Dopo l’arresto del vescovo polacco Wesolowski, avvenuto direttamente da parte delle autorità vaticane, e per delitti ignobili, c’è un’altra vicenda più controversa che va alle cronache.
Si tratta della dimissione d’autorità del vescovo di Ciudad de l’Este in Paraguay. Il nocciolo della questione ruoterebbe intorno alla figura del sacerdote argentino Carlos Urrutigoity, accusato di aver combinato diversi guai, perfino di efebofilia. Ebbene questo sacerdote è stato accolto (protetto?) nella diocesi di Ciudad de l’Este dopo essersi sempre difeso dalla accuse considerandole diffamazioni. Può darsi che, in questo caso, Mons. Rogelio Ricardo Livieres Plano, il vescovo defenestrato, abbia compiuto una grande ingenuità, forse un pesante errore. Ma dobbiamo andare oltre.
La nota vaticana che con “gravosa decisione” rimuove il vescovo paraguayano, infatti, non dice esplicitamente i motivi di questa scelta. Si parla di una decisione presa per il “bene maggiore dell’unità della Chiesa e della comunione episcopale in Paraguay”. Lo scorso agosto il vescovo si era difeso da una serie di accuse pesanti (raccolte di firme contro la sua linea pastorale, polemiche sul seminario e presunte appropriazioni indebite) rispondendo colpo su colpo, ma la sostanza delle denunce veniva ricondotta a una poco precisata “rottura della comunione ecclesiale”. E, in effetti, questo vescovo non è mai stato simpatico ai suoi confratelli nell’episcopato (anche per questioni politiche legate all’ex vescovo Lugo, poi diventato presidente del Paraguay).
Il vaticanista de La Stampa Marco Tosatti scrive che “Papa Francesco e i suoi aiutanti hanno scelto il momento in cui tutti applaudono la decisione di “arrestare” un ex nunzio accusato di pedofilia per cogliere in fallo un altro vescovo e punirlo.” E così un vescovo viene rimosso con l’ombra dell’accusa di connivenza con presunti pedofili, mentre – scrive Tosatti – al prossimo Sinodo sulla famiglia si invita il cardinale belga Danneels su cui gravano (e da tempo) i medesimi sospetti. Solo che mentre Mons. Rogelio è catalogato tra i prelati “conservatori”, il cardinale belga è conosciuto per essere “progressista”.
Acerrimo nemico della teologia della liberazione, Mons. Rogelio è aperto alle celebrazioni della messa in latino e può vantare un seminario pieno, cosa oggi assai rara. Più volte ha criticato la chiesa paraguayana lamentando “disordini dottrinali”, in particolare uno sbilanciamento verso la promozione di una salvezza prevalentemente terrena, a scapito della “salvezza spirituale”. Addirittura aveva consegnato una lettera personale a Bendetto XVI per rilevare questi problemi. Insomma, per l’interpretazione mediatica, un “conservatore” DOC.
Oggi, dopo la “gravosa decisione” della sua rimozione, il monsignore va al contrattacco con una dura lettera indirizzata al Card. Ouellet, prefetto della Congregazione vaticana dei Vescovi.
“Come figlio obbediente della Chiesa – scrive – accetto la decisione anche se la considero infondata e arbitraria e per la quale il Papa dovrà rendere conto a Dio e non a me”. Una ignobile e ridicola difesa, oppure un incredibile alzata di scudi di un innocente?
E poi attacca ancora, richiamando alcune parole chiave del pontificato di Francesco. “Nonostante il gran parlare di dialogo, compassione, apertura, decentramento e rispetto per l’autorità della Chiese locali, non ho avuto alcuna possibilità di parlare con Papa Francesco, anche per chiarire eventuali domande o dubbi”.
Così Mons. Rogelio dice di non aver avuto la possibilità di ricevere alcuna “correzione paterna, o fraterna”, ma solo “pressioni per dimettermi”. E poi ribadisce: “la vera crisi della chiesa in Paraguay è la crisi della fede e della vita morale che la scarsa formazione del clero ha perpetrato, insieme con la negligenza dei pastori”.
Forse sono parole di un opportunista in malafede, oppure quelle di un uomo di fede perseguitato dalla “giustizia” ecclesiastica, tuttavia conservano una loro validità che va oltre i confini della chiesa paraguayana e prescinde dal caso in questione. Per qualcuno però queste ricette puzzano di “tradizionalismo”, e per la chiesa in uscita di Papa Francesco sono solo una “bolla di sapone”.
Al di là delle possibili colpe di questo prelato paraguayano, la vicenda è controversa e, per certi versi, paradigmatica. Sono in tanti a pensare che i “conservatori”, o peggio i “tradizionalisti”, non godano di grandi simpatie dalle parti di S. Marta. Probabilmente facili semplificazioni. L’ormai imminente sinodo sulla famiglia, forse, ci dirà qualcosa in più sulla fondatezza di queste chiacchiere che nessuno vuol sentire, ma che purtroppo si diffondono dagli Appennini alle Ande. (La Voce di Romagna, 27/09/2014)