Sono trascorsi ben 13 giorni dalla diffusione della relazione finale del sinodo straordinario sulla famiglia. Il 15 ottobre il cardinale Dolan, già presidente della Conferenza Episcopale Americana, ebbe a dire in conferenza stampa che il rapporto intermedio, tecnicamente Relatio post-disceptationem, era soltanto “una bozza di documento”.
Dopo avere ringraziato i media per l’attenzione prestata a quella prima stesura, si augurava analoga attenzione per il documento finale del sinodo straordinario. Purtroppo non si può dire che l’auspicio del cardinale Dolan si sia realizzato. Come osservato da padre Roger Landry, sacerdote americano con dottorato in bioetica e teologia morale al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, non se ne può dare tutta la colpa alla stampa. È davvero singolare che la Relatio post-disceptationem sia stata divulgata dai canali ufficiali in ben cinque lingue: oltre l’italiano, anche in inglese, francese, spagnolo e portoghese, mentre la relazione finale, il testo che dovrebbe servire da base di discussione in tutte le diocesi del mondo in vista del sinodo ordinario del prossimo anno, è stata disponibile fino a ieri soltanto in italiano, affiancata oggi dalla traduzione in lingua inglese.
Si ha come l’impressione, appena una semplice impressione per carità, che il documento intermedio sia stato preparato con molta più pianificazione di quanto non sia avvenuto per la relazione finale, frutto della strabiliante cifra di 700 emendamenti redatti dai padri sinodali nei circuli minores che forse con sorpresa e disappunto di qualcuno della cabina di regia hanno massacrato il testo provvisorio. Possibile che fino ad ieri la vera relazione del sinodo fosse consultabile soltanto da chi avesse dimestichezza con la lingua di Dante e Petrarca? Possibile che ciò avvenga dopo che le testate di tutto il mondo hanno dato fiato alle trombe dello stravolgimento della dottrina? Possibile che si abbia così poca sensibilità pastorale nel trasmettere ai fedeli di vari idiomi quello che due settimane di parresìa hanno prodotto? Il povero vandeano che volesse leggersi il rapporto finale dei padri sinodali sul sito della conferenza episcopale francese troverebbe qualcosa? Purtroppo la risposta deve essere negativa.
E quel cattolico bavarese che, come l’ultimo giapponese nella foresta di Okinawa, resistesse dopo avere trangugiato le “aperture” ai divorziati risposati e alle coppie omosessuali, dopo essere scampato alla severissime pene previste dai molto misericordiosi pastori teutonici per chi non paga la tassa alla Chiesa tedesca, e fosse desideroso di leggere il resoconto ufficiale del sinodo sul sito della Deutsche Bischofskonferenz? Nisba, pardon, nicht, niente, nada de nada. Si ha come l’impressione che qualcuno sia tentato di depotenziare la resistenza ad un ruolino di marcia che con badilate di linguaggio da fare invidia al migliore conte Mascetti si proponeva di pensionare 2000 anni di insegnamento sulla morale sessuale.
Da medico non posso che rimanere ammirato nel vedere salire in cattedra ad illustrare le loro prodigiose cure proprio quei primari ospedalieri dai cui reparti i malati se la battono da cinquant’anni a gambe levate. Non si può rimanere indifferenti di fronte alla grazia con cui bacchettano come retrogradi superstiziosi i colleghi rei d’impiegare la medicina tradizionale del Vangelo. Ma come kaspero faranno a mantenersi sempre in auge questi esimi cattedratici?
Mi viene in mente una scenetta della riduzione cinematografica del Malato immaginario in cui il rossore accusato dal malato viene descritto dal giovane medico non già come segno di alterazione organica, ma come semplice espressione di normale colore. Beh, lì almeno c’è la scusante dell’inesperienza, che comunque non è garanzia d’impunità; appena usciti e voltato l’angolo dell’abitazione del paziente, il medico esperto e padre del giovane, presente anch’egli alla visita, dimostra infatti al figlio tutto l’amore paterno a suon di pedatoni. Scene analoghe sembrano inadatte a degli esperti in umanità, non rimane quindi che sperare che almeno si rammentino del detto evangelico: medico, cura te stesso. Stante la desertificazione delle loro corsie ho la speranza che saranno i fatti a ricordarglielo.