“Nulla ti turbi, nulla ti spaventi”

Il 15 ottobre la Chiesa ricorda Santa Teresa d’Avila, riformatrice dell’Ordine carmelitano e prima donna, assieme a Santa Caterina da Siena, a essere stata proclamata Dottore della Chiesa.
Teresa de Cepeda y Ahumada nasce in Spagna il 28 marzo 1515. A sei anni è già capace di leggere da sola e si diletta con il Flos sanctorum, un libro narrante la vita di Cristo e di alcuni santi. Da questa lettura sorge in lei la convinzione circa l’esistenza della vita eterna e il desiderio di andare in Paradiso, anche se – specificherà in seguito – questo avvenne “[…] non perché avessi per Dio un vero amore, ma piuttosto per andare a godere assai alla svelta e a buon mercato di quei beni che leggevo esserci in cielo”.

Tuttavia, durante l’adolescenza Teresa si lascia affascinare, anche sotto l’influenza dei romanzi cavallereschi che leggeva di nascosto, dalle bellezze effimere del mondo e cade nella rete delle tentazioni e della vanagloria. “Si va così costruendo quel dramma […] che meriterebbe una più profonda analisi psicologica e teologica assieme. Qui possiamo solo accennarvi. Da un lato resta inestirpabile in lei la persuasione dei valori eterni, definitivi ai quali occorre consacrare interamente la vita (e questo – soprattutto nella mentalità di quel tempo – voleva dire: vocazione monastica), dall’altro si sviluppa in lei il fascino di tutto ciò che nel mondo è bello, desiderabile, cavalleresco, raffinato, amabile. […] Ma è una hidalga spagnola, i cui fratelli si preparano a partire per conquistare il nuovo mondo. Così Teresa a vent’anni decide di rischiare tutto: sfida il padre che non vuole neppure sentir parlare di vocazione monastica e, all’alba del 2 novembre 1535, fugge di casa, e si presenta al monastero carmelitano dell’Incarnazione” (Padre Antonio Sicari, Nuovi Ritratti di Santi, Jaka Book).
Nonostante la scelta di donare la propria vita al Signore, alla soglia dei quarant’anni la monaca carmelitana si descrive quale un’anima malata, stanca, infelice, dissipata… I primi anni in convento erano stati spiritualmente molto intensi, tanto da causarle una malattia che l’aveva portata sull’orlo della morte. Nonostante questo, Teresa era cresciuta nella preghiera ed era, agli occhi di molti, un modello e una guida nel cammino verso la santità. Eppure era turbata, perché si rendeva conto di essere ancora troppo attaccata al mondo e agli affetti. Finché un giorno, “[…] si trovò a passare davanti a un’immagine di Cristo piagato che occasionalmente era stato portato in convento per una certa celebrazione che vi si doveva tenere. Ecco il racconto: «appena lo guardai… fu così grande il dolore che provai, la pena dell’ingratitudine con la quale rispondevo al suo amore, che mi parve che il cuore mi si spezzasse. Mi gettai ai suoi piedi tutta in lacrime e lo supplicai di darmi la grazia di non offenderlo più» (9, 1). […] Fu come una nuova nascita […]: quella antica tensione che lei provava tra il mondo di Dio e il mondo degli uomini, tra l’eternità e il tempo, tra l’amore dovuto al Signore e quello dovuto al prossimo, si scioglieva improvvisamente davanti alla percezione immediata, viva (come se un velo cadesse dagli occhi) del fatto che Cristo è assieme il nostro Dio e il nostro prossimo, l’eterno che è entrato nel tempo, l’amico con cui si può vivere, parlare, stare come e più di quanto si fa con ogni altro amico. Non solo, ma Cristo è il centro in cui tutto può e deve essere nuovamente raccolto” (Ibidem).

La forte conversione di Santa Teresa di Gesù ha donato all’intero popolo cristiano opere di grande spessore spirituale, specchio della “forte dolcezza e dolce severità” proprie della monaca carmelitana, tra le quali: Il libro della Vita, Il cammino di Perfezione e Il Castello interiore.
In merito ai contenuti spirituali, due sono qui gli spunti che intendiamo rilevare: da un lato, l’importanza della preghiera, che dev’essere costante e senza interruzioni, andando a coincidere con l’esistenza stessa: solo attraverso di essa è infatti possibile entrare nel proprio castello interiore e unirsi con Cristo; dall’altra, avere ben chiaro il fine dell’orazione: “[…] produrre opere e opere (…). Sapete voi – scriveva alle sue sorelle – che cosa significhi essere veramente spirituali? Vuol dire essere gli schiavi di Dio, tali che – segnati col ferro della Croce – Egli vi possa vendere come schiavi di tutto il mondo, come è stato per Lui”. E questo in linea con quanto Gesù stesso ha esplicitamente chiesto a Santa Teresa, riportato delle Relazioni: “Pensa, figlia mia, che dopo terminata questa vita, non potresti più servirmi come ora: mangia per me, dormi per me e tutto quello che fai sia per me, come se non lo vivessi tu, ma Io: questo è ciò che diceva san Paolo”.

Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta! Il tuo desiderio sia vedere Dio, il tuo timore, perderlo, il tuo dolore, non possederlo, la tua gioia sia ciò che può portarti verso di lui e vivrai in una grande pace” (Santa Teresa d’Avila).

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