Tre anni fa, nel 2011, nacque anche in Italia un’ idea: scendere in strada; fare, come in tanti altri paesi, una marcia per la vita. Pur senza adeguata preparazione (pochissime persone a lavorarci e pochi giorni di tempo per promuovere l’evento), in un angolo sperduto del nord, senza collegamenti ferroviari, si radunarono circa 800 persone. Fu una camminata piacevole, entusiasmante, vicino al lago di Garda (dove allora risiedeva don Andrea Brugnoli, fondatore delle Sentinelle del mattino), sino all’abazia di Maguzzano (dove ci fu, ad accoglierci, uno stupito e contento Vittorio Messori: “quanti siete! Non avrei mai detto…”). Poi pranzo, tutti insieme, convegno e premiazione. Quel format vincente è rimasto uguale negli anni; solo che da Desenzano ci si è spostati nel cuore del paese, a Roma; solo che, per realizzare l’evento, si dedica un anno intero, da parte di un piccolo ma attivo gruppo di persone.
La marcia, sin dal principio, è nata nel segno della chiarezza e del dialogo, della necessità di dare un segnale pubblico, evidente a tutti, e di costruire una cultura della vita per troppi anni trascurata.
Cercherò di spiegare cosa intendo, analizzando nel dettaglio la frase appena scritta. “Nel segno della chiarezza”: per comprendere basti leggere gli slogan ideati proprio per Desenzano e per le due marce successive. Si dichiarava di voler:“affermare che la vita è un dono indisponibile, di Dio; condannare l’iniqua legge 194 che ha legalizzato l’uccisione sino ad oggi di 5 milioni di innocenti; invitare alla mobilitazione i cattolici e gli uomini di buona volontà”.
“Nel segno del dialogo”: dialogo, anzitutto, con il mondo pro life, diviso in tantissime sigle, caratterizzato dall’esistenza di gruppi più o meno grandi, e di gruppi piccoli, magari con sensibilità leggermente diverse. La marcia e il convegno ad essa annesso devono divenire, questo l’intento originario, la casa di tutti. Il luogo in cui ognuno può esprimere la sua specificità, attraverso per esempio una relazione al convegno, e tutti la loro unità di fondo, camminando tutti insieme sotto la stessa bandiera. Così negli anni, durante i convegni intimamente legati alla marcia stessa, hanno parlato persone appartenenti alle più svariate associazioni, come La quercia millenaria, Il dono, la Comunità Giovanni XXIII, Scienza & Vita ecc., e tutti hanno potuto trovare il loro spazio.
La seconda direzione del dialogo: verso tutti gli uomini, per utilizzare la preghiera del “Gloria in Exclesis”, “di buona volontà”. Gli ideatori ritennero infatti che fosse utile una marcia non contrassegnata in modo religioso, e aperta a tutti, cattolici e non cattolici, credenti e non credenti. In modo da ricordare che la difesa della vita, benché resa evidente e chiara solo grazie alla venuta di Cristo, è però di comprensione universale, perché appartiene al diritto naturale. Chiunque può rendersi conto, se il suo cuore è libero, aperto alla verità, che abortire è uccidere un altro uomo.
Chiarezza e dialogo, dunque, e “necessità di dare un segnale pubblico”: la fede e in generale l’idea di bene di cui si è portatori, devono uscire dalle sagrestie o dal segreto delle coscienze. Occorre testimoniare ciò che si crede, dire ad alta voce che il bene è per tutti, che la società intera è figlia delle scelte delle singole persone, e che ognuno contribuisce al bene o al male della comunità. C’è, nel gesto di scendere in strada, una grande forza: si annuncia pubblicamente che c’è chi non si rassegna alle leggi ingiuste, al dominio del più forte, a soffocare la voce di chi non ha voce. Marciare per dire che ogni creatura ha una dignità immensa, significa marciare non per un proprio “diritto”, per una propria rivendicazione, ma perché la società intera non perda di vista il senso del giusto e dell’ingiusto, il valore della vita, il senso del limite….
Nei tempi difficili, ma forse in ogni tempo, è opportuno che ci sia chi, con voce quasi profetica, annuncia il male che corrode la società; occorre che un sano e libero spirito critico sia esercitato verso i miti e gli inganni del tempo; ma ancora più necessario è che qualcuno accenda una luce, e mostri, nel buio, la possibilità di uscirne, di vivere altrimenti, di sperimentare il bene.
Marciare per la vita significa dire no all’aborto, e dire sì alla vita, ad un atteggiamento che provai, alla fine della II marcia nazionale, nel 2012, ad esprimere in questo modo: “Essere aperti alla vita, al figlio che arriva, programmato o meno, desiderato o meno, significa aprire il proprio cuore alla novità, ad una realtà che irrompe, al pianto ed al sorriso di un volto nuovo, unico irripetibile, amato da Dio sin dall’eternità, affidato a noi come ci è affidato ogni fratello. Significa dire sì alla possibilità straordinaria di ri-vedere il mondo con gli occhi trasparenti di un bambino; di rivederlo con occhi che sembrano ancora umidi di paradiso e di cielo. Significa, certo, notti insonni, fatica, impegno, in cui riconoscere il senso della propria esistenza, che è fatta per amore, e l’amore è servizio, dedizione, rinuncia. Quel figlio significa innocenza stretta tra le braccia, donata a noi, lo ripeto, affidata a noi, nella sua fragilità assoluta. Divenire padri e madri: si tratta di collaborare all’opera stessa del Creatore”.
Come manifesto della marcia si potrebbero anche usare le parole affidate dall’Arcivescovo Joseph E. Kurtz, presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, al suo blog, in occasione della Marcia per la Vita di Washington (D.C.) di gennaio. Scriveva: “-Marciamo in ricordo di chi è caduto per l’aborto. -Marciamo per i bambini senza voce, per difendere il loro diritto alla vita – soprattutto per coloro che, come mio fratello Georgie, sono nati con la sindrome di Down e le cui vite troppo spesso sono considerate indegne di vedere la luce del giorno. -Marciamo per le donne che avendo preso in considerazione l’aborto, attraverso il nostro interessamento per i loro bisogni, troveranno la forza di scegliere la vita. -Marciamo in solidarietà con le madri che stanno soffrendo nel post-aborto, lavorando verso il giorno in cui nessuna donna dovrà più soffrire come loro. -E marciamo in ringraziamento per le madri biologiche che, nonostante molte avversità, hanno dato ai loro figli il dono della vita ed una famiglia adottiva per farli crescere”.
La marcia deve essere un gesto forte, essenzialmente di amore: si testimonia che la vita è l’unica scelta che porti bene, felicità, gioia, ricompensa a tutti.
Concludo l’analisi della frase inziale, allorché parlavo di necessità di “costruire una cultura della vita per troppi anni trascurata”. Non basta infatti marciare; occorre anche dotare i pro life italiani delle armi necessarie per la battaglia, prima delle quali la conoscenza della verità. Perché mai come nel caso dell’aborto, il male viene fatto passare in nome del bene, in nome di presunti “principi umanitari” (la legalizzazione dell’aborto servirebbe per salvare le donne, per non far soffrire i bambini, per fermare l’aborto clandestino…). Di qui l’usanza di fare un agile libretto della marcia, stampato da Fede & Cultura, con testi scientifici e testimonianze, e un convegno, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, che ospita la I facoltà di bioetica al mondo. Il convegno è stato, in questi anni, un luogo di incontro, di studio, di progettazione, di formazione, oltre che la carta di identità della marcia stessa: la presenza di personalità come il cardinal Caffarra e mons. Crepaldi, di pro life storici come Pino Noia, Antonio Oriente, Renzo Puccetti, Serena Taccari, Enrico Masini, Costanza Miriano e tanti altri che non ho lo spazio per nominare, ha reso a tutti comprensibile la direzione e la serietà del più grande evento pro life italiano e forse europeo. Anche quest’anno, il convegno, vedrà la presenza di tantissime personalità che ammiriamo per il loro coraggio, il loro impegno, la loro testimonianza. Personalità che, incontrandosi tra loro e con i militanti pro life, rafforzano legami, amicizie, relazioni, importantissime per il lavoro che si svolgerà, nelle singole città e paesi, durante l’anno; personalità pronte a trasformare marcia e convegno anche in eventi pedagogici, non solo per persone già “convinte”, ma anche per chi sia alla ricerca di comprendere meglio la verità sulle questioni della vita.
da Il Timone, aprile 2014