La confusione regna sovrana in casa cattolica. Adesso anche sull’eutanasia si fanno strani distinguo. Fino a non molto tempo fa, basti pensare ai tristi casi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, le idee erano chiare. Ora invece si respira un’aria diversa, e il cedimento di fronte alle incalzanti campagne laiciste è ormai dietro l’angolo.
In questi giorni sta facendo discutere la scelta di Brittany Maynard, ragazza statunitense di 29 anni, malata terminale di tumore al cervello, che ha deciso di ricorrere al “suicidio assistito” per poter morire “con dignità”. Nel merito, l’agenzia Sir (della Conferenza Episcopale Italiana) ha intervistato Salvino Leone, medico ginecologo e bioeticista, docente di Teologia morale presso la Facoltà Teologica di Sicilia e presidente dell’Istituto di Studi bioetici “Salvatore Privitera” di Palermo. Ebbene, le risposte pubblicate lasciano perplessi. Leone mette subito le mani avanti dichiarando che «bisogna essere molto prudenti prima di formulare giudizi più o meno avventati». Certamente si deve sempre evitare di parlare con superficialità relativamente a situazioni del genere. Il dolore, la sofferenza, la malattia e il travaglio interiore cui un malato di cancro è sottoposto esige che tutti facciano un passo indietro. Però la scelta di ricorrere all’eutanasia va giudicata eccome! Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2277 afferma chiaramente che l’eutanasia «è moralmente inaccettabile», in quanto costituisce «un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana». Aggiunge poi che «l’errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e da escludere» (corsivo mio). Come si vede, in pieno pontificato di S. Giovanni Paolo II, non si aveva paura di esprimere giudizi su determinati atti. Le parole del Catechismo cozzano non poco con quanto sostiene Leoni, secondo cui, «in casi di eutanasia non compiuta per motivi futili, edonistici o di volontà ipotetica di evitare sofferenze nel futuro e così via, ci sono una serie di valenze soggettive e di “attenuanti”, coinvolte in una sincera scelta ponderata di coscienza, che possono sminuire o, come dice la Chiesa, addirittura eliminare del tutto la colpevolezza morale del soggetto». Ma tutto ciò crea soltanto confusione. Nessuno infatti dice e può dire che la povera Brittany è stata condannata all’inferno. Solo Dio è giudice delle anime e vede i cuori. Tuttavia, non ci si può esimere dal ribadire che il cosiddetto suicidio assistito è sempre condannabile e mai ci possono essere attenuanti. Peraltro, quali sarebbero i casi in cui l’eutanasia viene scelta “per motivi futili, edonistici o di volontà ipotetica di evitare sofferenze nel futuro”? E la povera Brittany non ha forse voluto evitare sofferenze ulteriori? Insomma, Leone mischia le carte e semina caos. E lo fa da docente di teologia morale!
Perché non ha ribadito con forza che l’eutanasia è contraria alla legge naturale, scritta nel cuore di ogni uomo, cristiano, islamico o ateo che sia? Perché non ha spiegato che proprio per questo la difesa della vita è un valore non negoziabile, su cui non si può scendere a compromessi? Quale può essere la testimonianza cristiana di un cattolico impegnato che conclude l’intervista invitando a rispettare la scelta della giovane americana «senza giudizi affrettati e senza condanne, perché se qualcuno di noi si dovesse trovare malauguratamente nella stessa situazione, non so poi di fatto, anche in un orizzonte di fede cristiana, quale decisione prenderebbe»? Si tratta forse di una non tanto velata critica al Catechismo approvato da S. Giovanni Paolo II?