Considerazioni sull’Ucraina

 

C’è una verità scomoda  che si dovrebbe avere  l’onestà intellettuale di ammettere: il singolare concetto di democrazia dei governi e dei mass-media occidentali.  L’Ucraina, dopo numerosi altri casi  (recente quello dell’Egitto, dove regna una Giunta militare) ne costituisce l’ultimo esempio. Il governo di Viktor Janukovych (non necessariamente una brava persona, ma questa è un altro discorso, perfettamente applicabile anche alla cosiddetta “pasionaria” Julia Tymoschenko e a molti suoi amici) era uscito da elezioni  riconosciute regolari da tutti gli osservatori internazionali inviati sul posto, ed è stato abbattuto  da violenti e ben poco democratici moti di piazza, che oltre tutto hanno interessato non l’intero paese, ma la capitale Kiev e alcune città delle province occidentali.

   E’ vero  che mentre Janukovych per salvare la pelle (perché di questo si tratta) ha abbandonato la capitale per rifugiarsi in Russia, il parlamento e la magistratura (che si è precipitata ad  emettere nei suoi confronti un mandato di cattura internazionale) si sono affrettati ad adeguarsi alla volontà della piazza, ma col clima di violenza che si respirava a Kiev e che giungeva  attraverso gli schermi televisivi fin dentro le nostre case è ragionevole chiedersi quanto la paura del peggio abbia influito  su improvvise conversioni e fulminei adeguamenti.

   In ogni caso resta il fatto che il partito di Janukovych aveva vinto le elezioni, mentre  gli attuali  governanti, tanto cari a Stati Uniti, Francia, e Inghilterra (a quanto pare un po’ meno alla Germania) ritraggono la loro presunta legittimazione solo dalla forza della piazza.

   Tuttavia ammettiamo pure che vi siano circostanze nelle quali, inceppatisi  per qualche motivo i meccanismi democratici e trasformatosi  il capo del governo democraticamente eletto in tiranno (in realtà nessuno ha provato che  questa degenerazione si fosse realizzata in Ucraina, ma tant’è), divenga inevitabile proprio per salvare la democrazia  il ricorso alla piazza.  Accettato  il principio, questo va applicato a tutti e in ogni caso. Resta allora  da spiegare perché l’Occidente  consideri legittime e democratiche le sommosse e le violenze di Kiev e Leopoli e condanni invece quelle  della Crimea e delle province orientali.

   Ma, si dice, sono popolazioni “russofone” (che nel gergo televisivo  viene ormai utilizzato come una sorta  di termine dispregiativo, più o meno come quello di ”talebano”), colpevoli, oltre che di parlare russo, di invocare l’intervento di una potenza straniera, appunto la Russia di Putin.  E’ vero, ma altrettanto fanno i patrioti nazionalisti di Kiev, che, appena preso il potere, si sono precipitati a chiedere a Europa e Stati Uniti un soccorso finanziario  di proporzioni immani senza il quale non possono sopravvivere un mese e che, se verrà concesso,  consegnerà la nazione ucraina legata mani e piedi  alla cosiddetta “troika europea” e al  Fondo monetario internazionale.

   La si pensi come si vuole, ma si abbia  la decenza di non contrabbandare sotto i nomi  della libertà dei popoli e della democrazia manovre e scontri per la supremazia   fra Potenze che muovono le loro più o meno consapevoli pedine sullo scacchiere della geo-politica mondiale.

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