di M. G.
Le diverse posizioni nel mondo cattolico sulla necessità di intervenire nella società in difesa dei valori non negoziabili.
Il caso della legge sull’aborto e gli effetti della scelta del silenzio.
La posizione autentica della Chiesa.
Si assiste in molte sedi, anche massmediatiche, ad un dibattito che da qualche tempo sta coinvolgendo il mondo cattolico e sta provocando non pochi equivoci e sofferenze tra coloro che ne fanno parte, specialmente tra quelli che non hanno la possibilità di farsi sentire pubblicamente. Mi riferisco all’annosa questione riguardante il rapporto tra l’opera dell’evangelizzazione – cioè della fede – e la difesa dei valori morali. Già da più di trent’anni questa questione porta molti cattolici a dividersi su alcune diverse posizioni che, come grandi e invisibili magneti, polarizzano e logorano in modo pesante gli animi. Ultimamente poi, in modo particolare dalla elezione di Papa Francesco, la faccenda è diventata più scottante e più controversa che mai. Vorrei dunque cercare di identificare le diverse posizioni e, per quanto mi è possibile, di discuterne sinteticamente l’autenticità.
La posizione progressista-hegeliana
La prima posizione è quella di chi ritiene necessario mutare radicalmente sia il contenuto della fede che quello della morale, al fine di adeguarsi il più possibile al processo storico-culturale del progresso del mondo in atto in tutta l’umanità. Tale posizione coincide sostanzialmente con quella dell’idealismo hegeliano: l’umanità sarebbe il luogo in cui si esprime e si evolve lo ‘Spirito Assoluto’ che sta cercando di giungere ad una sempre maggiore coscienza di sé; questo Spirito Assoluto raggiunge delle tappe intermedie che poi supera incessantemente, per cui ogni tappa va considerata ogni volta come provvisoria; esso organizza sempre meglio la realtà attraverso le personalità più geniali e attraverso il potere politico; ogni individuo non è che uno strumento che lo spirito utilizza per poi disfarsene per affermare l’unicità del soggetto .
In questa prospettiva il cristiano cosa deve fare? Deve smetterla di credere nelle verità di fede come fatti oggettivi e come dogmi immutabili, ma deve considerarle come figure transitorie al servizio dello sviluppo dello spirito del mondo, e deve partecipare a questo processo universale adeguandosi a ciò che lo Spirito Assoluto, attraverso i geni e i poteri politici democratici, stabilisce essere la verità del momento.
Dunque basta con l’affermazione della resurrezione reale di Cristo: essa sarebbe solo un simbolo della forza dello Spirito Assoluto che si sviluppa in ogni passaggio storico; basta con l’affermazione della presenza reale di Cristo nell’Eucarestia: essa sarebbe solo un simbolo della nostra partecipazione all’assoluto; basta con l’affermazione della storicità dei Vangeli: essi narrerebbero solo immagini e figure transeunti, mentre il loro contenuto permanente si ridurrebbe a concetti universali applicabili a ciò che accade nel mondo che diviene incessantemente; basta con l’affermazione dell’esistenza di valori morali ‘non negoziabili’, perché bisogna sottoporre interamente i comportamenti etici a ciò che lo Spirito Assoluto stabilisce storicamente.
In un’epoca di pensiero debole e relativistico può sembrare insensata questa analisi che fa riferimento all’idealismo hegeliano, ma in realtà esso è più vivo che mai e può benissimo giustificare all’interno del divenire dell’assoluto anche il momento del relativismo. Anzi, non c’è forse mai stata un’epoca tanto hegeliana come la nostra, con la sua esaltazione del progresso, del mito scientista, dell’autorealizzazione dell’uomo, dell’organizzazione democratica, del potere divino della maggioranza.
La validità di questa posizione quindi sta o cade con la validità della visione hegeliana dell’essere in quanto tale. Ora, quest’ultima considera l’assoluto come una realtà in divenire, cioè come un assoluto che sta cercando di diventare se stesso perché ancora non lo sarebbe; ed è questa la contraddizione o l’assurdità su cui si costruisce tutto il sistema che abbiamo esposto. Infatti un assoluto che ha bisogno di divenire non è affatto assoluto, ma limitato, finito, contingente, dipendente dal tempo e dalla storia. Il vero assoluto è solo l’essere infinito ed eterno che è totalmente ‘padrone di sé’ e che perciò non è limitato da nulla, non dipende da nulla ed è se stesso da sempre, senza alcun bisogno di divenire ciò che non è già in se stesso. E’ questo che chiamiamo Dio. E’ solo l’essere non-assoluto, cioè il mondo in cui noi siamo, che dipende e diviene: dipende dall’assoluto e, dentro questa dipendenza, si sviluppa nella storia, senza che essa intacchi nulla dell’assoluto e di ciò che egli vuole .
In ogni caso è certo che la posizione hegeliana sopra descritta ha avuto e sta avendo una enorme diffusione all’interno del mondo cristiano, dapprima in quello protestante e poi in quello cattolico: alcuni la sostengono a livello teologico, come il ben noto Hans Kung, altri a livello meramente pragmatico, come una quantità considerevole di preti, suore, laici impegnati e associazioni di vario genere. Tutti costoro ritengono di avere come supporto magisteriale alla loro visione del mondo il Concilio Vaticano II, benchè non sappiano trovare una sola frase dei documenti conciliari che possa avvallare le loro tesi: ma essi si ritengono depositari indiscutibili dello ‘spirito del Concilio’, che starebbe al di sopra dei testi canonici e che dovrebbe essere seguito da tutti secondo le loro indicazioni. Normalmente tutto ciò confluisce in una prospettiva politica, vale a dire nell’adesione acritica ai partiti sedicenti progressisti, come se ciò fosse un vero e proprio dovere morale.
La linea del silenzio etico
La seconda posizione, oggi pure largamente diffusa, è quella di chi sostiene le verità della fede come fatti oggettivi e come insegnamenti immutabili, ma si pone in modo dialettico-diplomatico sulle questioni morali: esse cioè, pur accettate come un dato permanente e innegabile, vengono mantenute sotto stretto riserbo nella presentazione della fede e dell’esperienza cristiana. Ciò vale soprattutto per le questioni concernenti la bioetica (aborto, fecondazione artificiale, contraccezione) e la vita familiare (fidanzamento, matrimonio, educazione alla sessualità e affettività), cioè su ciò che della morale cristiana è più sottoposto al rifiuto della cultura dominante. Si ritiene che parlare di questi argomenti nuocerebbe alla causa dell’evangelizzazione o che sarebbe comunque fiato sprecato in un mondo che non ne vuole sentire parlare.
Il risultato pratico di questa linea del ‘silenzio etico’, molto vicina a quella che quaranta anni fa ha preso il nome di ‘scelta religiosa’, è tale per cui nella questione dell’aborto i cattolici non dovrebbero insistere sul fatto che è in corso un genocidio di milioni di innocenti, o che si tratta di uno sterminio autorizzato da una legge iniqua e praticato con i mezzi diretti dello Stato, o che bisognerebbe fare nuove leggi che difendano la vita e la maternità: intervenire su tutto questo sarebbe inutile, controproducente, eccessivo e persino lesivo della libertà che Dio avrebbe dato agli uomini di peccare e di fare il male. Occorrerebbe invece impegnarsi nell’evangelizzazione, la quale porterà da sé ad un cambiamento dei costumi e delle leggi.
L’errore di questa posizione non è facilmente riconoscibile, perché si presenta come una prospettiva evangelica, missionaria, costruttiva e profonda, mentre in realtà rappresenta una mutilazione del mandato missionario che Cristo ha dato ai suoi apostoli di insegnare ai popoli “a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28). Il cristiano non può tacere di fronte alla immane strage dei nascituri perpetrata oggi nella gran parte delle nazioni democratiche, o di fronte alla distruzione sistematica della famiglia fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna, o di fronte alla moltitudine di bambini che vengono lasciati morire di fame nel mondo, così come non dovrebbe tacere se ci fossero leggi che autorizzassero la violenza alle donne o la schiavitù dei debitori insolventi o la persecuzione degli Ebrei. Alzare la voce su queste cose non nuoce affatto alla causa dell’evangelizzazione, anzi ne mostra la grandezza umana e sociale.
Chi sceglie la linea del silenzio lo fa in molti casi in buona fede, nella convinzione che per il superamento delle iniquità sia più efficace il lavoro educativo alla fede cristiana globalmente intesa che non gli interventi specifici sulle iniquità stesse. Ora, non c’è dubbio che senza questo lavoro educativo non si può realizzare la società della verità e dell’amore, in cui l’iniquità sia da tutti condannata, ma è gravemente sbagliato credere che gli interventi specifici, da svolgere unitamente al lavoro educativo, siano facoltativi, superflui e inincidenti: l’esperienza dimostra che il silenzio favorisce per esempio il dilagare dell’abortismo, mentre un’opposizione coraggiosa e chiara desta le coscienze di molti, salva moltissime vite, ferma l’avanzata delle leggi abortiste e le fa arretrare, porta molti operatori a notevoli ripensamenti e risveglia la consapevolezza e l’azione del popolo.
A ben guardare, inoltre, l’errore che sta alla base della posizione del silenzio è di carattere ontologico e consiste nella separazione dell’essere dal bene: si afferma l’essere nella sua grandezza, si è coscienti di esso, e non lo si afferma pubblicamente come bene, non lo si ama veramente, non si opera appassionatamente perché sia difeso e riconosciuto dalla società . Come uno che dicesse ai suoi figli: “Siete esseri grandiosi, unici, di valore immenso, però se qualcuno vi uccide io non vi difendo; lo farò solo quando anche i vostri uccisori sapranno ciò che siete e ciò che valete; intanto morite pure tranquillamente”. Avvertiamo tutti l’assurdità di questa conclusione; non a caso la filosofia cristiana ha sempre affermato la coincidenza e l’inseparabilità di essere e di bene. Il ‘sensus fidei’ del popolo cristiano fa percepire subito un disagio di fronte alla innaturale separazione di queste due dimensioni della medesima realtà. E’ questa la ragione per cui questa separazione finisce sempre con l’inaridire gli animi e col far morire il popolo.
I sostenitori della posizione del silenzio, in chiaro contrasto con il Magistero bimillenario della Chiesa, si rifanno in modo scorretto in questi ultimi mesi ad alcune frasi nelle interviste a Papa Francesco dalle quali dedurrebbero un invito pontificio a mettere da parte la lotta sociale per la difesa della vita e della famiglia. In realtà il pontefice ha già dimostrato nei fatti come dovevano essere interpretate quelle frasi: egli non ha affatto messo sotto silenzio la questione dell’aborto, anzi ne ha parlato in numerose occasioni, con toni vibranti e arrivando persino a schierarsi apertamente con la marcia per la vita di Roma e con quella di Washington, in plateale opposizione ad Obama e alla sua politica abortista.
Cosa dunque intendeva dire il Papa ritenendo che non sia opportuno parlare di queste cose “in continuazione”? Semplicemente che si deve evitare l’equivoco che il cristianesimo venga identificato solamente o principalmente in un messaggio etico, anziché nell’annuncio che l’Essere Infinito ed Eterno si è fatto Uomo, abita in mezzo a noi e ci raduna attorno a Sé. Questa è la proposta cristiana: quella della Presenza del ‘Tu’ decisivo e della sua compagnia storica. Dovrebbe essere chiaro e ovvio per tutti, ma non lo è, dice Papa Francesco: perciò bisogna ricostruire questa coscienza nel popolo cristiano stesso, oltre che nella società. Tutti i gesti semplici e grandiosi che sta facendo vanno in questa direzione: la riscoperta del Vangelo, della Presenza Eucaristica di Cristo, della Confessione, del Rosario, della preghiera, della misericordia divina … Tuttavia egli non si sogna neanche per un istante di mettere a tacere le implicazioni etiche basilari che tutto questo comporta: i suoi interventi sul rispetto della vita, sul matrimonio, sulla solidarietà sociale, sulla pace, sul soccorso ai popoli della fame, sulla questione educativa, sulla condanna della violenza, e via dicendo, sono continui e mai titubanti. Egli in particolare non ha affatto invitato i pro life alla moderazione, ma li ha incoraggiati apertamente a insistere e a far crescere l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione che sollevano, con buona pace di tutti coloro che trovano molto più comodo tacere di fronte ai delitti (almeno fin tanto che riguardano gli altri, naturalmente).
La riduzione etica del cristianesimo
La terza posizione è l’opposto della seconda: si interessa ai valori morali cristiani ma appare quasi completamente disinteressata ai contenuti della fede e al loro scopo, che è l’unione dell’uomo con Dio. E’ in sostanza il concetto chiave del ‘fariseismo’: la convinzione che l’uomo ha diritto alla salvezza in base alla coerenza del suo comportamento morale.
In termini ontologici si tratta dello stesso errore visto sopra, vale a dire la separazione dell’essere dal bene: in questo caso è il bene a venire affermato come indipendente dall’essere. Si può immaginare in tal senso una madre che dicesse ai propri figli: “Io non vi uccido non perché credo nel valore immenso del vostro essere e lo amo, ma perché credo nella legalità, nell’onestà civica, nei doveri del cittadino”. E’ l’affermazione kantiana del dovere per il dovere, del ‘devo perché devo’, del formalismo del dovere morale: ci si guarda bene dall’affermare il valore ontologico del bene – cioè, per esempio, la sacralità della persona umana e del suo rapporto con l’infinito – per affermare la moralità come fondata in se stessa e come bastante a se stessa . Di fatto poi questa moralità è quella decisa dal potere culturale di turno.
Questa posizione, contrariamente a quello che normalmente si pensa, non riguarda tanto coloro che sostengono i valori bioetici – i quali sono quasi sempre caratterizzati dalla consapevolezza del valore oggettivo e trascendente della persona umana fin dal suo concepimento e da una intensa vita cristiana -, quanto piuttosto coloro che perseguono gli ideali morali più benvisti oggi socialmente e non sempre propriamente cristiani: il volontariato, l’ecologismo, la solidarietà, l’educazione alla legalità, la tolleranza, la partecipazione politica, e via dicendo (con solitamente una accurata esclusione dei suddetti valori bioetici).
Intendiamoci: non mancano tra i sostenitori di queste prospettive etiche coloro che guardano con autentico spirito cristiano alle realtà a cui si dedicano, ma tale spirito viene usualmente considerato un fatto personale, interiore, opzionale, un elemento parallelo, non costitutivo del fine dell’azione che si sta facendo. Costoro cioè ritengono che Cristo non sia nella sua stessa persona lo scopo dell’esistenza e la sua ragion d’essere, bensì lo ‘sponsor’ dei valori morali universali, da lui del tutto indipendenti dal punto di vista ontologico. Non ha dunque molta importanza il fatto che Cristo sia vero Dio e vero uomo: è sufficiente che sia un maestro, un profeta, un saggio, un asceta etico, un modello. Non si deve quindi proporre la sua persona come la vera risposta alla ricerca dell’uomo, ma solo i valori etici che ha richiamato.
Questa posizione, che oggi appare come la più ammirevole dal punto di vista sociale e la più universale dal punto di vista ‘ecumenico’, è in realtà la più distruttiva non solo per il cristianesimo in se stesso, ma anche per gli uomini suoi destinatari, in quanto vengono considerati nel modo più riduttivo e deprimente possibile: anziché come esseri fatti per l’infinito e desiderosi dell’incontro con lui, ridotti a cittadini bisognosi di legalità e di socializzazione politica. Alla fin fine questa posizione coincide con la prima, dove sia la dogmatica che la morale si adeguano alla cultura mondana transeunte. E finisce col far sentire insopportabile il cristianesimo per chiunque abbia un minimo di virilità e di razionalità.
Si può ragionevolmente ritenere che sia questa la riduzione etica del cristianesimo contro cui si erge giustamente Papa Francesco. Sarebbe un errore storico non da poco pensare, come si è detto, che siano i pro life a rappresentarla, mentre essa alberga con molto più agio tra coloro che hanno scelto i valori morali favoriti dalla cultura contemporanea.
La prospettiva autentica della Chiesa
Di fronte a queste tre posizioni errate si pone quella da sempre sostenuta dalla Chiesa, vale a dire l’inseparabilità della fede dalla morale, cioè dell’essere dal bene. E’ una posizione che sancisce l’unione di due grandi dimensioni dell’essere: la verità e l’amore. Tanto più si è coscienti dell’essere (verità), tanto più lo si deve volere-affermare (amore). Nella persona divina e in quella umana l’essere manifesta il suo massimo valore: la persona è infatti il luogo della coscienza dell’essere e della volontà di essere, è il luogo dell’intelligenza-verità e dell’amore. Perciò la persona va riconosciuta nel suo immenso valore e quindi va amata e difesa. E’ l’amore all’essere che porta a questa conclusione. E tutto ciò che ferisce, umilia, disprezza o uccide la persona è iniquo e deve venire combattuto con tutte le forze.
Si tratta della posizione di Cristo stesso, che non ha usato mezzi termini nello scansare gli equivoci della cosiddetta ‘scelta religiosa’: “Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”” (Mt 7).
Se sono escluse in partenza dalla fede cristiana la posizione di chi vuol ridurre la fede e la morale a ciò che detta la cultura mondana e quella di chi vuole ridurre il cristianesimo ai soli valori etici, non di meno è rifiutata da Cristo la posizione di chi estromette dall’opera dell’evangelizzazione l’intervento coraggioso contro le più intollerabili iniquità nel mondo e contro le legislazioni che le autorizzano. Non si può dunque invocare contemporaneamente l’impegno missionario per l’evangelizzazione e il silenzio di fronte ai delitti in corso nell’umanità: contrapporre le esigenze altissime della fede a quelle sacrosante della morale è uno schiaffo sia alla fede che alla morale. Una evangelizzazione costruita sul silenzio di fronte alla strage legalizzata degli innocenti è un sopruso, è una falsificazione del Vangelo che anziché diffonderlo lo storpia in partenza. Tollerare pubblicamente l’iniquità gravissima nella società per poter avere in cambio la pubblica accoglienza del Vangelo è in realtà una vergognosa riduzione pubblica della fede, anche se fatta con l’intenzione di creare un mondo nuovo costruito su questa medesima fede. Posso annunciare Cristo con grande cordialità a uno che sta uccidendo suo figlio senza cercare di fermarlo e senza gridargli nulla per quello che sta facendo? Posso dire: ‘sto zitto adesso, così posso parlargli della fede’?
Certe esigenze della morale possono essere presentate gradualmente nel tempo, quando concernono aspetti della crescita e del miglioramento dei singoli e delle società, ma questo non vale per i comandamenti fondamentali e primari, quali ‘non uccidere’ o ‘rispetta il padre e la madre’, ai quali è connessa la condanna della malvagità più intollerabile per tutti, come quella che riguarda l’assassinio degli innocenti o la distruzione del pilastro della società che è la famiglia uomo-donna. E’ quello che troviamo nella struggente richiesta dell’ebrea Ester all’imperatore persiano Assuero per fermare il decreto di sterminio degli Ebrei: “la mia richiesta è che mi sia concessa la vita e il mio desiderio è che sia risparmiato il mio popolo. Perché io e il mio popolo siamo stati venduti per essere distrutti, uccisi, sterminati. Ora, se fossimo stati venduti per diventare schiavi e schiave, avrei taciuto, perché questa nostra angustia non sarebbe stata un motivo sufficiente per infastidire il re” (Ester 7). Possiamo sopportare la nostra schiavitù fisica se questa sopportazione ci permette nel tempo un’opera di testimonianza evangelica e di cambiamento non violento della società schiavista, ma non possiamo tacere di fronte ad un decreto di sterminio ‘per non infastidire il re’.
Tutto ciò non contrasta minimamente con l’annuncio della misericordia divina, su cui insiste molto Papa Francesco: è piuttosto una grande carità verso il prossimo, il quale ha sempre bisogno di essere richiamato e aiutato a conoscere la volontà di Dio e a seguirla, specialmente sulle questioni più gravi.
Del resto è il medesimo pontefice che nell’esortazione Evangelii Gaudium ad esortare ad intervenire pubblicamente con un giudizio morale di carattere sociale: “I Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. […] Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. […] La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene «il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica», la Chiesa «non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia». Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore”. (nn. 182 e 183)
I fedeli cristiani, ma anche gli uditori laici, si aspettano che i pastori e i responsabili delle comunità ecclesiali alzino la voce con chiarezza e forza di fronte alle menzogne, alle violenze, alle iniquità e alle ingiustizie del mondo in cui vivono, specialmente là dove esiste la possibilità di parlare e non si è costretti con la forza al silenzio, come nel caso dei regimi dittatoriali del passato. Niente è più triste per loro di vedere che essi tacciono, in nome di strategie, di astuzie, di rimandi al futuro, di freddezze, di insensibilità, di teorie contraddittorie, di atteggiamenti di comodo, di connivenze col male, di compromessi inaccettabili, di equilibri di potere, di paure ingiustificate, di incertezze dottrinali, di mancanze di fede e di coraggio. Come si è detto sopra il ‘sensus fidei’ dei fedeli permette loro di sentire subito che c’è qualcosa di grave che non va in una fede silenziosa di fronte al male e cresce in loro la sofferenza e lo scoramento. Niente è più nocivo alla causa dell’evangelizzazione di questo silenzio praticato in nome dell’evangelizzazione.
Dunque l’amore di Cristo e a Cristo esige impetuosamente la difesa della persona umana e di ogni persona umana: ogni ritardo o ogni reticenza in tal senso è ingiustificabile. I 300 bambini che ogni giorno vengono uccisi legalmente in Italia prima della nascita, nel silenzio di tutti, esigono che costantemente dalla Chiesa si levi forte e intacitabile il grido: “non uccideteli! Sono nostri fratelli! Fermatevi, in nome di Dio!”. La Chiesa si interroghi su come vive questa responsabilità. Chiunque spenga questo grido dovrà un giorno ascoltarlo per quello che esso è, cioè il grido di Dio: “tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25).
Grido o silenzio?
Rimane a questo punto un ultimo problema circa la ‘modalità’ di questo grido. Alcuni pongono in sostanza questa domanda, che ci riporta in parte alle considerazioni precedenti: nel caso grave dell’aborto, in quale modo possiamo ottenere meno morti? Gridando “fermatevi, assassini”, oppure agendo nel silenzio con il lavoro educativo suddetto e il salvataggio dei casi che possiamo aiutare personalmente? Gridando non si ottiene forse l’effetto controproducente di aizzare la propaganda degli abortisti e far ricorrere all’aborto coloro che non sopportano di farsi comandare dalla Chiesa? Non è meglio lasciare che la questione si sgonfi da sola mano a mano che la nostra gente si rende conto autonomamente che l’aborto è una brutta cosa? Non è forse vero che il numero degli aborti in questi ultimi anni è diminuito?
La questione è seria e merita una riflessione adeguata. Indubbiamente chi pone questa domanda rimane all’interno dell’autentica preoccupazione della Chiesa, se la pone sinceramente; è infatti anche possibile che venga posta per giustificare una posizione di comodo, il che sarebbe un tremendo modo farisaico per coprire l’iniquità. Per rispondere dunque a chi si pone sinceramente questo problema, cerchiamo di fare alcune considerazioni di carattere storico e di principio. Vedremo come sarà possibile arrivare ad una conclusione operativa ragionevolmente certa, in grado di indicare una strada sicura e di richiedere un impegno deciso.
La prima considerazione storica riguarda il caso dello sterminio degli Ebrei da parte dei nazisti. Alcuni, come è noto, accusano Papa Pio XII di avere taciuto e di non avere alzato la voce in modo adeguato contro questo orrore. La risposta a questa accusa è altrettanto nota: Pio XII, dopo una serie di pronunciamenti molto duri contro il nazismo quando era Segretario di Stato (va ricordato che è stato l’autore di fatto dell’Enciclica ‘Mit Brennender Sorge’ di Pio XI contro il regime nazionalsocialista e le sue teorie razziali), verso la fine del 1938 ha frenato bruscamente i suoi interventi, nel momento in cui si è reso conto dell’immane pericolo che il rinato ed enorme esercito tedesco costituiva per tutta l’Europa; a quel punto la sua scelta è stata quella di salvare il salvabile con azioni umanitarie di fatto, più che di attaccare un regime spietato e potentissimo (va comunque ricordato che nei radiomessaggi natalizi, che allora erano il più vistoso intervento papale durante l’anno, ha svolto un magistero molto chiaro e forte contro il razzismo). E’ stata la scelta migliore? Difficile dirlo; certo è che ha salvato all’incirca 800 mila Ebrei, facendoli nascondere nei conventi e nelle chiese; se avesse parlato avrebbe ottenuto di più o di meno? Nessuno può rispondere a questa domanda. Quello che si può dire è che la sua scelta è stata motivata dall’impossibilità di parlare liberamente sulla questione in oggetto senza causare dure rappresaglie da parte dei nazisti.
Ora, nel caso odierno dell’aborto le cose non stanno in questo stesso modo. Il pericolo di una reazione dura all’intervento della Chiesa in materia non è di carattere repressivo ma pragmatico-psicologico, come si è detto sopra: ciò che si teme, cioè, è che le organizzazioni abortiste e la gente reagiscano rabbiosamente accentuando il ricorso all’aborto per dimostrare che non accettano ingerenze ecclesiastiche. Quindi, secondo questi timori, l’intervento della Chiesa contro l’aborto aumenterebbe il numero delle vittime anziché diminuirlo. Alcune osservazioni sociologiche però smentiscono completamente questa prospettiva. Vediamole in sintesi, proseguendo le nostre considerazioni storiche.
L’Unione Sovietica è stato il primo paese al mondo a legalizzare l’aborto, nel 1920, dopo solo tre anni dalla rivoluzione di ottobre, in un contesto internazionale che ovunque considerava invece un delitto la soppressione del nascituro. E’ chiaro che la causa di una simile tragica originalità e urgenza da parte della Russia, in rottura con tutto il suo passato, risiedeva nella spietata riduzione materialistica dell’uomo che ora essa professava e applicava sistematicamente, considerando ogni essere umano come un puro grumo di cellule, un ingranaggio del sistema, un ente privo di ogni diritto al di fuori di quelli stabiliti volta per volta dal Partito. Con la stessa logica si sono potuti quindi eliminare milioni di nascituri nei grembi delle loro madri e milioni di adulti nei Gulag siberiani. E in effetti l’aborto fu applicato in misura sconvolgente dalle donne russe, con un numero di bambini abortiti enorme, superiore a quello dei nati.
Dopo il 1945 tale prassi, unitamente con la visione materialistica dell’uomo da cui deriva, è stata imposta anche ai paesi dell’Est europeo caduti sotto il dominio sovietico, con analoghi risultati in termini di sterminio dei nascituri.
In tutto questo contesto la Chiesa non ha potuto dire nulla, visto lo stato di persecuzione e di annientamento in cui si trovava. E’ abbastanza evidente quindi che il massimo incremento dell’aborto si è avuto in coincidenza del minimo intervento ecclesiale.
La stessa cosa va detta della Cina, dove l’aborto è stato addirittura imposto alle donne dopo il primo figlio, sempre con la Chiesa ridotta al più totale silenzio. Il regime si è recentemente vantato di avere realizzato in questo modo 400 milioni di aborti.
Passando ai paesi occidentali, possiamo osservare anzitutto che, in proporzione al numero degli abitanti, gli aborti negli Stati Uniti, dove la Chiesa Cattolica congloba il 25% della popolazione in una società protestante o laica generalmente avversa al cattolicesimo, sono il doppio che in Italia, dove la medesima Chiesa raccoglie di fatto più del 50% degli abitanti, mentre il rimanente della popolazione tende a indentificarsi nelle tradizioni marxiste e liberali di stampo anticlericale: dunque dal confronto delle due nazioni risulta che aumentando la presenza della realtà ecclesiale cattolica, in un contesto generale sfavorevole, diminuisce proporzionalmente il numero degli aborti. Ciò è ulteriormente confermato dal dato della Polonia, la cui popolazione aderisce per oltre l’80% al cattolicesimo e dove gli aborti sono un numero ridottissimo rispetto agli altri paesi europei. Viceversa in Francia, dove la realtà ecclesiale è ridotta ai minimi termini, il ricorso all’aborto è il doppio che in Italia.
Non è pertanto vero che la gente abortisce come reazione alla presenza della Chiesa e del suo insegnamento, ma è vero piuttosto l’opposto, cioè che gli aborti diminuiscono in proporzione a tale presenza in una società. Occorre specificare bene i due termini, vale a dire Chiesa e insegnamento, perché in effetti di entrambi si tratta e non di una semplice presenza muta della comunità ecclesiale. Anzi, si può notare che la diminuzione degli aborti nei vari territori è proporzionale, oltre che alla consistenza numerica della comunità cattolica, all’intensità e chiarezza dell’insegnamento e del giudizio espressi apertamente dalla Chiesa in materia sia ad intra che ad extra. Infatti, dove le sue direttive sono state annunciate con maggiore chiarezza e la condanna pubblica dello sterminio abortista è stata più forte, come nel caso della Polonia, i risultati sono stati quelli, come si è detto, di una riduzione drastica del numero di aborti. Altrove le direttive morali cristiane passano comunque, più o meno genericamente e più o meno apertamente, attraverso le famiglie, le parrocchie, le associazioni, la stampa, internet e via dicendo, ma resta vero che quando si verifica un impegno pubblico più specifico si ottengono i risultati migliori.
Rimane quindi da chiedersi quanto sarebbe grande il risultato positivo in termini di limitazione degli aborti se tale insegnamento e giudizio cattolici fossero ovunque maggiormente conosciuti e approfonditi, nella società civile e nella popolazione cattolica stessa. In non poche realtà ecclesiali infatti si teorizza e si pratica il silenzio quasi completo sull’argomento.
L’esperienza dimostra che là dove sono presenti gruppi cristiani che alzano la voce contro l’aborto e realizzano opere di aiuto alla maternità vengono salvate moltissime vite umane, come si é detto sopra, e viene creata una efficace resistenza alla ‘cultura della morte’ e alla sua legislazione. Lo si vede chiaramente nel fenomeno della Marcia per la Vita di Roma, che nel 2013 e nel 2014 ha portato in piazza più di 30 mila persone, in grandissima parte giovani. Ed è un dato certo che dopo questa manifestazione gli aborti non sono aumentati. Negli Stati Uniti, dove il movimento pro life è molto forte e si batte incessantemente per i diritti dei nascituri, in questi ultimi quattro anni sono state varate decine di leggi nei singoli stati che hanno ristretto significativamente la possibilità di abortire (ben 70 nel solo 2013).
Viceversa la ‘strategia del silenzio pubblico’ e quella del compromesso, praticate da molti cattolici nella società (compresi quelli che privatamente insegnano a non abortire, ma non vogliono mai intervenire pubblicamente), hanno portato a risultati estremamente negativi fuori e anche dentro la Chiesa. Detto in altre parole: se è vero che un certo insegnamento morale generico impartito dai cattolici, anche solo ad intra, procura un abbassamento del numero di aborti nella società in cui sono presenti, è altrettanto vero che la mancanza di un insegnamento e di un giudizio specifico forte, non solo ad extra ma anche ad intra, procura i risultati negativi che ora cerchiamo di vedere uno ad uno.
I risultati negativi del silenzio cattolico
Il primo di essi è la convinta accettazione, giustificazione e difesa della legge 194 da parte addirittura della maggioranza del mondo cattolico: oggi molti esponenti di questa realtà ritengono che tale legge, che ha legalizzato l’uccisione di 6 milioni di bambini, sia ‘una buona legge’, equilibrata, inevitabile, tollerabile; altri, meno lassisti, non ritengono comunque che ci si debba occupare di essa e non ne chiedono assolutamente l’abrogazione. In prossimità di elezioni politiche o amministrative l’abrogazione della legge abortista o perlomeno una sua limitazione non compare mai tra le richieste dei cattolici ai vari candidati. Persino nei colloqui con le donne incinte propense ad abortire, non pochi operatori cattolici, che prospettano loro l’opportunità di far nascere il bambino, si affrettano a dichiarare che comunque hanno la ‘libertà di scegliere’, garantita dalla legge italiana.
Il secondo risultato negativo è che ben poche donne incinte sanno dell’esistenza dei centri di aiuto alla vita e vengono aiutate a rivolgersi ad essi; non solo, ma nemmeno sono a conoscenza di alcuno degli argomenti che il magistero cattolico ha fornito per motivare la condanna dell’aborto e combattere per la difesa della vita. Si può immaginare quanti aborti sarebbero stati e sarebbero evitati se queste elementari e serie informazioni fossero regolarmente e pubblicamente offerte a queste donne.
Il terzo risultato negativo – ed è il più grave – è l’oscuramento della coscienza del bene e del male nel popolo. La popolazione odierna, compresa quella cattolica, pur sapendo cosa succede nei nostri ospedali, vale a dire la soppressione quotidiana di centinaia di bambini nascituri, non si oppone minimamente ad essa, non se ne rattrista, non la discute, anzi la approva come diritto incancellabile delle donne, e si infastidisce quando vede qualcuno che protesta o che minaccia la tranquillità di questo andamento.
Il quarto risultato negativo è che gli abortisti, mancando una forte opposizione cattolica allo sterminio in atto, non ancora paghi dell’enormità di sangue versato, vogliono allargare sempre di più la possibilità di abortire, a cominciare con la messa in discussione dell’obiezione di coscienza. Essi in sostanza non solo vogliono che le uccisioni proseguano, come avviene tuttora, ma pure che coloro che non vogliono farle siano costretti ad uccidere dalla legge. Questa mostruosità, che dovrebbe far capire a tutti quale tremenda menzogna e iniquità stia alla base di tutto questo fenomeno, non è forse resa possibile dalla acutissima strategia del silenzio cattolico?
Il quinto risultato negativo di questa opzione di omertà è la tranquilla e convinta accettazione della cultura abortista da parte dei giovani. A parte coloro che hanno avuto la fortuna di incontrare qualche educatore sensibile su questo argomento e militante in qualche gruppo pro life, la stragrande maggioranza degli studenti medi e universitari viene ‘formata’ sistematicamente a livello scolastico e giornalistico in prospettiva abortista. Alcuni di loro raggiungono la personale decisione di non fare ricorso all’aborto, avendone avvertito interiormente la negatività, ma nessuno di loro mette in dubbio la necessità di garantire a tutte le donne il diritto di farlo qualora lo ritenessero giusto, specialmente nei casi ritenuti ‘sacrosanti’ di disabilità del feto o di violenza carnale o di impreparazione alla maternità. Ora, posto che è del tutto innaturale per un giovane avere paura della vita e sopprimere un disabile, il successo di questa spaventosa opera ‘formativa’ abortista nelle giovani generazioni è quanto di più tragico e disgustoso pesi direttamente sulla scelta del silenzio compiuta dal mondo cattolico.
Gli aborti diminuiti: il silenzioso avanzare del nulla
Veniamo ora alla questione della diminuzione del numero degli aborti negli ultimi anni e decenni. Attribuire questo risultato positivo alla legge 194, come molti fanno, è semplicemente demenziale ed è l’ennesimo tentativo degli abortisti di prendersi gioco della società confusa e complice che stanno decimando. I motivi che hanno determinato questo calo degli aborti in alcuni paesi occidentali sono tre. Vediamoli singolarmente.
Il primo motivo è il calo della popolazione fertile, causato in gran parte proprio dalla legalizzazione dell’aborto. In questo senso è tristemente corretto dire che il ‘merito’ di questo calo è della legge 194. I dati parlano chiaro: i nati in Italia nel 1946 e 1947 e 1948 sono stati più di un milione all’anno e si sono mantenuti intorno ai 900 mila fino al 1974; a partire dal 1975 si è verificata una flessione, che è diventata un crollo in corrispondenza dell’approvazione della legge 194 nel 1978 e del record di aborti avutosi dal 1980 al 1985 (più di 200 mila all’anno), per cui a partire dal 1984 le nascite in Italia si sono assestate su una media costante di 550 mila unità annue, comprendendo anche l’apporto sempre più consistente dato dalla popolazione immigrata prima non esistente o minimale. Ciò significa che le donne in età fertile (15-44 anni) negli anni Ottanta erano circa 1,7 volte quelle degli anni Duemila. Di conseguenza anche le gravidanze sono state egualmente inferiori in questi ultimi anni e quindi anche il numero degli aborti. Il circolo è chiaro: l’aborto uccide una buona fetta delle future mamme e quindi porta lentamente ad avere sempre meno gravidanze e di conseguenza sempre meno aborti; ma non per un cambiamento positivo dei costumi, quanto per l’avanzare della morte e del nulla. Si tenga presente che l’apparente tenuta delle nascite al livello di 550 mila annue in questi ultimi anni è stato reso possibile, come si è detto, solo dal numero sempre più rilevante di popolazione immigrata (a partire dal 1990 con la caduta del Muro di Berlino, la libertà in Albania e l’esodo causato dalle guerre balcaniche, con un forte incremento dopo il 2000 per l’intensificarsi dell’immigrazione dall’Est e dal Sud): la popolazione giovanile italiana è in realtà in costante diminuzione.
Va anche osservato che il crollo citato della linea di evoluzione demografica dell’Italia (cioè il crollo del costante aumento della popolazione) che si è verificato dopo la legge 194, mostra con assoluta evidenza la falsità dell’argomento usato dagli abortisti circa l’aborto clandestino nella nostra nazione: se infatti la legge 194 fosse stata necessaria per far uscire dalla clandestinità un fenomeno già di per sè in atto – come essi sostengono -, non ci sarebbe stata nessuna variazione nella suddetta linea dopo il 1978, in quanto semplicemente si sarebbe avuto un passaggio dall’illegalità alla legalità di una prassi già esistente. La realtà invece mostra che l’evoluzione naturale delle nascite ha subito dopo la legge 194 un crollo che ha arrestato per almeno vent’anni lo sviluppo demografico italiano e ha posto le basi per l’attuale inverno della natalità. La legge dunque ha incentivato enormemente la prassi abortista, come era del tutto ovvio aspettarsi, fermo restando che anche se si fosse verificata una semplice legalizzazione di una prassi già esistente sarebbe stato un fatto del tutto inaccettabile, posto che compito della legge non è legalizzare il crimine, ma condannarlo e cercare di debellarlo (allo stesso modo per cui lo Stato non deve legalizzare la mafia con le sue bande assassine e i suoi mercati malavitosi, ma condannarla apertamente e combatterla con determinazione incrollabile).
Il secondo motivo del calo degli aborti, come è del tutto ovvio, è il tremendo sviluppo che si è avuto dagli anni Novanta in poi delle pratiche anticoncezionali e degli aborti cosiddetti ‘chimici’ (pillola del giorno dopo, pillola dei cinque giorni dopo, pillola RU486). In questi ultimi vent’anni si è infatti svolta una poderosa campagna di addestramento contraccettivo delle nuove generazioni, con interventi scolastici sistematici sia nelle scuole medie inferiori che superiori. La sessualità è stata ridotta a esercizio fisico-psicologico, senza alcun riferimento spirituale e morale. Tutto è lecito, basta ‘proteggersi’: dall’HIV e dalla gravidanza. Non si rifletterà mai abbastanza sulla gravità di questa barbarie antropologica, che ha cancellato i sentimenti più elevati verso il fidanzamento, il matrimonio, la sessualità e la vita. Essa ancora una volta è stata resa possibile dal silenzio delle comunità cristiane: sia perché non hanno creduto che fosse un loro compito intervenire, sia perché alle famiglie ormai interessa solo il problema della salute fisica dei figli.
Il terzo motivo del calo dei numero di bambini abortiti è infine di carattere positivo e non ha nulla a che vedere con la legge 194: si tratta della consapevolezza che in molti giovani si è accresciuta della natura omicida dell’aborto. A ciò hanno contribuito due fattori: da una parte le conoscenze scientifiche (la decifrazione del DNA, la scienza prenatale, le immagini della vita intrauterina, etc), dall’altra la possibilità di trovare sul web una serie di interventi di molti giovani pro life e delle organizzazioni di cui fanno parte. Purtroppo, come si è detto sopra, si tratta ancora di una fascia ristretta della popolazione.
Conclusione: la condanna del silenzio
Tutte queste osservazioni ci portano a trarre una conclusione ormai ben chiara: la scelta del silenzio è la più dannosa e inconcludente, la scelta dell’espressione pubblica del giudizio cristiano su questi fatti è la più fruttuosa e ricca di sviluppi positivi. Attendersi un cambiamento della mentalità, dei costumi e delle leggi dal silenzio è come attendersi che una casa cresca da sola su un terreno vuoto. Anzi, peggio, su un terreno che in realtà nel frattempo viene occupato da altri per scavare un baratro.
Che la scelta del silenzio non fosse una invenzione intelligente e feconda lo si poteva dedurre a livello ecclesiale anche dalla considerazione di quale sia stato il metodo praticato in proposito dalla Sacra Scrittura, dai Padri della Chiesa, dal Magistero e dai Santi. Non troviamo mai in essi la scelta strategica del silenzio e del compromesso nella società, specialmente di fronte a questioni di grave o gravissima importanza morale e umana, in cui fossero in gioco i diritti basilari di Dio e dell’uomo. Andiamo a considerare alcuni esempi eloquenti.
Il metodo della Bibbia
In tutta la Bibbia è con continua l’esortazione divina alla testimonianza pubblica della verità e alla denuncia implacabile del peccato e della menzogna.
Si pensi ai profeti dell’Antico Testamento: la decisione con cui Dio, vincendo la loro naturale paura e resistenza, li ha spinti ad andare davanti al popolo per rinfacciargli i suoi peccati, per smascherare le menzogne e gli idoli, per gridare dove stia la strada da seguire, contro il parere di tutti e dovendo affrontare la persecuzione spesso violenta da parte dei potenti. Si trattava di una missione rivolta non solo al popolo di Israele, ma anche alle nazioni con cui esso veniva a contatto.
E’ il caso anzitutto di Mosè, inviato da Dio nientemeno che al Faraone, Re del grande Egitto. Mosè ha cercato di evitare questa missione, ma Dio è stato categorico:
10Mosè disse al Signore: «Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore … ma sono impacciato di bocca e di lingua». 11Il Signore replicò: «Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? 12Ora va’! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire». (Es 4)
Il profeta Geremia, che doveva profetare al popolo di Israele ma pure contro le nazioni potenti che lo circondavano, ha cercato anch’egli di tirarsi indietro per lo stesso motivo, ma la risposta divina è stata altrettanto chiara:
6Risposi: «Ahimé, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». 7Ma il Signore mi disse: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. 8Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti». Oracolo del Signore. 9Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse: «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. 10Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare». (Ger 1)
Particolarmente significativo è il caso del profeta Giona. Egli viene mandato da Dio alla capitale del popolo nemico e sterminatore di Israele, gli Assiri:
2Alzati, va’ a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me. (Gn 1)
Giona ha sentito tutta la ripugnanza di una missione che aveva lo scopo di salvare dalla distruzione un popolo che invece la meritava ampiamente. E quando ha visto che l’esito della sua missione è stato la conversione e la salvezza della città, si è addirittura arrabbiato apertamente con Dio, il quale rispondendogli ha messo in chiaro il motivo per cui vuole che si alzi la voce per correggere chi sta facendo il male spesso inconsapevolmente:
11E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali? (Gn 4)
Il profeta Isaia ci riporta l’invito pressante di Dio alla pubblica denuncia dei mali che il popolo segue:
1Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. … Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, 10se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. 11Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono. (Is 58)
Il profeta Ezechiele ci riferisce un monito molto chiaro da parte di Dio:
7O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. 8Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. 9Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato. (Ez 33)
Il profeta è tenuto a svolgere la sua missione indipendentemente dall’esito che essa può avere:
4Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. 5Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro. 6Ma tu, figlio dell’uomo, non li temere, non avere paura delle loro parole. Essi saranno per te come cardi e spine e tra loro ti troverai in mezzo a scorpioni; ma tu non temere le loro parole, non t’impressionino le loro facce: sono una genìa di ribelli. 7Ascoltino o no – dal momento che sono una genìa di ribelli –, tu riferirai loro le mie parole. (Ez 2)
Dio non accetta quindi le nostre diplomazie e le nostre scuse per tacere quando sono in atto pericoli gravissimi.
Si pensi a Giovanni Battista, che si erge pubblicamente davanti al temuto re Erode Antipa per rinfacciargli il grave peccato contro il matrimonio:
Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello. (Mc 6)
E non vanno dimenticate le sue direttive morali nette al popolo, ai soldati e ai pubblicani.
Si pensi poi a Gesù stesso: i suoi discorsi e le sue invettive contro i farisei, gli scribi e i capi del popolo, con richiami molto concreti e precisi sui loro comportamenti ipocriti e inaccettabili e con insegnamenti ricorrenti di carattere morale per tutti (Mt 23 e Lc 11). Egli ci ha richiamati alla necessità di svolgere con coraggio la nostra pubblica missione:
10Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. (Mt 5)
14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. (Mt 5)
19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. (Mt 5)
33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia … (Mt 6)
27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. … 32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. (Mt 10)
7Il mondo […] odia me, perché di esso io attesto che le sue opere sono cattive. (Gv 7)
37Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! (Mt 23)
Si pensi a Paolo e agli altri Apostoli nelle loro lettere alle varie comunità cristiane: i loro continui richiami su molte questioni morali (matrimonio, carità, condivisione dei beni, compiti dello stato, etc), con interventi talvolta molto forti e controcorrente da parte di Paolo. Ecco il suo giudizio sulla cultura dominante del suo tempo:
18Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. … Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa 21perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. 22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti … essi hanno commesso azioni indegne: 29sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, 30maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, 31insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. 32E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa. (Rm 1)
2Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. (Rm 12)
Il metodo dei Padri
Il metodo biblico sopra descritto prosegue senza alcuna soluzione di continuità nei Padri della Chiesa, tutti segnati dalla ferma volontà di seguire in tutto e per tutto ciò che Dio insegna nella sua Parola. Anche essi dunque gridano apertamente al mondo le verità fondamentali e denunciano i mali che rovinano i singoli e le società.
Si leggano gli interventi di Agostino, vescovo di Ippona, contro l’immoralità sessuale, contro le oscenità pagane, contro i giochi al circo, contro la violenza, contro gli idoli, contro le ingiustizie della società e dell’impero, oltre che contro le eresie all’interno del cristianesimo. In una delle sue opere più famose, il De civitate Dei, destinata al mondo pagano che accusava il cristianesimo di avere causato la rovina dell’Impero, Agostino non esita a dare un giudizio molto chiaro e provocatorio su tanti aspetti della società romana durante i secoli del paganesimo; egli precisa che non basta chiamarsi ‘stato’ o ‘impero’ per essere una realtà rispettabile, ma occorre praticare la giustizia:
Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta con l’aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze, occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato che gli è accordato ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione dell’ambizione di possedere ma da una maggiore sicurezza nell’impunità. (De Civitate Dei, IV,4)
Si vada a vedere il coraggio di Ambrogio, vescovo di Milano, nella lotta contro l’usura, contro le ingiustizie sul lavoro, contro i soprusi del potere politico: come non considerare la lotta irriducibile che ha intrapreso insieme alla sua comunità cristiana contro gli abusi perpetrati dal potere imperiale? Così Agostino descrive la comunità cristiana di Milano, stretta attorno al suo vescovo, nella resistenza verso le ingiustizie dell’imperatrice:
Giustina, madre del giovane imperatore Valentiniano, aveva cominciato a perseguitare il tuo campione Ambrogio, istigata dall’eresia in cui l’avevano sedotta gli ariani. Vigilava la folla dei fedeli ogni notte in chiesa, pronta a morire con il suo vescovo, il tuo servo. Là mia madre, ancella tua, che per il suo zelo era in prima fila nelle veglie, viveva di preghiere. Noi stessi, sebbene freddi ancora del calore del tuo spirito, ci sentivamo tuttavia eccitati dall’ansia attonita della città. Fu allora, che s’incominciò a cantare inni e salmi secondo l’uso delle regioni orientali, per evitare che il popolo deperisse nella noia e nella mestizia, innovazione che fu conservata da allora a tutt’oggi e imitata da molti, anzi ormai da quasi tutti i greggi dei tuoi fedeli nelle altre parti dell’orbe. (Confessioni, IX,7)
Si consideri la resistenza eroica di Giovanni Crisostomo a Costantinopoli contro il potere imperiale e le sue ingiustizie sociali, fino a morire in esilio.
Gregorio Magno non ha risparmiato richiami diretti e molto forti all’Imperatore di Oriente per le sue ingiustizie ai danni del popolo della Sicilia, della Sardegna e della Corsica, vessato da tasse inique.
Il metodo del Magistero
L’elenco potrebbe continuare con innumerevoli altri esempi tratti dalla vita dei Padri della Chiesa. Ma passando alla considerazione del Magistero ordinario e straordinario dei Pontefici, è facile osservare come esso abbia sempre comportato un giudizio pubblico sui problemi morali del tempo: soprattutto con lo strumento delle lettere encicliche i Papi hanno dato indicazioni chiare e inequivocabili ai cristiani su come comportarsi quando erano in gioco i fondamentali valori della moralità oltre che della fede. Come non ricordare le encicliche di Leone XIII e dei suoi successori sulla questione operaia? O le lettere di Benedetto XV ai capi delle nazioni contro la prima guerra mondiale, accoratamente condannata come strage inutile e come causa di immani sofferenze? Egli si è sentito in dovere di non fare silenzio:
In sì angoscioso stato di cose, dinanzi a così grave minaccia, Noi, non per mire politiche particolari, nè per suggerimento od interesse di alcuna delle parti belligeranti, ma mossi unicamente dalla coscienza del supremo dovere di Padre comune dei fedeli, dal sospiro dei figli che invocano l’opera Nostra e la Nostra parola pacificatrice, dalla voce stessa dell’umanità e della ragione, alziamo nuovamente il grido di pace, e rinnoviamo un caldo appello a chi tiene in mano le sorti delle Nazioni. (1.8.1917)
Anzi, Benedetto XV non si è limitato ad un generico appello, ma ha avanzato delle proposte politiche ben precise per far tacere le armi e risolvere i problemi connessi ai territori occupati, ai danni di guerra e alla definizione dei confini:
Ma per non contenerci sulle generali, come le circostanze ci suggerirono in passato, vogliamo ora discendere a proposte più concrete e pratiche ed invitare i Governi dei popoli belligeranti ad accordarsi sopra i seguenti punti, che sembrano dover essere i capisaldi di una pace giusta e duratura, lasciando ai medesimi Governanti di precisarli e completarli. (1.8.1917)
O come non ricordare le encicliche di Pio XI contro il nazismo, il comunismo, il fascismo e la massoneria? Quando nel 1937, in pieno regime nazista, fece leggere pubblicamente in tedesco in tutte le chiese della Germania il giorno della domenica delle Palme la sua enciclica Mit Brennender Sorge, non ha usato giri di parole per definire la menzogna del potere hitleriano e della sua propaganda:
Se la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell’ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; chi peraltro li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi e, divinizzandoli con culto idolatrico, perverte e falsifica l’ordine, da Dio creato e imposto […]. Solamente spiriti superficiali possono cadere nell’errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione nazionale, e intraprendere il folle tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica di una sola razza, Dio, Creatore del mondo, re e legislatore dei popoli, davanti alla cui grandezza le nazioni sono piccole come gocce in un catino d’acqua. I Vescovi della Chiesa di Cristo « preposti a quelle cose che riguardano Dio» devono vigilare perché non si affermino tra i fedeli tali perniciosi errori, ai quali sogliono tener dietro pratiche ancora più perniciose. Appartiene al loro sacro ministero di fare tutto il possibile, affinché i comandamenti di Dio siano considerati e praticati quali obbligazioni inconcusse di una vita morale e ordinata, sia privata sia pubblica […]. (n. 2)
Per fare degli esempi recenti in connessione con le tematiche finora trattate, come dimenticare l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI sulla contraccezione o la Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II sull’aborto o i suoi celebri interventi contro le guerre ‘chirurgiche’ degli anni Novanta e seguenti?
Andrebbero poi ricordate le calorose esortazioni del Concilio Vaticano II alla presenza dei laici cristiani dentro il mondo in merito proprio all’impegno per i valori morali. A titolo di esempio basti ricordare le seguenti:
Inoltre i laici, anche consociando le forze, risanino le istituzioni e le condizioni del mondo, se ve ne siano che provocano al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l’esercizio delle virtù. Così agendo impregneranno di valore morale la cultura e le opere umane. In questo modo il campo del mondo si trova meglio preparato per accogliere il seme della parola divina, e insieme le porte della Chiesa si aprono più larghe, per permettere che l’annunzio della pace entri nel mondo. (Lumen Gentium 36; cfr anche 38)
Pertanto il santo Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all’umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al fine d’instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione. Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito. (Gaudium et Spes 3)
In questa luce, il Concilio si propone innanzitutto di esprimere un giudizio su quei valori che oggi sono più stimati e di ricondurli alla loro divina sorgente. Questi valori infatti, in quanto procedono dall’ingegno umano che all’uomo è stato dato da Dio, sono in sé ottimi ma per effetto della corruzione del cuore umano non raramente vengono distorti dall’ordine richiesto, per cui hanno bisogno di essere purificati. (Gaudium et Spes 11)
Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. (Gaudium et Spes 13)
Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. … Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. (Gaudium et Spes 16)
Perciò la Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque. Questo movimento tuttavia deve essere impregnato dallo spirito del Vangelo e dev’essere protetto contro ogni specie di falsa autonomia. Siamo, infatti, esposti alla tentazione di pensare che i nostri diritti personali sono pienamente salvi solo quando veniamo sciolti da ogni norma di legge divina. Ma per questa strada la dignità della persona umana non si salva e va piuttosto perduta. (Gaudium et Spes, 41)
Il metodo dei Santi
Venendo poi alla schiera enorme dei Santi si farebbe difficoltà a trovare un santo – sia esso mistico o teologo o promotore della carità o missionario o pastore o monaca o padre o madre di famiglia – che non sia intervenuto coraggiosamente a richiamare alla gente del proprio tempo l’osservanza della legge di Dio e il giudizio che essa dava sui problemi più gravi discussi da tutti. Si pensi all’opera compiuta da Caterina da Siena, gigante della mistica, con tanti uomini politici del suon tempo per correggere le loro ingiustizie o i loro errori ; così per esempio si rivolge nientemeno che al Re di Francia per richiamarlo dal suo errato atteggiamento verso la libertà della Chiesa:
Parmi, secondo che io intendo, che cominciate a lassarvi guidare al consiglio dei tenebrosi; e voi sapete che se l’uno cieco guida l’altro, ambedue caggiono ne la fossa. Così diverrà a voi, se voi non ci ponete altro remedio che quello che io sento. Ònne grande ammirazione di vedere che uomo catolico, che voglia temere Dio e essere virile, si lassi guidare come fanciullo, e che non vegga come metta sé e altrui in tanta ruina quanta è di contaminare lo lume de la santissima fede, per consiglio e detto di coloro che noi vediamo essere membri del demonio e arbori corrotti […]. (Lettera 350 al Re di Francia)
Si pensi ancora agli interventi di Giovanni Bosco e di Antonio Rosmini durante i fatti del Risorgimento, o i richiami poderosi di Madre Teresa di Calcutta sulla questione dell’aborto e della contraccezione . Basti qui citare il breve e sorprendente discorso che fece nell’Aula Magna dell’Università di Oslo quando le venne consegnato il premio Nobel per la Pace nel 1979:
La pace oggi è minacciata dall’aborto, che è una guerra diretta, un’uccisione compiuta dalla stessa madre. Anche il bambino non ancora nato è nelle mani di Dio. L’aborto è il peggior male e il peggior distruttore della pace. Noi non ci saremmo se i nostri genitori non ci avessero voluto. I nostri bambini li abbiamo desiderati e li amiamo. Ma che ne è degli altri milioni? Molti si preoccupano dei bambini dell’India e dell’Africa, che muoiono di fame e malattie, ma milioni muoiono per espressa volontà delle madri. L’aborto distrugge la pace: se una madre può uccidere il proprio bambino, che cosa impedisce a me di uccidere voi e a voi di uccidere me? Niente. All’inizio dell'”Anno del bambino” ho chiesto: facciamo in modo che ogni bimbo possa nascere e che ogni non desiderato possa diventare desiderato. L’ Anno è alla fine: i bambini li abbiamo veramente desiderati? […] Se da qui partisse la gioia della salvezza per il bimbo non nato, se diventasse la fiaccola della pace nel mondo, allora il premio sarebbe il più bel dono del popolo norvegese. Che il signore vi benedica.
Conclusione: l’invito a tacere non ha nulla di cristiano
Insomma, a quale tradizione ecclesiale possa appellarsi la scelta odierna del silenzio di fronte alle massime iniquità da parte di molti settori del mondo cattolico è arduo a stabilirsi. Quando mai la Bibbia, i Padri della Chiesa, il Magistero, i Santi, hanno scelto di fare silenzio di fronte alle stragi degli innocenti perpetrate da qualsivoglia legge civile? Quando mai hanno detto “occupiamoci di altro”?
Forse la cosa più semplice è chiamare le cose con il loro nome: la scelta del silenzio è la scelta della paura, del compromesso con il mondo, della comodità della propria vita, del mantenimento dello status quo, dell’indifferenza verso chi soffre e chi muore, dell’asservimento al potere di turno, della sudditanza alle ideologie di moda. E’ il sale che perde il suo sapore e ad altro non serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Non c’è nessuna possibilità di trovare all’interno della grande storia della santità cristiana un invito a tacere lo sterminio degli innocenti: questo invito è una novità che non ha nessun sapore biblico, evangelico, patristico e magisteriale. Chi fosse caduto in questo errore se ne ravveda subito, prima che esso corrompa tutto quanto si sta facendo di bene altrove.