 1978 in Inghilterra di Louise Brown, la prima bambina fecondata in vitro, erano sorti ovunque cliniche private e laboratori improvvisati che si avventuravano in sperimentazioni selvagge e fuori controllo. La speculazione sul desiderio di genitorialità delle coppie infertili e sterili era arrivata a muovere un business per decine di miliardi, cui facevano seguito scarsissimi risultati in termini di successo e moltissimi rischi per le persone che si sottoponevano a queste sperimentazioni.
In un articolo[1] del 2008, Francesco Agnoli ricorda le interviste di Luciano Ragno a vari luminari di questo campo, riportate in uno dei primi libri usciti sul tema della fecondazione artificiale: “Un figlio ad ogni costo” (AdnKronos, 1984). Tra questi vi è Carlo Flamigni, che afferma: “Troppo spesso l’eccessiva disponibilità delle coppie sterili nei confronti del medico le rende oggetto di esperimenti fatti più o meno in buona fede […] C’è gente che va a prelevare sperma nei villaggi del fanciullo a ragazzi di 13-14 anni […] È ora di finirla di speculare sulla disperazione e anche sulla pelle di tante donne e di fare esperimenti a raffica” per di più a “caro prezzo”. Il professor Luigi Carenza, dell’Università di Roma, racconta che nella sua città “vengono usati, dietro compenso, come donatori di sperma i tossicodipendenti”. Guido Ragni, dell’Università di Milano, spiega che “esistono centri improvvisati dove con lo sperma di un donatore vengono messi al mondo decine e decine di figli. Il rischio che domani questi fratelli senza saperlo possano sposarsi è immenso”. Il professor Cittadini, dell’Università di Palermo, chiosa: “Non c’è alcun controllo” e Luigi Laratta, presidente dell’Aied, aggiunge: “Nelle banche clandestine l’inseminazione avviene senza controlli preventivi sullo stato di salute del donatore”.
In un articolo[2] del 2004, Agnoli fa un elenco di questi esperimenti aberranti con i quali “si potrebbe fare un breve bestiario medievale”. Agnoli scrive: “Il dottor Antinori portava al punto giusto gli spermatozoi immaturi nei testicoli dei topi; […] in Gran Bretagna un centinaio di donne sono rimaste incinte di un figlio non loro, per uno scambio a catena di embrioni: alcune hanno chiesto l’aborto, altre hanno visto loro figlio, quello vero, che continuava a vivere nell’utero di un’altra, o che veniva eliminato (F. Del Noce, ‘Non Uccidere’, Mondadori); a Los Angeles una donna di 62 anni ha ottenuto un bimbo con seme del fratello; nella stessa città dei medici hanno fuso il contenuto degli ovuli di due donne, una giovane e una più stagionata, ottenendo un ‘superovulo’, poi fecondato… (La tecnica è stata utilizzata anche a Torino, secondo Antinori ‘con risultati sconfortanti’, La Repubblica, 4 febbraio 1999); negli Stati Uniti una coppia di lesbiche ha ottenuto un figlio programmandolo sordo come loro tramite la diagnosi preimpianto (Quotidiano Nazionale, 10 aprile 2002)”. In Scozia, dopo fecondazione eterologa, è nato un “bambino ermafrodito a causa della fusione di due embrioni di sesso diverso: ha un testicolo e un’ovaia”. A scopo di ricerca sono stati “creati embrioni ermafroditi a New York e uomini-coniglio in Cina, mescolando Dna umano e animale (‘Sì alla vita’, ottobre 2003)”.
Dal libro “La Fecondazione artificiale umana” (Giuffrè, 1984), di Fernando Santosuosso, apprendiamo che “il dottor Carl Wood, il primo medico a far nascere un bambino da un embrione crioconservato, in Australia nel 1984, proponeva ‘la possibilità di influenzare geneticamente le caratteristiche psicofisiche dei neonati, eliminando ad esempio l’istinto maschile dell’aggressività mediante iniezioni di ormoni femminili negli embrioni maschili’”. Noti sono anche i tentativi di “innestare embrioni umani in animali per evitare di pagare donne portatrici” o gli “esperimenti di gravidanze addominali ottenute artificialmente con l’inserimento di embrioni fecondati in vitro nell’addome di transessuali, collegati a un’arteria ed estratti dopo alcuni mesi per proseguire lo sviluppo in incubatrice”[3].
Agnoli passa in rassegna anche il libro “La fecondazione proibita” (Feltrinelli, 2004) di Chiara Valentini, giornalista de L’Espresso, che “ci offre un ventaglio di storie da vero far west, raccapriccianti”[4]. Nel capitolo intitolato “Benvenuti al circo Barnum”, la Valentini descrive le prodezze del ginecologo Severino Antinori che, negli anni, ha reso possibile la gravidanza di “decine di donne over sessanta”. Tra queste vi è Rosanna Della Corte di 63 anni che “si sarebbe presentata nello studio romano di Antinori tenendo tra le mani un piccolo contenitore di azoto liquido” contenente lo sperma del marito morto dieci anni prima (p. 80). Sempre Antinori ha fatto partorire due gemelli a una “imprenditrice inglese miliardaria di 59 anni” e un bambino a una ragazza siciliana “frutto degli ovociti della madre e degli spermatozoi del patrigno” (p. 85). Al contrario, Regina Bianchi, una mamma napoletana, “aveva accettato di portare la gravidanza al posto della figlia”. La Valentini riporta anche il caso di una donna di Reggio Emilia a cui vennero impianti, dal Professor La Sala, ben dieci embrioni: nacquero “quattro minuscole creature, che pesavano meno di otto etti”, di cui due morirono quasi subito, mentre i restanti, fragilissimi, ebbero bisogno di “sei mesi di incubatrice e di cure intensive” per sopravvivere (p. 105).
Da pagina 86 a pagina 94 – prosegue Agnoli – la Valentini affronta il fenomeno degli uteri in affitto, raccontando di casi di gestanti che a gravidanza in corso ci ripensano e abortiscono, di altre malate di aids che contagiano il nascituro, o che gestiscono la gravidanza senza alcuna precauzione danneggiando il futuro neonato. Ma succede anche che, nell’arco dei nove mesi, la coppia committente si separa e non vuole più il bambino, o che alla fine del parto nessuno riconosce il neonato come suo. In quegli anni di far west sorge persino “un vero e proprio mercato di ovociti rubati e anche molti embrioni cambiavano proprietario” (p. 102).
La Valentini fa anche sapere che, delle cinquanta donne da lei intervistate, “quasi la metà ha riferito di episodi di malasanità in genere” come molestie sessuali, impianto di embrioni altrui, eterologhe fatte senza il permesso della coppia, stimolazioni ovariche eccessive, impianto di troppi embrioni, dosaggio sbagliato dei farmaci, aborti procurati per errori medici (pp. 101, 102, 103)… senza che nessuna di esse si sia mai arrischiata a denunciare i medici responsabili. Emblematico in proposito è il caso del dottor Giovanni Mencaglia (p. 108) che “si era inventato la vendita dello sperma per corrispondenza”. Costui aveva venduto a vari centri di fecondazione artificiale un migliaio di dosi di seme di un solo donatore, per di più affetto da epatite C. Scoperto della polizia nel 1997 e indagato per tentata epidemia, non aveva subìto alcuna conseguenza potendo così ritornare, come se niente fosse, ai suoi esperimenti di fecondazione artificiale.
FINE DEL FAR WEST o SUO RESTYLING LESSICALE?
Per fermare tutto questo, il 19 febbraio 2004 il Parlamento italiano approva la legge 40 sulla procreazione extracorporea. Una legge che doveva porre fine a questi esperimenti abnormi e fuori controllo e, nel contempo, tutelare le coppie infertili dalla “provetta selvaggia” venendo incontro al loro desiderio di genitorialità con la Fivet omologa.
Tutto bene, quindi, fatta la legge eliminato il far west? Non proprio. La legge 40 ha sicuramente fermato alcune pratiche aberranti degli inizi – un risultato che, tuttavia, si sarebbe ottenuto anche con un chiaro divieto a praticare qualsiasi fecondazione al di fuori del corpo della donna, omologa compresa -, ma non ha eliminato il far west. Negligenze e illeciti sono magicamente svaniti nel nulla solo grazie a un restyling lessicale politically correct, mediante il quale il far west è stato convertito in “errori di procedura”. In altre parole, dal punto di vista linguistico il far west è sicuramente sparito, ma nella realtà continua a verificarsi lo stesso sotto le mentite spoglie di “errore di procedura”.
Diamo ora un’occhiata a qualcuno di questi “errori procedurali” capitati in Italia e nel mondo.
2004, Torino, scambio di liquido seminale
Nel 2004, nel Centro Promea di Torino, a causa di un “errore di procedura” vengono scambiate le provette contenenti il seme maschile di due coppie, una torinese e una svizzera. Lo sbaglio sarebbe stato scoperto a inseminazione appena avvenuta dal marito italiano, quando, esaminando l’intestazione della cartella clinica, si era accorto che non recava il suo nome. L’immediato esame della provetta in cui era contenuto lo sperma aveva confermato lo scambio: il nome scritto con il pennarello era quello di un altro uomo. Entrambe le donne hanno rimediato all’errore assumendo la pillola del giorno dopo. Il marito della coppia torinese ha detto in un’intervista che la moglie stava vivendo “un periodo di grave difficoltà psicologica” e che si sentiva come se avesse subìto uno stupro: resta “la sensazione di avere subito una violenza. Mia moglie si porta dentro un seme che non vuole. È una cosa scioccante, a pensarci”[5].
2009, Padova, scambio di liquido seminale
Nel 2009, a causa di un altro banale “errore di procedura”, una 33enne padovana viene fecondata con il seme del marito di un’altra donna che quello stesso giorno si era sottoposta al medesimo trattamento. Il “disguido” si chiude anche questa volta con l’assunzione della pillola del giorno dopo e con una richiesta risarcitoria nei confronti dell’Azienda Ospedaliera “per i danni psicologici, biologici, esistenziali e morali subiti”. In una nota ufficiale la direzione dell’ospedale ha espresso “forte rammarico per l’errore procedurale a causa del quale è stato utilizzato il seme di un donatore diverso dal marito”[6].
1986, New York, scambio di liquido seminale
Nel 1986, a New York, Julia Skolnick, bianca, si sottopone a inseminazione artificiale con il seme che il marito, bianco anche lui, aveva depositato alla “Idant Labs” – la più grande banca del seme d’America – prima di morire di tumore, ma nove mesi dopo partorisce una bimba mulatta. Lo sperma usato per l’inseminazione era stato scambiato con quello di un cliente nero della Banca. La vedova ha fatto causa, ottenendo un risarcimento di 400mila dollari.
2012, Stati Uniti, scambio di liquido seminale
Gli errori di procedura non risparmiano nemmeno le coppie lesbiche. Jennifer Cramblett e Amanda Zinkon, due donne bianche di 36 e 29 anni dell’Ohio, sposatesi nel 2011 a New York, si rivolgono alla Midwest Sperm Bank per avere un bambino. Le donne scelgono lo sperma di un donatore bianco con il quale viene inseminata Jennifer, ma alla fine della gravidanza nasce una bimba mulatta. Lo sbaglio è avvenuto a causa di un errore di trascrizione da parte del personale della Banca, che ha determinato lo scambio del seme appartenente al donatore bianco con quello di uno di colore. La vicenda si è conclusa con una richiesta di risarcimento alla Midwest Sperm Bank di almeno 50mila dollari.
2013, Roma, scambio di embrioni
A dicembre 2013 quattro coppie si sottopongono a fecondazione artificiale all’ospedale Sandro Pertini di Roma. Tre di esse hanno esito positivo e, tra queste, una coppia si scopre in attesa di due gemelli. L’“errore” viene alla luce al terzo mese di gravidanza quando un test genetico eseguito sui bimbi rivela l’incompatibilità del loro dna con quello dei genitori. Si scopre così che i piccoli sono dei coniugi il cui trattamento non era andato a buon fine, rivelatore del fatto che gli embrioni delle due coppie erano stati scambiati. I genitori non biologici scelgono di portare avanti la gravidanza e di tenere i bambini, che nascono il 3 agosto 2014, mentre i genitori biologici rivendicano la loro proprietà, invano: il 7 agosto 2014 un giudice del Tribunale di Roma stabilisce che i gemelli scambiati e contesi sono della donna che li ha partoriti come sancisce chiaramente l’ordinamento italiano secondo il quale i figli sono di chi li partorisce. Il “dramma umano dei genitori che si erano rivolti all’ospedale per trovare soddisfazione al loro diritto alla procreazione e a formare una famiglia – ha detto il magistrato – potrà trovare tutela solo risarcitoria”[7].
Il professore e giurista Alberto Gambino ha ricordato nell’occasione che “le tecniche di fecondazione extracorporea comportano sempre un’alea conseguente alla perdita del ‘governo’ dell’atto fecondativo in capo alla coppia e perciò occorre mettere in conto che i ‘propri’ embrioni possano talvolta sfuggire alla ‘rivendicazione’ da parte di chi fisiologicamente ne ha perso il controllo, con conseguente caos giurisprudenziale”.
Insomma, il far west o, come si dice oggi, l’“errore”, è insito nella fecondazione extracorporea in sé: ciò che accadeva quando una legge ancora non c’era, continua a verificarsi anche adesso che una legge c’è. Vedere i propri figli crescere nel grembo di un’altra donna che li prenderà con sé a pieno diritto, quale conseguenza di uno scambio di embrioni, una volta si chiamava far west, adesso invece è solo una “perdita di controllo fisiologica” che le coppie dovrebbero mettere in conto fin dall’inizio.
2009, Stati Uniti, scambio di embrioni
Molto meglio è andata nel 2009 ai genitori biologici protagonisti di uno scambio di embrioni avvenuto in una clinica di Sylvania, cittadina dell’Ohio. La quarantenne Carolyne Savage, sottopostasi a fecondazione in vitro (Fivet), viene a sapere che il figlio che ha in grembo non è il suo. D’accordo con il marito decide di portare a termine la gravidanza e di consegnare il piccolo ai genitori biologici, Paul e Shannon Morell, immensamente grati alla coppia.
“I medici mi consigliarono subito di abortire”, racconta Carolyne, ma “quella che portavo in grembo era una vita umana e l’avremmo protetta. Non importa se quel bimbo era nella pancia sbagliata. Non era colpa nostra né dei suoi genitori. Io mi misi nei panni della mamma di quel bambino: cosa avrei fatto, io, se mio figlio fosse stato nella pancia di un’altra donna? Non avrei pregato con tutta me stessa che quella donna lasciasse vivere mio figlio?”[8].
1996, Modena, coppia bianca partorisce due gemelli neri
Un caso simile a quello capitato al Pertini si era già verificato nel 1996 al Policlinico di Modena, quando non esistevano ancora regole e regnava il caos, ma il caso era venuto alla luce solo nel 2004 quando si aprì la causa civile in tribunale. A procedere contro l’ospedale di Modena è una coppia di genitori bianchi che, dopo fecondazione artificiale omologa, aveva partorito due gemelli mulatti. Il giorno del trasferimento degli embrioni i coniugi modenesi furono gli ultimi a sottoporsi al trattamento, dopo altre due coppie la prima delle quali era originaria del Nordafrica. Pare che alla radice dello sbaglio – per un probabile errore umano di un operatore, come dichiarato dalla direzione del Policlinico – vi sia stata una pipetta sporca, mediante la quale il materiale genetico dell’uomo di colore è stato trasmesso alla signora modenese. La causa si è chiusa con un risarcimento di un milione e mezzo di euro.
A distanza di anni, Repubblica li ha intervistati per raccogliere le loro impressioni a proposito dell’incidente avvenuto al Pertini. Vedo “che continuano a fare pasticci” ha osservato il padre dei gemelli mulatti, “è un caso ancora peggiore del nostro” visto che qui non c’è “nessun legame genetico”. “Io – ha aggiunto l’uomo – mi auguro che nessuno cominci a fare dei test del Dna, perché in giro ce ne sono parecchi, secondo me. Se ci fossero nati due ragazzini bianchi non ce ne saremmo mai accorti”[9]. Questa considerazione non fa una piega: con la nascita dei gemelli mulatti l’errore è risultato evidente, poiché è impossibile che da una coppia bianca nascano figli di colore, ma in Italia le coppie di pelle nera che si sottopongono a fecondazione artificiale sono l’eccezione. Ora, se la situazione particolare ha mostrato che gli embrioni possono essere scambiati, a maggior ragione statisticamente parlando l’errore si verificherà nell’ambito dei casi che costituiscono la regola (pelle bianca), con la differenza che con questi lo sbaglio rimarrà perlopiù nascosto perché non visibile all’occhio.
Lo stesso discorso si può applicare allo scambio di embrioni avvenuto al Pertini. L’errore è stato scoperto solo perché la coppia ha fatto eseguire il test del Dna sui bambini, altrimenti non si sarebbero mai accorti che non erano figli loro visto che il colore della pelle corrispondeva. Ma nella maggior parte dei casi di fecondazione artificiale i genitori non hanno fatto il test genetico ai figli. Se tutte le coppie che si sono sottoposte alla Fivet facessero il test salterebbero fuori probabilmente molte sorprese!
In una di queste “sorprese” si è imbattuta una donna americana dello Utah (Usa) che nel 1991 si era sottoposta a inseminazione artificiale con il seme del marito, presso la clinica della fertilità dell’University of Utah ma, vent’anni dopo, ha scoperto da test genetici che il padre biologico della figlia non era il marito ma un ex dipendente, ormai defunto, del Reproductive Medical Technologies Inc, il laboratorio che all’epoca si occupava di preparare i campioni e analizzare lo sperma per conto della clinica universitaria. In questo laboratorio l’uomo aveva lavorato dal 1988 al 1993. Nell’aprile 2013 l’University of Utah ha iniziato a indagare sul caso, giudicando “credibili” le informazioni fornite dalla paziente circa una possibile manomissione o errore di etichettatura del campione di sperma ma, fare luce sui fatti non è possibile visto che il presunto sabotatore è morto nel 1999. Intanto l’ateneo ha fatto sapere che fornirà un test di paternità gratuito a tutte le persone che tra il 1988 e il 1993 si sono sottoposte a fecondazione artificiale nel Centro.
1995, Olanda, coppia bianca partorisce un gemello bianco e uno nero
Ancora una pipetta sporca è all’origine dell’errore avvenuto in Olanda nel 1995, in una clinica di Ultrecht: dopo la fecondazione in vitro una coppia bianca partorisce un gemello bianco e uno nero. Anche in questo caso lo sbaglio è venuto alla luce solo perché il colore della pelle del neonato non corrispondeva a quello dei genitori. La clinica non ha potuto far altro che riconoscere l’errore ammettendo di aver usato due volte la stessa provetta per l’inoculazione degli spermatozoi, prima per una coppia di neri e poi per la coppia di bianchi. In questo modo uno spermatozoo residuo del primo trattamento è finito insieme a quelli del padre bianco fecondando un ovulo della moglie.
1999, New York, coppia bianca partorisce un gemello bianco e uno nero
Uno scambio di embrioni si era verificato anche nel 1999, in una clinica per l’infertilità di Manhattan. In questo caso una coppia bianca (Donna e Richard Fasano) aveva partorito un gemello bianco e uno nero perché, per un errore, aveva ricevuto l’impianto di alcuni embrioni appartenenti ai coniugi di colore Deborah e Robert Rogers, rimasti senza figli. La coppia di colore aveva denunciato la coppia italoamericana per “sottrazione di paternità e maternità”. Dopo mesi di battaglie legali, i genitori biologici di colore hanno ottenuto la custodia del gemellino con la pelle nera che, di fatto, è stato separato dal fratellino bianco.
2002, Londra, coppia bianca partorisce due gemelli neri
Lo stesso fatto è accaduto a Londra nel 2002 dove una coppia bianca ha partorito due gemelli neri. L’errore si è scoperto solo al momento del parto di fronte all’inconfutabile evidenza del colore della pelle. L’analisi genetica eseguita sui bambini ha confermato lo sbaglio: l’ovulo della donna non era stato fecondato con il seme del marito ma con quello di un estraneo di un’altra coppia, evidentemente di pelle nera, che si era rivolta alla clinica per un analogo trattamento in vitro.
Nel 2009, in Irlanda, una coppia bianca partorisce un bimbo nero perché, per errore, l’ovulo era stato fecondato con lo sperma di uno sconosciuto di colore.
Nel 1993, in Olanda, Wilma Stuart, bianca come il marito, partorisce due gemelli neri: il suo ovulo era stato fecondato con lo sperma di un uomo delle Antille Olandesi, anziché del marito.
2011, Hong Kong, scambio di embrioni
Altro scambio di embrioni nel 2011 a Hong Kong dove, nella clinica d’eccellenza “Victory ART Laboratori”, una signora ha ricevuto due embrioni di un’altra coppia. La donna ha scelto di eliminarli con l’aborto e la clinica – che ha ammesso l’errore, scaricando tutta la colpa su un giovane medico che non avrebbe letto bene i dati sulla provetta – ha dovuto versare un cospicuo risarcimento sia a lei che ai genitori genetici, e ha dovuto fornire una consulenza psicologica gratuita a entrambe le donne.
2013, Roma, smarrimento di embrioni
Siamo ancora all’ospedale Sandro Pertini di Roma dove, a luglio 2013, i coniugi Colafranceschi, dopo due anni di terapie senza successo, riescono a ottenere 5 embrioni, tutti di buona qualità (due di tipo A e tre di tipo B). Stabiliscono quindi l’impianto di tre di loro e la crioconservazione dei restanti. Il giorno dell’impianto ci sono altre quattro coppie a sottoporsi al trattamento ma, mentre queste terminano tutte la procedura entro le 9.30 del mattino, i Colafranceschi vengono lasciati in attesa fino alle 13.30 senza alcuna spiegazione. Il transfer viene infine eseguito. Il giorno dopo la coppia telefona in ospedale per chiedere notizie circa lo stato degli embrioni crioconservati ma, non ottenendo risposta, decide di recarsi in reparto di persona dove apprende, da un biologo diverso da quello che li aveva seguiti, che i restanti “due embrioni erano stati buttati via perché non buoni… Nonostante tre giorni prima ci avessero detto il contrario!”. “Quel biologo – racconta la signora – sosteneva che erano stati distrutti, senza nemmeno avvertirci, né lasciarci un certificato scritto, come invece è previsto dal protocollo”. Intanto la gravidanza ha avuto inizio ma poco dopo si interrompe a causa di un aborto spontaneo. Marito e moglie tornano in ospedale per chiedere la loro cartella clinica, ma viene loro risposto che non gliela possono consegnare perché sono una Asl. Riescono a entrarne in possesso solo molti mesi dopo, a novembre 2014, “quando abbiamo messo di mezzo l’avvocato”. Racconta il marito che nelle carte sono ben visibili delle modifiche: “Ho scoperto documenti corretti a penna in cui mi indicano ‘Colafrancesco’, poi ‘Cola Franceschi’”.
La Asl di Roma B ha smentito la “sparizione” degli embrioni, precisando che si è semplicemente trattato di una normale procedura di eliminazione dopo l’accertamento della non vitalità, specificando inoltre che alla coppia erano state fornite tutte le informazioni relative agli embrioni. Ora sarà forse la magistratura a fare luce sulla vicenda, ma il padre dei due figli scomparsi non si dà pace: “E se si fossero sbagliati anche con noi? I due in esubero dove sono? Che ci hanno fatto? Non ci dormo la notte, camperò tutta la vita col dubbio”[10].
2011, Inghilterra, smarrimento di embrioni
Un’analoga scomparsa di embrioni era avvenuta due anni prima anche in una clinica privata di Canterbury, nella regione inglese del Kent. I coniugi Austen-Hennessy avevano deciso di dare un fratellino al figlio Roman, ottenuto nel 2007 tramite fecondazione in vitro, utilizzando gli embrioni in esubero che in quell’occasione avevano fatto crioconservare, ma, recatisi in clinica, avevano appreso che erano spariti e che forse, per errore, erano stati impiantanti nell’utero di qualcun’altra. I medici si erano già accorti nel 2009, durante un controllo, che gli embrioni erano scomparsi, ma avevano deciso di non informare la coppia.
“Ci è stato semplicemente detto che non trovavano più gli embrioni – ha raccontato la donna sconvolta – e che non sarebbe stato possibile sapere dove erano perché potevano anche essere andati a un’altra donna”. Questa situazione – ha detto il marito – “ci ha trovati completamente impreparati. Non posso pensare che un’altra coppia possa avere o abbia avuto il nostro figlio biologico. Non riusciremo a trovare pace finché non sapremo che fine hanno fatto i nostri embrioni”[11].
2007, Milano, distruzione di embrioni
Nel 2007 una coppia milanese ottiene tre embrioni dopo un ciclo di fecondazione artificiale presso l’Azienda ospedaliera “Fatebenefratelli e Oftalmico” di Milano. Il trasferimento in utero era previsto per il 9 maggio ma, nella notte tra l’8 e il 9 maggio, un cortocircuito ha provocato l’interruzione della corrente elettrica negli incubatori dove erano colturati gli embrioni, causandone la morte. I coniugi hanno fatto causa all’ospedale per i danni patrimoniali, morali “da disagio psicofisico” ed esistenziali subìti. Il 22 maggio 2013, il Tribunale di Milano ha condannato l’ospedale a un risarcimento di 65mila euro.
2012, Roma, distruzione di embrioni
il 27 marzo 2012, un incidente all’impianto di azoto liquido del centro di Pma dell’ospedale San Filippo Neri provoca una strage, con la distruzione di 94 embrioni crioconservati, 130 ovociti e 5 campioni di liquido seminale, appartenenti a una quarantina di coppie, arrabbiate e disperate. Tra queste vi è Federica che, intervistata da Il Messaggero, racconta: “Il prelievo l’avevamo fatto il 18 aprile dello scorso anno: venti ovociti in tutto. Otto erano stati fecondati, due di questi embrioni li avevamo impiantati. Il 24 agosto, alla ventiduesima settimana, ho un parto prematuro. I gemelli sono morti e io li partorisco, primo uno e poi l’altro. Li abbiamo sepolti, è stato un dolore che non si può immaginare. Ma c’erano gli altri embrioni, pensavo a loro come ai fratellini. Mi tenevano in vita. E adesso mi dicono che non ci sono più […] È stata distrutta una parte di me e nessuno potrà ridarmela. Non erano solo i miei embrioni, erano i fratelli dei due gemelli che ho perduto, erano stati concepito nello stesso momento. Quei due maschietti li abbiamo sepolti, hanno una tomba. L’unica mia consolazione era pensare agli altri fratellini che erano lì, qualcuno ce l’avrebbe fatta. Era la solo speranza che avevo”[12]. Con buona pace di chi pensa che gli embrioni prodotti in laboratorio siano solo materiale biologico.
I casi italiani che abbiamo visto ci dicono che la legge 40 non è stata in grado di fermare quello che una volta si chiamava “far west”: lo scambio di liquido seminale e la sua inoculazione negli ovociti sbagliati, l’impianto di embrioni in uteri sbagliati, la distruzione accidentale di embrioni e il loro smarrimento, continuano a verificarsi anche nei laboratori legittimi e asettici fioriti dopo la legalizzazione, per il semplice fatto che questo genere di errori è intrinseco alla fecondazione in vitro, come ha ammesso anche il giurista Gambino.
L’errore si verifica perché la Fivet sottrae il formarsi della vita dalla sua perfetta e inimitabile culla naturale: il grembo materno e la mette nelle mani imperfette e, a volte, fallaci dell’uomo. Si verifica perché la Fivet riduce il concepito a cosa, a prodotto fabbricato in laboratorio, dove qualcosa può pur sempre andare storto e la creazione della vita diventa routine, con conseguente perdita di attenzione e consapevolezza circa il fatto che in ogni singolo embrione vi è un piccolissimo uno di noi, unico e irripetibile. Scrive Tommaso Scandroglio:
“Questi errori sono figli legittimi della provetta almeno per due ragioni. La prima: Dio Padre, o per gli aficionados del pensiero laico Madre Natura, ha stabilito che si nasca dall’abbraccio amoroso tra un uomo e una donna. Ora togliere il concepimento dal talamo è snaturarlo perché si affida questo momento delicatissimo e tutti gli altri momenti successivi alle rozze mani di noi uomini. Mani che al confronto delle leggi sapientissime che regolano la fertilità non possono che rimanere maldestre anche nel caso in cui fossero protette da guanti in lattice come quelle dei tecnici di laboratorio plurilaureati e iperspecializzati.
Gli errori grossolani sono poi l’esito necessario ed inevitabile delle tecniche di fecondazione artificiale anche perché tali procedure reificano il concepito, trattandolo come un prodotto, come una merce. Ciò che nasce in una provetta di vetro e poi viene messo in un freezer e che è tanto piccolo che per vederlo lo devo mettere sotto un microscopio, come può essere uno di noi, un uomo? Chi opera nel settore allora è pervasivamente impregnato da questo approccio verso il bimbo in provetta. E dunque, nella testa del personale tecnico che manipola l’embrione, questi è solo materiale organico non una persona di statura minutissima. È chiaro allora che l’attenzione scema.
Infine a ciò si aggiunge la mole impressionante di embrioni ‘stoccati’, numero così rilevante che comporta una squalificazione del valore di ogni singolo nascituro. Ciò a voler dire che tra tanti embrioni manipolati e tra tanti che non ce la fanno, uno che viene distrutto per errore o che viene concepito con il seme non del suo genitore naturale ma di un terzo, non fa poi più di tanto problema.
Semmai l’inconveniente provocherà imbarazzo per una questione di forma. Cioè si condannerà la distrazione per mancanza di serietà professionale del tecnico di laboratorio, e non perché a causa di quella distrazione una persona è stata uccisa o crescerà non con i suoi genitori biologici”[13].
Quindi, anche dopo aver regolamentato la Fivet omologa, con l’introduzione di criteri e limiti precisi, gli “errori di procedura” avvengono lo stesso e le coppie che vi incappano continuano a pagare un prezzo molto alto dal punto di vista umano e psicologico, esattamente come avveniva quando c’era ancora la “provetta selvaggia”. Ma quello che paga il prezzo più alto in assoluto, anche quando i congelatori non si guastano, è di sicuro l’embrione: per lui ogni giorno dell’anno è far west.
IL FAR WEST NELLE TECNICHE
Dei 94 embrioni andati distrutti a Roma, che tanto clamore e dolore ha suscitato, quanti sono quelli che sarebbero riusciti a nascere? Proviamo a fare un calcolo.
Il congelamento è un atto violento in grado di provocare, già dalla fase di raffreddamento, la morte dell’embrione. Quelli che sopravvivono vanno incontro a un progressivo declino nel tempo, altri ancora ci lasciano le penne durante la fase di scongelamento e, tra i fortunati che si “risvegliano” dall’ibernazione, molti si ritrovano con cellule danneggiate e perdita di vitalità.
Le tecniche di fecondazione artificiale presentano inoltre un’altissima mortalità embrionale e un’alta mortalità perinatale: quando si utilizzano embrioni freschi la percentuale di successo (gravidanza che giunge al parto) arriva al 13,5%, ma quando a essere impiantati sono gli embrioni crioconservati la percentuale scende all’11%. Per esempio, nel 2009 i nati vivi da trattamenti con l’utilizzo di embrioni “freschi” furono 8.037, corrispondenti a una percentuale di gravidanza del 20% e di parto del 13,4%, mentre la percentuale di gravidanze da embrioni crioconservati fu del 17,4%, ma arrivarono al parto solo 126 bambini, cioè l’11%. Nel 2006 era andata ancora peggio: gli embrioni scongelati furono 2.378, di questi 1.796 sopravvissero allo scongelamento (il 75,5%) ma i nati vivi furono solo 97, cioè appena il 4% del totale[14].
Ebbene, quanti dei 94 embrioni morti al San Filippo Neri sarebbero arrivati al parto? Non più di una decina, a essere ottimisti. Con la fecondazione in vitro riesce a nascere solo un bambino su dieci, le tecniche si fondano sulla decimazione dei concepiti, tanto che Scandroglio ha acutamente osservato che “più che tecniche per la cosiddetta ‘procreazione medicalmente assistita’ paiono tecniche per lo sterminio medicalmente assistito degli embrioni”. La Fivet è una roulette russa al contrario: il tamburo è tutto carico di proiettili tranne uno.
Se rapportiamo questa proporzione su scala mondiale, otteniamo un risultato sconvolgente. Si calcola che i nati vivi nel mondo con fecondazione artificiale siano 4,5 milioni, la nascita dei quali ha richiesto il sacrificio, calcolato e intenzionale, di 41,5 milioni di fratelli, un genocidio che non indigna né addolora: gli embrioni acquistano lo status di figli e vengono pianti solo quando va via la corrente e muoiono per errore.
IL FAR WEST CONTINUA E PEGGIORA: SEPOLTI E ABBANDONATI NEL GELO
In Italia, prima che entrasse in vigore la legge 40, si producevano embrioni sovrannumerari, si crioconservavano e, tra questi, una parte veniva abbandonata dai loro genitori. E dopo la legge 40? Uguale.
Nel 2001 (tre anni prima dell’entrata in vigore della legge), l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) aveva effettuato un’indagine allo scopo di censire gli embrioni giacenti nei freezer dei Centri di Pma italiani. Era emerso che, fino al dicembre 2000, vi erano 24.452 embrioni congelati appartenenti a 5.332 coppie, e che il 29% dei Centri contattati aveva embrioni abbandonati[15]. Incerta la quantità degli embrioni orfani. Secondo i dati[16] in possesso dall’ex ministro della salute Girolamo Sirchia, al 2005 gli embrioni in sovrannumero non più reclamati da chi li aveva prodotti ammontavano a “circa 400, o forse qualcuno in più”.
Nel 2004 entra in vigore la legge 40 ma, nonostante le regole e i “paletti”, si continua a crioconservare. Sono 659 gli embrioni stoccati nei frigoriferi nel 2005 presso i principali centri italiani di Pma, 819 nel 2006, 768 nel 2007 e 763 nel 2008. A partire dal 1 aprile 2009, data del famoso pronunciamento[17] della Corte Costituzionale, la situazione degenera. In meno di un anno il numero degli embrioni crioconservati decuplica e, gli anni successivi continua a salire in maniera impressionante: sono 7.337 gli embrioni crioconservati nel 2009 su un totale di 99.258 embrioni prodotti, 16.280 nel 2010 e 18.798 nel 2011. Solo negli anni 2010 e 2011, il numero degli embrioni legalmente crioconservati ha superato di ben 10.600 unità il totale di tutti gli embrioni crioconservati durante gli anni del far west e censiti dall’ISS.
Dopo la legge 40, non si è interrotto nemmeno il fenomeno di abbandono degli embrioni. In base ai dati dell’ISS aggiornati al settembre 2011, vi sono in Italia 55 Centri che hanno 3.862 embrioni crioconservati in stato di abbandono, appartenenti a 939 coppie che hanno rilasciato la rinuncia scritta al futuro impianto; e in 46 Centri vi sono 6.279 embrioni crioconservati appartenenti a 1.544 coppie che, dopo ripetuti tentativi, i centri non sono riusciti a rintracciare. Rispetto ai circa 400 censiti fino al 2005 (anni di far west), la provetta legale e la successiva sentenza della Corte Costituzionale, hanno fatto lievitare il numero di embrioni orfani e con genitori irreperibili del 2.500 per cento!
Quindi, è solo colpa della Corte Costituzionale, che ha divelto i “paletti”, se anche dopo la legge 40 i piccoli d’uomo continuano a essere congelati e abbandonarli nei freezer? No, la colpa è delle contraddizioni contenute nella legge 40 stessa. Sicuramente i giudici costituzionali hanno dato un significativo contributo all’aggravarsi del fenomeno, ma lo hanno potuto fare solo perché nella legge 40 la tutela dell’embrione non è assoluta. È proprio questa, infatti, a permettere per prima la crioconservazione degli embrioni “fino alla data del trasferimento, da realizzarsi appena possibile” (art. 14, comma 3) “qualora il trasferimento in utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione”.
In sostanza la legge 40 contraddice se stessa: da un lato vieta la crioconservazione degli embrioni ma, dall’altro lato, la ammette in determinate circostanze. Questo significa che la tutela dell’embrione dal congelamento non è totale, altrimenti il legislatore avrebbe vietato la crioconservazione tout court o, meglio ancora, la fecondazione extracorporea tout court, visto che neanche le tecniche di Fivet omologa, a causa della loro intrinseca e altissima uccisività, lo tutelano.
V’è inoltre da notare che, già prima che la Corte Costituzionale si pronunciasse, era lo stesso possibile aggirare l’obbligo di un unico e contemporaneo impianto e il divieto di crioconservazione, anche se mancava una causa di forza maggiore. Bastava che le coppie in trattamento inviassero una lettera di diffida al direttore sanitario dal trasferire in utero tutti gli embrioni prodotti. Emanuele Levi Setti – primario di Medicina della riproduzione all’Humanitas di Rozzano – ha osservato: “All’inizio la coppia dichiara che si farà trasferire tutti gli ovociti fertilizzati, come dice la legge. Ma nessuno, poi, vieta loro di cambiare idea, anche perché non sono sanzionabili. In questo caso scatta il congelamento”.
Le lettere di diffida avevano la loro ragion d’essere nell’articolo 13 delle linee guida emanate dal Ministero subito dopo l’entrata in vigore della legge 40, in cui si stabilisce che “il transfer non è coercibile”. Ancora una volta ci troviamo di fronte a una legge che contraddice se stessa: da un lato si afferma l’obbligo di un unico e contemporaneo impianto ma, dall’altro lato, si precisa che questo trasferimento non può essere imposto. Guido Ragni – direttore del Centro di sterilità della Mangiagalli – ha obiettato: “Noi dobbiamo rispettare il volere della donna che non può essere obbligata a un triplice impianto. Il problema è che la legge 40 prescrive il contrario”. Il ginecologo Stefano Venturoli, uno degli autori delle linee guida, ha ammesso: “Non c’è dubbio che il regolamento attuativo sul punto in questione modifichi lo spirito della legge. Alla fine siamo stati tutti d’accordo sul fatto che nessuno può fare un atto di violenza contro la donna”[18].
Il risultato finale, evidenziato dai numeri, non lascia dubbi: la legge 40, a causa delle sue contraddizioni interne, non ha eliminato ma aggravato in maniera significativa il far west relativo alla produzione di embrioni sovrannumerari, alla loro crioconservazione e al loro abbandono.
IL NEO FAR WEST: RITORNO DELL’ETEROLOGA
Dall’8 aprile 2014, grazie a un altro pronunciamento della Corte Costituzionale, sono stati ufficialmente resuscitati altri aspetti del far west che con la legge 40 si era pensato di poter cancellare, quelli che discendono dalla fecondazione eterologa.
Grazie ai giudici costituzionali, la Fivet realizzata con gameti estranei alla coppia è così tornata in auge e con essa gli abomini che avevamo visto già durante gli anni della “provetta selvaggia”. Vediamone alcuni.
La fecondazione eterologa smembra e moltiplica le figure genitoriali. Con essa la genitorialità biologica viene separata dalla genitorialità sociale e i bambini si ritrovano ad avere fino a quattro (o più) genitori tra sociali (noti) e biologici (sconosciuti). Per questo motivo, i figli nati da eterologa sono spesso colpiti da crisi d’identità, senso di estraneità e confusione: un disagio che dal punto di vista clinico prende il nome di “genealogical bewilderment” (“smarrimento genealogico”). L’eterologa rafforza inoltre l’irresponsabilità nella procreazione: con essa il genitore biologico (o i genitori biologici, nel caso in cui entrambi i gameti provengano da donatori) taglia consapevolmente sin dall’inizio ogni relazione con il figlio e non assume doveri nei suoi confronti.
Alla fecondazione eterologa è anche associato il rischio di rapporti incestuosi tra consanguinei, cioè tra fratellastri e sorellastre concepiti con lo sperma del medesimo donatore che non sanno di essere imparentati tra loro; e il rischio che si diffondano malattie rare tra la popolazione, com’è accaduto per esempio recentemente in Danimarca, dove il donatore 7.042, affetto da neurofibromatosi di tipo 1 (una rara malattia genetica che causa tumori al sistema nervoso), ha trasmesso questa malattia ad almeno 19 bambini dei circa 99 concepiti con il suo seme, utilizzato da 14 centri diversi.
Dall’eterologa nasce anche il fenomeno delle mamme-nonne, di donne cioè che partoriscono figli in tarda età – un’età in cui generalmente si è già in menopausa ed è più facile che si diventi nonna anziché madre -, grazie all’acquisto di un’ovocita “giovane” e allo sperma del marito o di un donatore. I figli che nascono rischiano di ritrovarsi presto orfani, o con genitori vecchi e bisognosi di tutto quando sono proprio loro, i figli, ancora molto giovani e per questo necessitanti dell’aiuto e del sostegno degli adulti.
L’eterologa, poi, apre le porte alla babele del suk procreativo: un vero e proprio mercato dove si fabbricano i figli su misura, caratterizzato dallo scambio di merci (ovociti e sperma scelti da cataloghi con le caratteristiche dei donatori e i corrispondenti prezzi) e servizi (affitto di uteri); dall’interazione tra domanda e offerta, e la presenza di agenzie e intermediari per agevolare le transazioni; dalla stipulazione di veri e propri contratti con tanto di sanzioni in caso di violazione delle clausole. Se tutto va bene, alla fine nasce quello che viene chiamato il “global baby” (“bambino globale”), assemblato, per fare un esempio, con seme danese e ovocita ucraino, incubato in un utero indiano e infine portato in patria dai genitori sociali inglesi con i quali vivrà e crescerà. Ma le combinazioni genitoriali e di assemblaggio dei “global babies” sono praticamente infinite, se consideriamo anche il fatto che, grazie all’eterologa e all’utero in affitto, possono diventare genitori non solo le coppie sterili ma anche i single e le coppie gay.
Da quando gli Stati hanno iniziato a introdurre legislazioni favorevoli alle unioni gay, questi ultimi sono diventati i clienti preponderanti delle cliniche della fertilità. Scott Brown, responsabile della comunicazione della California Cryobank, una delle più famose banche di gameti a livello mondiale, ha precisato che single e coppie gay “rappresentano il 60% della clientela”. Samundi Sankar, del “Srushti Fertility Research Centre” di Chennai (India), ha detto che “riceviamo un sacco di richieste da parte di coppie gay di Stati Uniti e Israele”. Samit Sekhar, del “Kiran Infertility Centre” di Hyderabad (India), ha ammesso che “sì, abbiamo un numero considerevole di persone gay che visitano la nostra clinica per avere un bambino utilizzando i servizi delle donatrici di ovuli e abbiamo notato un aumento di coppie omosessuali e single che ci contattano non appena la loro unione viene legittimata nei rispettivi paesi d’origine”. Ma – spiega Himanshu Bavishi del centro indiano “Fertility Institute” di Ahmedabad – “se la legge nel loro Paese non ammette il rapporto gay, si presentano come single”. Anche Jeffrey Steinberg, direttore dell’Istituto di fertilità di Las Vegas e di Los Angeles, ha ammesso che esiste una relazione tra legislazioni favorevoli al matrimonio gay e aumento di questa tipologia di clientela: “Sta emergendo un trend prevedibile. Da quando sono stati legalizzati i matrimoni gay siamo stati sommersi dalle richieste di donatrici di ovuli e di maternità surrogate”[19].
Se ne ricava che i “global babies” assemblati dalle coppie gay saranno, dal punto di vista psicologico, doppiamente segnati, poiché non dovranno solo fare i conti con lo “smarrimento genealogico” che generalmente colpisce i figli dell’eterologa, ma anche con il fatto che dovranno crescere privati di una figura genitoriale fondamentale.
E per finire, dall’eterologa prende le mosse anche la cosiddetta “procreazione collaborativa” o Imar (Intrafamilial medically assisted reproduction): l’ultima frontiera nel campo della fecondazione artificiale in cui i soggetti coinvolti sono imparentati tra loro. Nonostante il termine politically correct evochi uno scenario familiare di concordia e aiuto vicendevole, l’Imar non è altro che l’ennesima mostruosità di un’epoca in cui si è smarrito il senso del limite. Si tratta né più né meno che di uno stratagemma messo in campo per superare i tempi di attesa e gli ingenti costi economici del mercato procreativo.
In pratica, nella “procreazione collaborativa” i gameti e gli uteri vengono forniti dai parenti. Così, una coppia sterile, anziché comprare gameti al libero mercato, potrebbe farseli dare da un genitore, dai fratelli, i cugini, gli zii o i nipoti; invece di affittare l’utero di un’estranea potrebbe farselo prestare dalla madre, dalla zia, dalla sorella, da una cugina o, se l’età lo permettesse, persino dalla nonna. La “procreazione collaborativa” si concretizza perciò in un intreccio pazzesco di gameti e uteri tra congiunti tale da scombinare e confondere l’intero apparto familiare, in cui si realizzano incesti biologici forieri di problemi familiari, giuridici e di salute per i nascituri.
Avevamo visto all’inizio, alcuni casi di questi intrecci tra consanguinei che avevano fatto gridare allo scandalo e per questo erano stati annoverati tra gli orrori del far west procreativo. Oggi, dopo la legalizzazione della fecondazione artificiale e il restyling politically correct, non solo questi casi non turbano più ma, al contrario, evocano addirittura un quadretto familiare felice e affiatato.
A questo punto si ripresenta la nostra domanda: è quindi colpa dei giudici costituzionali se l’eterologa vietata dalla legge 40 è tornata praticabile? Anche questa volta la risposta è no. Sicuramente la Corte Costituzionale si è comportata in modo arrogante, scavalcando sia il Parlamento che la volontà popolare[20], ma lo ha potuto fare proprio grazie allo spirito della legge 40. Aprendo all’eterologa, i giudici hanno detto che il diritto al figlio è “incoercibile”, ma il diritto al figlio è già insito nella legge 40 che, come abbiamo visto, reifica il concepito, gli toglie il suo carattere di dono, riducendolo a prodotto fabbricato in laboratorio per la soddisfazione del desiderio di genitorialità di chi non riesce ad avere figli. E allora, se la legge permette alle coppie infertili e sterili di fabbricarsi in laboratorio i bambini che vogliono, cosa cambia se la materia prima utilizzata è la propria o di un donatore? Omologa ed eterologa non sono altro che due facce della stessa medaglia: se si voleva evitare la seconda non si doveva rendere lecita la prima.
ORRORI DA NEO FAR WEST
Facciamo ora una carrellata degli orrori che la legalizzazione della fecondazione artificiale ha prodotto in Italia e nel mondo. Si tratta di situazioni abnormi caratterizzate dalla presenza, allo stesso tempo, di aspetti problematici e aberranti, a dimostrazione del fatto che quando si aprono le porte all’abominio poi all’abominio non v’è mai fine.
BAMBINI DA GENITORI DEFUNTI
Avevamo visto nel far west delle origini, lo scandalo che aveva suscitato il caso di Rosanna Della Corte – raccontato da Chiara Valentini nel capitolo “Benvenuti al circo Barnum” del suo libro -, che all’età di 63 anni aveva partorito un figlio con lo sperma del marito morto dieci anni prima. Qui ci trovavamo di fronte a una fecondazione artificiale post-mortem di una mamma-nonna. Poi è arrivata la legge 40 che ha fissato un limite massimo d’età per ricorrere ai trattamenti, nell’ambito dei quali gli aspiranti genitori devono essere entrambi viventi. Tutto bene, quindi, con la legge 40 casi del genere non si verificheranno più, giusto? No, sbagliato.
Italia, febbraio 2015, bimbi da padre defunto
Il 10 febbraio 2015 il Tribunale di Bologna ha ordinato, al policlinico Sant’Orsola, di trasferire in utero a una 50enne del Ferrarese gli embrioni che assieme al marito (deceduto nel 2011) aveva prodotto e crioconservato nel lontano 1996. Infatti, durante il trattamento di fecondazione artificiale eseguito quasi vent’anni fa (non andato a buon fine) entrambi i coniugi erano viventi, e gli otto embrioni che nell’occasione furono crioconservati non risultano in stato di abbandono poiché, fino al 2010, la coppia ha sempre manifestato la volontà di mantenerli.
I giudici hanno stabilito che “in caso di embrioni crioconservati, ma non abbandonati, la donna ha sempre il diritto di ottenere il trasferimento dei predetti” e questa facoltà dipende “dalla volontà esclusiva della donna”. In altre parole, se questi embrioni hanno diritto a essere impiantati, ciò non dipende dal loro status di persona, ma dall’esclusiva autodeterminazione della madre. Nonostante la sentenza realizzi, seppur implicitamente, il diritto degli embrioni a nascere, non si possono non notare le problematicità insolubili che discendono dalle fessurazioni giuridiche della legge 40 e dalle tecniche di fecondazione extracorporea, mediante le quali un progetto genitoriale potrà essere realizzato vent’anni dopo essere stato pensato, con i bambini che si ritrovano orfani di padre prima ancora che la gravidanza abbia inizio e, se tutto andrà a buon fine, cresciuti da una mamma-nonna vedova che avrà più di sessant’anni quando sono ancora nell’età della pubertà. Monsignor Renzo Pegoraro, Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita, ha commentato: “È un paradosso, un’aporia. Per l’ennesima volta l’applicazione della tecnologia causa situazioni difficili da risolvere e le norme non sono chiare”[21].
Israele, 2011, bimbo da madre defunta
Nel 2011 il quotidiano israeliano Yediot Ahronot ha reso nota la vicenda di un bimbo nato due anni dopo la morte della madre. I coniugi Keren e Nisim Ayash hanno tentato per anni di avere figli con la fecondazione artificiale, invano, fino al 2009 quando all’età di 35 anni la donna è deceduta a causa di un tumore al cervello. Prima di morire Keren si è fatta promettere dal marito che avrebbe cercato una madre surrogata per gli embrioni rimanenti e crioconservati nel Centro di Tel Aviv dove avevano fatto i trattamenti, per poter avere quel figlio tanto desiderato. Il vedovo 42enne ha incontrato molte difficoltà a esaudire le ultime volontà della moglie, visto che la legge israeliana permette la surrogazione di maternità solo alle coppie. Ha così ingaggiato una dura battaglia legale, facendosi aiutare dall’associazione New Family, che si batte per il “diritto universale alla famiglia”. Alla fine è riuscito a entrare in possesso degli embrioni che sono stati impiantati nell’utero di una surrogata americana, costata 100mila dollari, che nel giugno 2011 ha dato alla luce un maschietto. Nisim è tornato in patria con il bebè dalla sua nuova compagna, una donna conosciuta dopo la morte della moglie, già madre di due figlie, con la quale ha iniziato una nuova vita.
Il bambino si ritrova perciò con un padre e ben tre madri: la madre genetica, morta due anni prima che nascesse; la madre surrogata che l’ha portato in grembo, partorito e subito lasciato; la madre sociale, cioè la nuova compagna del padre che lo crescerà.
Tutto è bene quel che finisce bene, quindi, visto che il marito è riuscito a realizzare il desiderio della moglie? Nient’affatto. Osserva al riguardo la filosofa Paola Ricci Sindoni:
“Quel desiderio del tutto legittimo di maternità della giovane israeliana non ha affatto trovato il suo compimento, dato che purtroppo è morta e non potrà mai portare a termine alcun progetto di vita […] In questo caso può dirsi che non basta far nascere tecnicamente un bambino. Bisogna restituirlo a una madre e a un padre presenti, che possano essere riconosciuti e che lo riconoscano come figlio”.
Sindoni aggiunge: “Il limite costitutivo, legato alla nostra finitezza, è invalicabile, nonostante le buone intenzioni di chi resta, nonostante le promesse di immortalità da parte delle tecnologie scientifiche, nonostante il superamento dei limiti che queste garantiscono. Non si può che rimanere sbigottiti, ogni volta che la ragione scientifica, assurta a valore etico per la sua capacità di realizzare ogni desiderio, spazza via la natura, le sue leggi, le sue finalità, fa piazza pulita di ogni riferimento valoriale, diventando essa stessa fonte del valore antropologico”[22].
Russia, 2011, nipoti dal figlio defunto
Nel 2011, in Russia, la 57enne Lamara Kelesheva, ha realizzato il sogno comune a molte madri di figli adulti: diventare nonna, peccato però che la signora lo sia diventata ben sei anni dopo la morte del figlio. La Kelesheva scopre nel 2005 che il suo adorato primogenito Misha è malato di leucemia così, prima di iniziare la chemioterapia, lo convince a depositare il proprio sperma. Nel 2008 il figlio muore e la madre si mette subito al lavoro per fabbricarsi i nipoti, cercando una donatrice di ovuli e una locatrice di utero. Ben cinque trattamenti falliscono, ma l’aspirante nonna non demorde e all’ultimo tentativo ingaggia ben due madri surrogate. Questa volta rimangono incinte entrambe di due gemelli: i quattro nipoti, Ioannis, Feokharis, Misha e Maria, nascono rispettivamente il 6 e l’8 gennaio 2011.
Le polemiche suscitate dal caso portano alla separazione tra la Kelesheva e il marito e lei, rimasta sola, ingaggia una battaglia legale per ottenere, oltre alla “nonnitudine”, anche il riconoscimento della propria maternità dei bambini e la paternità del figlio deceduto. L’attivista prolife Andrey Khwesyuk ha commentato a Russia Today: “Tutte queste pratiche biomeccaniche alla fine portano a questa situazione molto ambigua in cui non è più realmente possibile distinguere tra un figlio e un nipote”[23].
GEMELLI DI ETÀ DIVERSA
La fecondazione artificiale ha dato il via anche a un altro fenomeno impossibile da verificarsi in natura: la possibilità che nascano gemelli ad anni di distanza l’uno dall’altro.
Inghilterra, 2011, gemellina nasce cinque anni dopo il fratellino
Nel 2005 i coniugi Jody e Simon Blake di Cheltenham, nel Gloucestershire, si sottopongono a fecondazione artificiale per riuscire ad avere il figlio che, dopo tanti tentativi, non era ancora arrivato. Nell’occasione vengono prodotti cinque embrioni, due dei quali sono subito impiantati e i restanti congelati. Il 9 dicembre 2006 nasce un maschietto: Reuben. Dopo qualche anno, notando che tutti i loro amici avevano ingrandito la famiglia con un secondo bambino, i coniugi Blake decidono che è arrivato anche per loro il momento di avere un altro figlio: “Eravamo consapevoli che le probabilità di successo fossero poche – racconta Simon -. È difficile pensare che la vita possa provenire da materiale (sic!) che è stato congelato così a lungo”[24]. Insomma, per allargare la famiglia non restava altro da fare che procedere allo scongelamento del “materiale”. Dei tre embrioni crioconservati, due muoiono durante la fase di sbrinamento, mentre uno ce la fa e viene impianto. A novembre 2011 nasce la piccola Floren la quale può finalmente incontrare il gemello eterozigote nato cinque anni prima, anch’egli peraltro sopravvissuto a un fratellino: quello impiantato insieme a lui e mai venuto alla luce.
Inghilterra, 2010, gemellina nasce undici anni dopo le sorelline
Ancora maggiore è il divario d’età fra tre gemelline eterozigote inglesi. Siamo a Willenhall dove nel 1999, grazie al ricorso alla fecondazione in vitro, Adrian Shepherd e la moglie Lisa diventano genitori di due gemelline, Bethany e Megan. Nell’occasione avanzano 12 embrioni che vengono crioconservati, così, dieci anni dopo, quando gli Shepherd decidono di incrementare la famiglia non devono far altro che aprire il freezer e scongelarne uno: si tratta della piccola Ryleigh, che viene alla luce nel 2010. Pur non provenendo dallo stesso ovulo e spermatozoo, le tre gemelline si assomigliano come gocce d’acqua, intanto gli altri undici aspettano e sperano che alla prossima estrazione della lotteria della provetta, ammesso che ci sarà, possano essere più fortunati.
BAMBINI CON PIÙ DI DUE GENITORI NELLA LORO VITA
La fecondazione eterologa è una pratica che moltiplica le figure genitoriali. I figli di coppie che sono ricorse a gameti di donatori, possono avere fino a quattro genitori: quelli biologici che hanno fornito ovocita e sperma, e quelli sociali con cui cresceranno. Nel caso in cui all’eterologa si associasse anche il ricorso a un utero in affitto, il numero delle madri balzerebbe a tre. In tutti questi casi, tuttavia, il bambino crescerà con una figura maschile e una femminile, visto che gli altri soggetti sono solo meri “donatori” di “materie prime” e “servizi”: i fornitori di gameti rimangono anonimi e la locatrice di utero non entra per contratto nella vita del bambino. Benché questo fatto non muti il giudizio negativo sulla fecondazione artificiale (eterologa e omologa) per i motivi che abbiamo già detto, bisogna tuttavia rilevare che le situazioni familiari più strampalate si verificano per i figli fabbricati dalle coppie omosessuali. Per capire a quali rivendicazioni genitoriali e grovigli “familiari” questi bambini siano sottoposti, riportiamo alcuni casi realmente accaduti.
Inghilterra, 2012, triade genitoriale gay per un bambino
Per avere un bambino, una coppia lesbica inglese si è fatta donare lo sperma da un loro amico gay con cui è stata fecondata una delle due, la quale poi ha partorito un maschietto. Prima di mettere in essere la cosa, i tre avevano stipulato un contratto in cui l’amico si impegnava a non vantare alcun diritto sul figlio o, al massimo, a vederlo per non più di 5 ore ogni 2 settimane, ma in seguito il padre ha cambiato idea e si è rivolto al Tribunale per farsi riconoscere i suoi diritti di paternità. Dopo vari corsi e ricorsi il caso è approdato alla Corte d’Appello di Londra dove, a marzo 2012, il giudice ha emesso una sentenza a lui favorevole, stabilendo che ognuno dei tre ha un ruolo da assolvere nella crescita ed educazione del bambino, per cui tutti i soggetti coinvolti hanno gli stessi diritti e doveri nei suoi confronti.
Olanda, due “fratellini” con due padri gay e due madri lesbiche
Simon e Joaquin, due bambini olandesi di sei e quattro anni, stanno crescendo convinti di essere fratelli e di avere due mamme e due papà: “Credo che i miei amici siano un po’ gelosi – racconta il più grande alle telecamere di AFP Tv -, perché io ho due mamme e due papà mentre loro soltanto due genitori”[25]. Le due mamme sono Karin e Evelien, lesbiche e compagne nella vita, mentre i due papà sono Guillermo e Joram, gay e anche loro compagni. I bambini in realtà non sono fratelli poiché sono stati concepiti con inseminazione artificiale “fai da te” utilizzando il seme di entrambi gli uomini, e sono stati partoriti uno da Karin e l’altro da Evelien. I quattro – che condividono con i figli i fine settimana – hanno, tuttavia, scelto di non rivelare loro chi sia il vero padre biologico: “Ciò che conta è che siamo tutti e quattro genitori e che li amiamo”. Che siano tutti e quattro genitori sarà anche vero, visto che ognuno ha dato il suo contributo genetico, ma che i bambini abbiano due madri e due padri è un falso incontestabile: solo una è la mamma e, tra i due, solo uno è il papà, per Simon così come per Joaquin.
Canada, 2014, bimba con tre genitori nella vita e nel certificato di nascita
Nella provincia di Columbia, in Canada, è la legge che consente di registrare tre o più genitori nel certificato di nascita, grazie al “Family Law Act”, entrato in vigore a marzo 2013 con l’obiettivo specifico di mettere ordine nella gran confusione di ruoli che si è venuta a creare a causa dell’aumento del ricorso alla fecondazione artificiale. Il “Family Law Act” consente ai donatori di gameti di essere ufficialmente riconosciuti come genitori supplementari, purché prima del concepimento le parti abbiano firmato un accordo scritto.
Della Wiley Richards Kangro è la prima bambina canadese con tre cognomi e altrettanti genitori legali: Wiley Danielle e Richards Anne sono le mamme lesbiche e Kangro Shawn è il padre biologico, nonché carissimo amico di Anne, che ha donato il seme. Prima dell’assemblaggio del bambino, i tre hanno firmato un contratto scritto in cui hanno previsto che la custodia del nascituro e gli oneri economici sarebbero spettati alle due donne, mentre l’uomo avrebbe avuto il ruolo di tutore.
La dichiarazione rilasciata dall’avvocato, che ha assistito legalmente il trio genitoriale, fa raggelare il sangue: “Il vero grande cambiamento introdotto dal ‘Family Law Act’ in termini di genitorialità, è la modalità con la quale si decide chi è il genitore. In passato, abbiamo guardato alla biologia e alle connessioni genetiche. E questo, oggi, non è più vero. Ora noi guardiamo alle volontà delle parti che contribuiscono alla creazione del bambino, e intendono crescere il bambino. E questo è davvero un grande e reale cambiamento”[26].
Quando la legge positiva non riconosce più il diritto naturale, ma si conforma ai deliri di onnipotenza del più forte, non si stravolgono solo le leggi biologiche e genetiche ma si creano anche orrendi mostri giuridici come il “Family Law Act” canadese.
Inghilterra, 2015, via libera a bambini con tre genitori genetici
Dal mese di febbraio 2015, grazie all’approvazione da parte del Parlamento inglese dell’“Human Fertilisation and Embryology Act”, i bambini potranno avere ben tre genitori diversi, non nel certificato di nascita, ma direttamente nel Dna.
La tecnica, che prende il nome di “terapia sostitutiva mitocondriale”, consiste nel sostituire i mitocondri difettosi di un ovocita con quelli sani di una donatrice. Gli embrioni così formati contengono perciò tre diversi Dna: quello della madre, della donatrice e del padre.
Secondo i suoi inventori, questo assemblaggio genetico dovrebbe permettere di evitare la formazione di malattie ereditarie, in realtà esperimenti simili condotti negli Usa hanno portato alla nascita di bambini con malformazioni. La Food and Drug Administration (Fda) ha fatto sapere che i 23 bambini nati negli Usa con queste tecniche presentavano tutti delle malformazioni, per questo motivo già dal 2001 ne ha proibito l’uso su tutto il territorio americano.
Ma gli apprendisti stregoni inglesi non ci sentono e vanno avanti per la loro strada, del resto è solo questione di tempo: come il mondo si è abituato alla poligenitorialità sociale presto si abituerà anche alla poligenitorialità biologica.
DIRITTO IN TILT E CAOS LEGALI
La moltiplicazione delle figure genitoriali, le surrogate fai-da-te e quelle effettuate all’estero in violazione delle leggi nazionali, mettono in difficoltà anche il diritto, chiamato a districare le situazioni imbrogliate e assurde causate da chi ha voluto un figlio a ogni costo senza pensare alle conseguenze legali e, soprattutto, al bene del bambino.
Svizzera, 2015, bimbo di papà A e papà B; di papà A, papà C e madre B; o solo di papà A?
Una vicenda davvero ingarbugliata è quella che ha per protagonista una coppia registrata di due uomini gay del cantone San Gallo in Svizzera, che chiameremo papà A e papà B. Nel 2011 i due ottengono un bambino in California grazie al seme di papà A, a una donatrice di ovulo anonima (mamma A) e a una madre surrogata sposata (mamma B). I problemi iniziano quando, recatisi a trascrivere il certificato di nascita californiano che li indica come genitori del bebè, l’Ufficio di stato civile cantonale risponde con un rifiuto. Si rivolgono così al Dipartimento cantonale dell’Interno, che ordina all’anagrafe di registrare il bambino come, appunto, figlio di papà A e papà B. A questo punto scende in campo l’Ufficio federale di giustizia (UFG), massimo organo di vigilanza su varie materie tra cui lo stato civile, che impugna la decisione presso il Tribunale amministrativo. La magistratura conferma la sentenza ma l’UFG non demorde e la impugna presso il Tribunale federale, specificando che nel registro debba essere iscritto solo il padre biologico (papà A) e con lui – considerato il diritto costituzionale del bambino a conoscere le proprie origini – anche la donna che l’ha partorito (mamma B) e suo marito (papà C) perché, in quanto coniuge della donna, è padre legale del bimbo al momento della nascita.
A maggio 2015, il Tribunale federale ha confermato il parere dell’UFG, stabilendo che la paternità del padre non biologico è contraria all’ordine pubblico. Mentre mamma B e papà C non saranno iscritti in quanto l’atto di nascita californiano fa riferimento a una decisione giudiziaria secondo cui la madre surrogata e suo marito non vogliono né esercitare l’autorità parentale, né assumere responsabilità.
Inghilterra, 2014, figlio di una donna che non gli fa da madre
In Inghilterra, a seguito di una maternità surrogata fai-da-te, c’è un bambino che, tre anni dopo la nascita, risulta ancora figlio di una donna che non gli fa da madre. Tutto nasce quando una coppia di coniugi chiede a un’amica di portare a termine una gravidanza per loro conto. Costei accetta, sottoponendosi a fecondazione artificiale in casa, utilizzando un kit fai-da-te e lo sperma del futuro genitore. Quando la donna si reca in ospedale per partorire, i medici le chiedono l’accordo firmato di maternità surrogata che però non esiste perché mai stipulato. La coppia si rivolge così a un legale che viene pagato per la sua consulenza, ma in Gran Bretagna questo è un atto illegale in quanto la legge riconosce solo il rimborso spese alle madri surrogate e il contratto di surrogazione non può generare soldi, nemmeno il compenso di un avvocato.
Nel frattempo le cose si complicano ulteriormente perché, poco dopo la nascita del bimbo, i due si separano e non fanno domanda per ottenere il “parental order”, il documento che deve essere richiesto entro sei mesi dalla nascita e che consente alle coppie che hanno fatto ricorso a madri surrogate di diventare i genitori ufficiali del bambino.
In conclusione, tre anni dopo la nascita, il bambino risulta ancora figlio della madre surrogata. Ora spetterà al giudice cercare di dirimere il caos giuridico che le nuove frontiere della fecondazione artificiale hanno creato.
Germania, 2010, gemellini apolidi bloccati in India
Dopo anni di tentativi infruttuosi, i coniugi Pankert di Tubinga (Germania) decidono di aggirare la severa legge tedesca sulla maternità surrogata, rivolgendosi a una clinica indiana per la fertilità. Grazie al seme del marito, a un ovocita anonimo e a un utero in affitto, la coppia ottiene due gemelli: Jonas e Philipp, ma, più di due anni dopo, i piccoli sono ancora parcheggiati in India a causa di una disputa internazionale sulla loro nazionalità. Sia la Germania che l’India si rifiutano di rilasciare loro il passaporto lasciandoli di fatto nello stato di apolidi. Per l’India, dove la maternità surrogata è legale, i genitori sono i Pankert, quindi i bambini sono tedeschi, mentre per la legge tedesca i figli sono di chi li partorisce, quindi i bimbi sono indiani.
Dopo l’intervento di quattro ministeri, due istituti d’adozione, tre uffici e quattro tribunali, il caso è finito davanti alla Corte Suprema di Nuova Delhi. Intanto i gemelli sono rimasti parcheggiati a Jaipur, in un bilocale che ha tutta l’aria di un rifugio provvisorio, hanno compiuto due anni ma dicono solo poche parole, vittime innocenti dei desideri degli adulti e di un mercato procreativo caotico e disumano.
Belgio, 2011, bimbo bloccato in Ucraina
Peter Meurrens e Laurent Ghilain, coppia gay belga, decide di volare in Ucraina per avere un figlio tramite una locatrice di utero che viene inseminata con lo sperma di Laurent. Dopo aver ricevuto 30mila euro per la sua prestazione e aver rinunciato ai diritti parentali, la madre surrogata consegna il maschietto, Samuel, ai suoi committenti. È a questo punto che la coppia gay incontra i primi ostacoli dovuti al fatto che i documenti preparati dall’agenzia non sono in ordine: i due uomini sono costretti a rientrare in patria senza il piccolo, non prima di aver preso contatti con alcuni intermediari per il disbrigo delle questioni legali e per l’affidamento temporaneo di Samuel a una bambinaia del posto, al costo di mille euro al mese.
Il bambino avrebbe dovuto rimanere con la balia circa trenta giorni, invece due anni dopo era ancora parcheggiato in Ucraina a causa dell’insorgenza di un problema da parte belga: la legge del Belgio non disciplina la maternità surrogata all’estero, lasciando ampio spazio alle interpretazioni, così trascorrono ben due anni prima che Samuel riesca a ottenere il passaporto. Quando finalmente il Belgio rilascia il documento, ci sono nuovi problemi da risolvere in Ucraina: gli intermediari pretendono il pagamento di mille euro per ciascun mese che Samuel ha trascorso in affidamento – una cifra enorme! – e, quando si accorgono che il bonifico non arriva, trasferiscono il bimbo in un orfanotrofio rendendolo disponibile all’adozione per le coppie ucraine.
Il padre biologico è costretto a sottoporsi al test del Dna per dimostrare la sua paternità, scongiurando così l’adozione ad altri del figlio. Nel frattempo la coppia gay si accorda con due amiche per cercare di far uscire Samuel di nascosto dal Paese, ma alla frontiera le autorità si accorgono che c’è qualcosa che non va: le donne vengono arrestate con l’accusa di traffico di minori e il bimbo è rispedito in orfanotrofio. Tre mesi dopo vengono rilasciate sulla parola e rimandate a casa con un’interdizione perpetua dal territorio ucraino, mentre Samuel, bambino con quattro genitori – due padri, una madre affidataria e una madre biologica che, nel frattempo, è di nuovo incinta a seguito di un nuovo contratto di surrogazione -, rimane in stato di orfananza nella struttura per bambini soli e abbandonati.
Alla fine, dopo tante peripezie, i due uomini riescono a portarlo in Belgio dove, dulcis in fundo, Samuel crescerà senza una figura genitoriale fondamentale.
BAMBINI CONTESI
I problemi dovuti alle moltiplicazioni genitoriali frutto dell’eterologa, assumono particolare virulenza e aggressività quando l’idillio finisce e i rapporti si rompono.
Inghilterra, 2015, bambina con due madri lesbiche, un padre gay, due sorellastre e un trans “patrigno”
In Inghilterra, il Dailymail ha raccontato la storia di Alice (nome di fantasia) e della sua ingarbugliata “famiglia”. Alice nasce da una mamma lesbica che viene fecondata, tramite inseminazione artificiale, con lo sperma di un uomo impegnato in una relazione omosessuale. Quando Alice compie tre anni, la madre biologica affetta da schizofrenia viene ricoverata in un ospedale psichiatrico e lei rimane da sola con la compagna della madre. A questo punto la compagna della madre va a vivere insieme a un trans, una donna che nel frattempo ha completato il processo per diventare uomo. Per quattro anni Alice vive in questa nuova “famiglia” con la compagna della madre e il trans finché, al compimento del settimo anno, la situazione cambia di nuovo: il trans esce di scena e Alice va a vivere con la compagna della madre e due sorellastre. Inoltre, durante tutti questi anni, non ha mai perso i contatti con i suoi genitori biologici: la madre malata e il padre gay.
La situazione si complica ulteriormente quando il “patrigno” trans rivendica in tribunale la paternità sociale, chiedendo che gli sia riconosciuto un ruolo nella vita di Alice in quanto, negli anni vissuti insieme lei, l’avrebbe visto come una figura paterna chiamandolo anche papà.
Un freno a questa follia è venuto dal giudice, il quale ha stabilito che la vita della bambina fosse già sufficientemente complicata così e ha rigettato le pretese del trans “patrigno” che avrebbero avuto “un effetto potenzialmente dannoso sul benessere di Alice”.
Inghilterra, 2014, bambine contese da una coppia di lesbiche e una coppia di gay
In Inghilterra, una coppia di lesbiche e una coppia di gay si sono contese per sei anni due bambine di 9 e 13 anni, rovinando “in modo irrimediabile” la loro infanzia. Le bambine sono state concepite con la modalità che non di rado viene impiegata in questi casi: invece di far ricorso a donatori anonimi, le amiche lesbiche hanno chiesto agli amici gay di donare lo sperma che una di loro ha usato per auto-inseminarsi.
I problemi iniziano quando i due uomini rivendicano il diritto di essere presenti nella vita delle figlie e le amiche glielo negano. Inizia così il caso più “teso e brutale” al quale il giudice inglese Justice Cobb – chiamato a decidere sulla potestà delle bambine – abbia mai assistito: sei anni di battaglie legali, più di trenta ordinanze emesse da una sfilza di giudici e mezzo milione di sterline spese in avvocati dai quattro ex amici.
Il giudice dell’Alta corte ha definitivamente stabilito che gli uomini hanno diritto a vedere la bambina più piccola in poche occasioni, rigidamente stabilite, mentre possono solamente scrivere alla più grande. Nella sentenza si legge che la lunga causa ha avuto “un effetto distruttivo sulle parti”: la madre genetica entra ed esce da anni da una clinica psichiatrica, è divenuta del tutto dipendente dalla “partner”, che nei suoi confronti è però diventata “indifferente e spietata”. Ma il giudice non risparmia nemmeno i due uomini, criticati per “aver alzato la temperatura” accusando le donne di “torturare le bambine”, mettendo la loro vita “a rischio”. Gli assistenti sociali che seguiranno l’educazione delle bambine, hanno affermato che le due donne hanno separato le figlie dal mondo, costruendo “un alto muro” per escludere chiunque non la pensasse come loro[27].
BAMBINI ABBANDONATI O ELIMINATI PERCHE’ DIFETTOSI
È ormai acclarato il fatto che la Fivet tratti il nascituro come una cosa. Il prodotto-bambino viene assemblato sulla base dei propri gusti e secondo il proprio portafoglio, la consistenza di quest’ultimo determina anche l’utero che lo ospiterà e metterà al mondo, intermediari agevoleranno le transazioni e un accordo scritto stabilirà tutte le condizioni. Se il prodotto-bambino si rivelerà non corrispondente alle proprie aspettative lo si potrà semplicemente rifiutare e, se fallato, scartare ed eliminare, come si fa con la merce ordinata su catalogo o sul web.
Australia, 2012, gemellino abbandonato in India
Nel 2012 una coppia australiana ha abbandonato uno dei due gemelli (un maschietto e una femminuccia) avuti tramite utero in affitto, lasciandolo in India dove era nato. Il motivo dell’abbandono sarebbe dovuto al sesso: la coppia, avendo già un figlio, ha scelto di prendere con sé solo il gemello di sesso diverso.
Non si sa di preciso chi abbia preso il gemellino abbandonato e con quali modalità. Le autorità consolari hanno riferito di aver assistito a un passaggio di denaro nell’ambito dell’affidamento del gemello a un’altra famiglia. Se ciò sarà accertato ci troveremo di fronte a un “traffico di bambini”, ha affermato Diana Bryant, giudice capo della Corte australiana che si occupa di questioni di diritto familiare. Il quotidiano inglese Guardian ha, invece, evidenziato che non ci sarebbe stata compravendita, ma che la coppia australiana avrebbe lasciato il bambino ad amici indiani.
I diplomatici australiani hanno comunque manifestato il loro disappunto e preoccupazione per un bambino che rischia di trovarsi apolide e senza un padre e una madre registrati all’anagrafe[28].
Stati Uniti, 2012, bimba rifiutata perché “difettosa”
Kristal Kelley del Connecticut, giovane madre single di due bambini, firma un contratto di maternità surrogata con una coppia di coniugi perché bisognosa di denaro, stabilendo un compenso di 22mila dollari, finché un’ecografia eseguita al quinto mese di gravidanza rivela che la bimba è affetta da vari problemi di salute (una palatoschisi, una cisti cerebrale e difetti cardiaci) che le daranno solo il 25% di possibilità di avere una vita normale. La coppia committente le chiede di abortire: “Si tratta di una scelta più umana”, le dicono, ma lei si rifiuta. I coniugi le offrono 10mila dollari per l’incomodo di sottoporsi all’aborto, in un primo momento Kristal risponde chiedendo una somma maggiore, poi decide di scappare in Michigan, dove i contratti di maternità surrogata non sono validi e madre è sempre colei che partorisce. La bambina nasce a giugno 2012 e Kristal figura come sua madre, ma subito dopo è costretta a darla in adozione a causa dei medesimi problemi economici che l’avevano spinta ad affittare l’utero[29].
Canada, 2010, bimbo eliminato perché “difettoso”
Un caso simile a quello del Connecticut si era verificato due anni prima a Vancouver, Canada, anche se qui al nascituro è toccata una sorte nefasta. Una coppia di coniugi ha stipulato un contratto con una madre surrogata per avere un bambino, ma quando l’amniocentesi ha mostrato che era affetto da sindrome di Down, i due hanno intimato alla locatrice di abortire. Al rifiuto di costei è seguito un contenzioso sul valore della scrittura privata che le parti avevano firmato, in cui si garantiva ai committenti la possibilità di rifiutare il bambino se malato. La coppia ha altresì ribadito alla donna che se si fosse ostinata a proseguire la gravidanza, mettendo al mondo il bambino, loro non avrebbero assunto alcuna responsabilità nei suoi confronti. Alla fine la madre surrogata ha ceduto e la “merce difettosa” è stata eliminata come da contratto.
BAMBINI DA GENITORI-NONNI
Avevamo parlato, nel far west delle origini, di alcuni casi di gravidanze di donne in menopausa e anziane che avevano fatto gridare allo scandalo, rese possibili grazie al ricorso all’ovodonazione: Antinori aveva fatto partorire due gemelli a una 59enne inglese e una bimba a una 56enne napoletana, Flamigni aveva aiutato Liliana Cantadori, che partorì a 61 anni suonati.
Poi era entrata in vigore la legge 40 che aveva vietato la fecondazione eterologa e previsto l’accesso alla Pma per le coppie “in età potenzialmente fertile”, ma questo non ha impedito che si continuassero a verificare casi italiani di genitorialità attempate, da parte di donne andate a fare l’eterologa all’estero e ritornate gravide in Italia dove poi hanno partorito. Per cui anche nel nostro Paese, nonostante i divieti, hanno continuato a nascere bebè da genitori-nonni, solo che nel frattempo i casi sono diventati un fatto normale: non solo non scandalizzano più, ma vengono addirittura visti come traguardi del progresso scientifico. Questo è potuto avvenire anche grazie alle varie soubrette, cantanti, attrici divenute madri in età matura (Gianna Nannini, Heather Parisi…), celebrate dai media che hanno reso la maternità “stagionata” un fenomeno trendy e perciò da emulare.
Quattro casi italiani di genitori-nonni
Nel 2010 i giornali italiani raccontano la vicenda dei coniugi Gabriella e Luigi Deambrosis di Mirabello Monferrato (Alessandria), rispettivamente di 56 e 68 anni, i quali, dopo dieci anni di tentativi infruttuosi di fecondazione artificiale e due richieste di adozione respinte, decidono di recarsi in Spagna per sottoporsi a fecondazione eterologa con ovulo di donatrice e seme del marito. La signora rimane incinta e il 26 maggio 2010 partorisce una bimba al Sant’Anna di Torino. Subito dopo la nascita, vista l’età dei neogenitori, il tribunale apre un procedimento sottoponendoli a grande attenzione e, dopo alcuni gravi fatti accaduti in seguito, la magistratura affida la piccola a un’altra famiglia “per ripetuti casi di abbandono”. A settembre 2011 arriva la sentenza del Tribunale per i minori di Torino che dichiara la bambina adottabile. I giudici hanno ritenuto che la piccola fosse “il frutto di una applicazione distorta delle enormi possibilità offerte dal progresso in materia genetica” specificando che “i genitori non si sono mai seriamente posti domande in merito al fatto che la bambina si ritroverà orfana in giovane età e prima ancora sarà costretta a curare i genitori anziani, che potrebbero avere patologie più o meno invalidanti, proprio nel momento in cui, giovane adulta, avrà bisogno del sostegno dei suoi genitori”. La Corte d’appello e la Cassazione hanno confermato la sentenza: la bimba è stata assegnata in via definitiva alle cure della famiglia affidataria. Ovviamente non è mancato chi ha parlato di sopruso nei confronti dei coniugi monferrini e chi ha sollevato e cavalcato l’indignazione sul web circa la decisione dei giudici.
Gli altri tre casi italiani risalgono al 2011. Una coppia di Sulmona, 58 anni lei e 64 lui, sposatasi in tarda età, si sottopone a fecondazione eterologa con ovodonazione e seme del marito nella Repubblica Ceca. La signora partorisce un maschietto con taglio cesareo a luglio 2011 nell’ospedale di Sulmona. Il primario del reparto ha dichiarato che “per l’età avanzata della donna la gravidanza e il parto hanno richiesto un’attenzione del tutto particolare”.
L’altro caso riguarda una coppia di Salerno. A settembre 2011 la moglie, 57 anni d’età, partorisce due gemelline all’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, dopo essersi sottoposta a eterologa con ovodonazione in Spagna. Le bimbe nascono sottopeso e una di loro deve essere ricoverata in terapia intensiva. Per tutta la gravidanza la signora è stata seguita dall’équipe della sezione “Gravidanza a rischio” dell’ospedale, vista l’età avanzata e i problemi di salute incontrati, tra i quali ipertensione, diabete e la presenza di un grosso fibroma uterino. Alla 30ma settimana è emersa un’ulteriore complicazione dovuta alla fusione delle due placente che ha determinato una trasfusione di sangue tra le gemelline. I medici hanno deciso di anticipare il parto mediante taglio cesareo a 34 settimane e questo si è subito rivelato complesso e pericoloso, sia a causa della difficoltà a staccare la placenta, molto aderente, sia a seguito del voluminoso mioma. Al termine dell’intervento il direttore dell’ospedale ha dichiarato: “Considerata l’età avanzata della signora si tratta di un evento straordinario che ha pochissimi riscontri. L’eccezionalità della gravidanza ha richiesto, infatti, particolare assistenza”.
L’ultimo caso del 2011, che ha per protagonisti due genitori-nonni, si è verificato all’ospedale Buzzi di Milano – uno dei più attrezzati della Lombardia per le gravidanze difficili – dove a settembre una donna di 58 anni ha partorito due gemellini. Assieme al marito, un pensionato di 65 anni, hanno provato per anni ad avere figli con la fecondazione artificiale, senza risultati, finché è maturata la decisione di ricorrere all’eterologa con ovulo di donatrice in un Paese dell’Est. Anche in questo caso la gravidanza è stata molto difficile, visto il pericolo incombente di parto prematuro che ha costretto la donna a letto per mesi e ad anticipare il parto con taglio cesareo alla 33ma settimana di gestazione.
Casi europei e internazionali di genitori-nonni
Nel 2011, il ginecologo italiano Severino Antinori è balzato all’attenzione dei media olandesi per aver reso possibile la gravidanza di Tineke Gessink di Harlingen (Paesi Bassi), che a 63 anni suonati ha partorito con taglio cesareo una bambina. Per aggirare i paletti imposti dalla legge olandese, che stabilisce il limite massimo di 45 anni per accedere alla Fivet, la Gessink, single, si era rivolta per un trattamento con ovuli e seme donati al ginecologo italiano “conosciuto per il suo vizio di giocare all’apprendista stregone e infischiarsene delle questioni bioetiche”, secondo le parole della giornalista francese Gaëlle Rolin che ha commentato la notizia su Madame Figaro.
Nel 2012, in Svizzera, una 66enne single, pastore luterano nella comunità di Grüsch, ha partorito due gemelli all’ospedale cantonale di Coira, dopo aver fatto ricorso all’eterologa in Ucraina. “È incredibile quello che oggi è possibile fare a livello medico”, ha dichiarato la neomamma-nonna dopo la nascita dei bambini.
Nel 2015, Anngret Raunigk, donna tedesca di 65 anni, già madre di 13 figli e nonna di 7 nipoti, si è sottoposta a fecondazione artificiale per soddisfare il desiderio di un fratellino della sua ultimogenita, rimanendo incinta di quattro gemelli. “Penso che sia qualcosa che ognuno deve decidere per se stesso senza pensare troppo agli altri”, ha risposto la mamma-nonna a chi l’ha criticata per non aver preso in considerazione il benessere e il futuro dei nascituri.
Dall’Inghilterra ci è giunta la vicenda di Susan Tollefsen, insegnante in pensione, che nel 2008, all’età di 57 anni, ha partorito una bambina frutto di un ovulo donato e del seme del compagno, Nick Mayer, di 11 anni più giovane. Racconta la Tollefsen che la nascita di un figlio in tarda età è stata uno shock per la sua relazione, con il compagno che poco dopo se n’è andato abbandonandole entrambe. Pur essendo già in pensione, l’insegnante inglese è stata costretta a ricominciare a lavorare per mantenere lei e la bambina e, in seguito, ha dovuto pure trovare il tempo e le energie per accudire i suoi genitori, ormai molto anziani e bisognosi di tutto. “Col senno di poi – ha ammesso la Tollefsen in un’intervista al Daily Mail – riconosco che alcuni di coloro che mi avevano criticata avevano ragione”.
In Europa si ricordano altri due casi di maternità molto tardive. Una è quella della professoressa in pensione Adriana Iliesco che nel 2005, a 67 anni, diede alla luce due gemelline, una delle quali morì subito dopo il parto. L’altra è la gravidanza della spagnola Maria del Carmen Bousada, single, divenuta anche lei madre di due gemellini a 67 anni di età. Per riuscire a pagare il costoso trattamento avvenuto in una clinica californiana la Bousada vendette addirittura la casa, ma tre anni dopo i bambini erano già orfani a causa della sua morte per un tumore.
Il record mondiale per anzianità di maternità appartiene all’India. Ben due sono le mamme indiane ad aver partorito a settant’anni. Omkari Panwar ha partorito due gemelli nel 2008. Il ricorso all’eterologa con ovodonazione e seme del marito, è stato fatto perché i Panwar avevano avuto solo due figlie femmine e il marito voleva a tutti i costi un erede maschio che, alla fine, è arrivato. L’altra connazionale ad aver partorito sempre nel 2008 a 70 anni d’età, è Rajo Devi, che ha dato alla luce un maschietto. La Devi, dopo tre matrimoni e 50 anni spesi a cercare di avere un figlio che non è arrivato, è rimasta incinta grazie all’ovodonazione e al seme del marito settanduenne. Alla base del ricorso all’eterologa vi è anche in questo caso una questione di eredità: “Se dovessimo morire senza eredi – ha detto il marito – tutti i nostri beni sarebbero usurpati dai miei fratelli o vicini di casa”.
ABERRAZIONI “COLLABORATIVE”
Come abbiamo già detto, si parla di “procreazione collaborativa” quando gameti e/o utero in affitto provengono da congiunti. Può allora succedere, ed è successo, che la nonna del bambino sia al contempo anche la madre, che il padre sia anche il fratello, che la figlia sia anche la sorella… Il risultato è un quadro familiare intricato e confuso, con la presenza di incesti biologici e vincoli di parentela che si assommano e indistinguono, creando problemi anche a livello giuridico.
Messico, 2010, bimbo di madre-nonna e padre-fratello
Il quotidiano messicano Reforma ha reso nota la vicenda di una donna che, a novembre 2010, ha partorito il proprio nipote. La signora 50enne ha ospitato nel proprio utero l’embrione fabbricato in provetta con il seme del figlio 31enne omosessuale e l’ovulo di una sua amica. Il bambino si ritrova perciò con due madri e un padre, e ben quattro figure familiari concentrate in sole due persone: la madre biologica (amica del padre); la madre che l’ha portato in grembo e partorito che è anche la nonna, essendo il bimbo figlio biologico del figlio di costei; e il padre biologico che è anche il fratello, essendo stati entrambi partoriti dalla stessa donna. La madre/nonna ha dichiarato: “In realtà quando mi chiamano mamma mi sento strana, e lo stesso succede quando mi sento dire nonna”. La sensazione della signora non ci stupisce, la situazione è così intricata da far giare la testa, e chissà come si sentirà il bambino quando prenderà coscienza del fatto che nel padre e nella nonna si condensano ben quattro familiari.
Inghilterra, 2014, bimbo di madre-nonna e padre-fratello
Un caso analogo a quello appena descritto è avvenuto nel 2014 a Doncaster, nel nord dell’Inghilterra, dove la 46enne Anne-Marie Casson ha portato avanti la gravidanza per conto del figlio omosessuale, single di 27 anni, frutto di un’ovodonazione anonima e dello sperma di costui.
Il neo padre ha incontrato ostacoli giuridici verso il riconoscimento della propria paternità, poiché nel Regno Unito la maternità e la paternità di un bambino nato tramite utero in affitto possono essere riconosciute legalmente solo a una coppia di genitori. La legge prevede che la madre surrogata consegni il bambino a due genitori committenti, mentre, in questo caso, vi è solo il padre.
Con una sentenza che ha sollevato forti critiche, il problema giuridico è stato risolto da un giudice dell’Alta Corte, con l’accoglimento della richiesta di adozione del bimbo da parte del padre biologico. Il giudice ha dichiarato che l’adozione non costituisce più un’infrazione garantendo in questo modo all’uomo la paternità del figlio-fratello.
Inghilterra, 2014, bimba di “madre-sorella” e “padre-nonno”
La 26enne inglese Leanne Stanford, madre di un bambino e nessun marito, decide di prestare l’utero alla propria madre, Judith, che aveva appena perso un figlio concepito in vitro con il seme del nuovo marito Mark, patrigno di Leanne. L’inseminazione fai-da-te – avvenuta in casa, tramite una siringa contenente lo sperma del patrigno – ha avuto successo dando inizio alla gravidanza ma, quando alla prima ecografia tridimensionale Leanne ha visto la bimba, ha cambiato idea e ha deciso di tenerla per sé. “Ho capito che il legame con questa bambina era più forte di quello con mia madre”, ha dichiarato in un’intervista. La decisione ha provocato una rottura insanabile nel rapporto tra la madre e la figlia: “Questo ha causato una frattura fra me e mia madre che non potrà mai più essere sanata, ma ogni volta che guardo la mia bella bambina e sento il mio amore per lei, so di aver preso la decisione giusta”; ma anche tra la piccola e la nonna. Quest’ultima non vede la nipote/figliastra da mesi e accusa la 26enne di aver rovinato una famiglia “per colpa del suo egoismo”[30].
Inghilterra, 2015, vuole partorire il nipote usando gli ovuli della figlia morta
Il giornale britannico Mail On Sunday ha reso nota la notizia di una 59enne inglese che vorrebbe dare alla luce il nipote, assemblando gli ovuli congelati dalla figlia single, morta di cancro nel 2011, e il seme di un donatore. La donna ha intrapreso una battaglia legale per abbattere gli ostacoli burocratici e legali che le impediscono di realizzare il suo desiderio. Nessuna clinica inglese ha infatti accettato la richiesta della donna a causa dell’età avanzata, la quale ora vorrebbe emigrare, insieme al marito 58enne, negli Stati Uniti dove una clinica di New York effettuerebbe l’intervento per 60mila sterline. Tuttavia, l’Hfea inglese si è opposta all’esportazione degli ovuli in America perché manca una precisa volontà scritta della figlia deceduta. L’aspirante mamma-nonna non si arrende e ha fatto sapere che farà ricorso alla Corte Amministrativa, divisione dell’Alta Corte britannica.
Italia, 2015, gemelli biologici ma figli unici
Il caso italiano di cui si parla non riguarda una “procreazione collaborativa” tra congiunti, ma una collaborazione “incrociata” tra due coppie estranee: una sterile per parte maschile e una per parte femminile. Gli embrioni creati all’ospedale pubblico di Cattolica, con gli ovuli di una e lo sperma dell’altro, saranno spartiti tra le due coppie le quali, in base a quanto stabilito dalla legge sull’anonimato dei donatori, non si conosceranno mai. Se le gravidanze andranno a buon fine, anche i bimbi che nasceranno, geneticamente gemelli ma di fatto figli unici, non si conosceranno mai, né conosceranno mai l’altro genitore biologico che li ha concepiti, in questa forma di “infedeltà” di coppia pianificata e realizzata in laboratorio.
Dal dottore Carlo Bulletti, primario dell’unità di fisiopatologia della riproduzione, apprendiamo che di coppie che hanno scelto la procreazione “incrociata” all’ospedale di Cattolica ve ne sono altre: “I mariti di donne sterili hanno donato il loro seme, donne i cui compagni non potevano avere figli hanno regalato i loro ovociti in sovrannumero. Il risultato? Sei coppie ora hanno la speranza, e alcune di loro già la certezza, di aspettare un bambino. E altre dieci hanno già l’appuntamento per la fecondazione eterologa in gennaio”. Vista la penuria di donatori, l’unico sistema per riuscire a fare l’eterologa in Italia è la condivisione di gameti tra coppie, Bulletti osserva: “Con questo sistema la gente è più invogliata a donare perché è coinvolta: io do un gamete a qualcuno che donerà un ovocita ad un altro che regalerà il seme ad un terzo. Un circolo virtuoso tra sconosciuti”[31].
Insomma, dopo la normalizzazione della famiglia socialmente allargata, grazie all’introduzione del divorzio, la famiglia “biologicamente” allargata, che da esso deriva, non è solo normale ma addirittura “virtuosa”.
BAMBINI FABBRICATI PER SCOPI ABIETTI
Concludiamo questa rassegna degli orrori con i casi più disgustosi che ci parlano di bambini fabbricati, non per soddisfare l’“incoercibile” desiderio di genitorialità, ma per appagare le proprie perversioni sessuali o interessi. Nel 2014 il Commissario australiano per l’infanzia, Megan Mitchell, ha messo in guardia circa il rischio di un possibile traffico di esseri umani nell’ambito del mercato procreativo, parlando esplicitamente di pedofili che potrebbero usare l’utero in affitto per procurarsi dei bambini. Viene, infatti, dall’Australia, la notizia di un uomo, pregiudicato, accusato di abusi su due gemelle che si era fatto partorire anni addietro da una madre surrogata.
Dal Giappone giunge la notizia di un imprenditore 24enne, Mistutoki Shigeta, che si è fatto fabbricare almeno 15 figli da donne ospitate in un appartamento a Bangkok perché – ha riferito il suo avvocato – si potessero un giorno occupare dei suoi affari. Ne avrebbe voluti almeno una ventina, ma è stato fermato dalle autorità che hanno emanato un ordine di arresto nei suoi confronti.
CONCLUSIONE
Le numerose aberrazioni che abbiamo visto, frutto della legalizzazione della fecondazione extracorporea, da cui l’Italia non è per nulla esente nonostante la “buona” legge 40, mostrano ancora una volta tutta la fallacia delle politiche del “male minore”. Si voleva eliminare la “provetta selvaggia”, si sono in realtà aperti scenari inquietanti che definire far west appare eufemistico.
Siamo alla società Frankestein, dove coppie bianche mettono al mondo figli neri e donne in menopausa e anziane partoriscono; dove nascono bambini da genitori defunti e con tre patrimoni genetici; dove i gemelli possono avere un’età diversa o essere figli unici; dove i figli sono impiantati in uteri altrui, gli embrioni si smarriscono come le monetine e, se va via la corrente, non si deteriorano solo le mozzarelle nel frigorifero, ma anche i figli stoccati nei freezer.
Il passaggio della legge secondo il diritto naturale alla legge che realizza i desideri individuali, ha prodotto il caos. La famiglia e perciò la società sta diventando liquida, senza più punti di riferimento certi e per questo sempre più fragile. Nella babele della vita prefabbricata regnano sovrane le leggi di mercato e la cultura del “supermercato” snatura e degrada la dignità di tutti i soggetti coinvolti: i figli sono merce, gli aspiranti genitori consumatori, i genitori biologici fornitori e le madri surrogate incubatrici.
La famiglia naturale e costituzionale (un padre, una madre, dei figli) è stata polverizzata: siamo ben oltre la “famiglia allargata” sdoganata dal divorzio, siamo a “le famiglie”, dove il padre non è più colui che genera i figli, la madre non è più colei che partorisce e i figli hanno i genitori variabili. Si va da uno a cinque genitori – tra biologici, sociali e surrogati – a solo due madri, solo due padri o due madri e due padri contemporaneamente, fino alle combinazioni più assurde dove il padre sociale può essere una donna che ha cambiato sesso, la madre può essere allo stesso tempo anche la nonna oppure la sorella, il padre è anche il fratello oppure il nonno.
Contro i mostri prodotti dalla dittatura dei desideri, contro la follia generata dall’autodeterminazione senza limiti, c’è solo una strada: il ritorno alla legge naturale. Servono scelte politiche e legislative coraggiose, controcorrente, orientate al bene e fondate sulla realtà, scelte che sfidino il pensiero unico dominante, ripudino i compromessi e promuovano la verità tutta intera.
Note:
[1] Francesco Agnoli, “Faremo bimbi più intelligenti… Purtroppo non è vero!”, Libertà e Persona, 29 luglio 2008.
[2] Francesco Agnoli, “Provette e far west”, Il Foglio, 18 novembre 2004.
[3] Francesco Agnoli, “Vogliamo veramente aiutare coloro che non riescono ad avere figli?”, Libertà e Persona, 30 giugno 2008.
[4] Francesco Agnoli, “È esistito in Italia il far west della provetta? Quali sono i rischi della PMA?”, Libertà e Persona, 9 settembre 2006.
[5] Niccolo Zancan, “Lo scambio di provette? È stato come uno stupro”, La Repubblica, 11 settembre 2004.
[6] Michela Nicolussi Moro, “Usata la provetta con gli spermatozoi del marito di un’altra donna sottoposta a inseminazione”, Corriere del Veneto, 12 dicembre 2009.
[7] Vito Salinaro, “I ‘gemelli scambiati’ sono di chi li ha partoriti”, Avvenire, 8 agosto 2014.
[8] Viviana Daloiso, “Così abbiamo deciso di restituire nostro figlio”, Avvenire, 16 aprile 2014.
[9] Caterina Giusberti, “A noi fecero nascere due gemelli di colore. Ora siamo tutti felici”, La Repubblica, 14 aprile 2014.
[10] Fabio Tonacci, “‘I nostri embrioni spariti in ospedale’ Nuova bufera a Roma”, La Repubblica, 25 marzo 2015; Emanuela Vinai, “Giallo sugli embrioni ‘persi’. Ma in provetta ci sono figli”, Avvenire, 26 marzo 2015.
[11] “Clinica inglese smarrisce gli embrioni congelati di una coppia”, Avvenire, 8 dicembre 2011.
[12] “Guasto in ospedale, 94 embrioni distrutti: ‘Era l’unica speranza, ora non avrò figli’”, www.ilmessaggero.it, 31 marzo 2012.
[13] Tommaso Scandroglio, “La provetta distratta miete vittime”, La nuova Bussola Quotidiana, 21 novembre 2011, www.lanuovabq.it.
[14] I dati sono citati dal medico chirurgo reggiano Gabriele Soliani in “Manipolazione degli embrioni”, Giornale di Reggio, 2 giugno 2012.
[15] I dati sono citati in: “Procreazione assistita e legge 40. ‘Cos’è l’uomo, perché te ne curi?’”, www.medicinaepersona.org.
[16] I dati si riferiscono al censimento del 2005 realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità finalizzato ad accertare il numero degli embrioni abbandonati nei centri di Pma.
[17] Con la sentenza n. 151, la Corte Costituzionale ha cancellato il limite massimo di produzione di tre embrioni e l’obbligo del loro unico e contemporaneo impianto aprendo, di fatto, alla crioconservazione degli embrioni in sovrannumero.
[18] Simona Ravizza – Monica Ricci Sargentini, “Fecondazione: si torna a congelare embrioni”, Corriere della Sera, 7 settembre 2007.
[19] Antonio Sanfrancesco, “Matrimoni gay, in India fiorisce il business degli ‘uteri in affitto’”, www.linkiesta.it, 18 luglio 2012.
[20] Il referendum popolare del 12, 13 giugno 2005, promosso dai Radicali italiani e dall’Associazione Luca Coscioni, volto ad abrogare, tra le altre cose, il divieto di fecondazione eterologa, fu clamorosamente bocciato dagli italiani, grazie al non voto di quasi il 75% degli aventi diritto.
[21] Laura Mattioli, “Un figlio con embrioni del marito morto”, Il Messaggero, 11 febbraio 2015.
[22] Paola Ricci Sindoni, “Se il dio della tecnologia fa piazza pulita dei valori”, Avvenire, 15 giugno 2011.
[23] Padre John Flynn, “Diventare padre dopo la morte”, www.zenit.org, 26 giugno 2011.
[24] “Due gemelli sono nati a 5 anni di distanza”, vivalamamma.tgcom24.it, 4 gennaio 2012.
[25] Lorenzo Schoepflin, La storia dei fratellini con due papà e due mamme”, La nuova Bussola Quotidiana, 7 marzo 2013, www.lanuovabq.it.
[26] Lupo Glori, “Dal Canada la tragica storia di Della, bambina con tre genitori”, www.corrispondenzaromana.it, 27 marzo 2014.
[27] Leone Grotti, “Due gay e due lesbiche si contendono per sei anni due bambine. Giudice: ‘Il caso più brutale al quale abbia mai assistito’”, www.tempi.it, 5 novembre 2014.
[28] Lorenzo Schoepflin, “Utero in affitto, gemellino rifiutato da coppia australiana”, Avvenire, 11 ottobre 2014.
[29] Tommaso Scandroglio, “Errore chiama errore e orrore chiama orrore”, www.corrispondenzaromana.it, 8 ottobre 2014.
[30] Valentina Fizzotti, “I guai di avere in grembo quella ‘figlia sorella’”, Avvenire, 5 giugno 2014.
[31] Michele Bocci – Caterina Pasolini, “Cavilli e ritardi così affonda la grande speranza dell’eterologa”, La Repubblica, 23 dicembre 2014.
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