Un’ anno fa le “dimissioni” più famose al mondo, quelle di Papa Benedetto XVI. Su quel gesto così fuori dall’ordinario si sono sprecate le speculazioni; certamente a noi è dato di vivere un momento particolare nella storia della Chiesa Cattolica. Al di là di quell’ “ingravescente aetate” che motivò la rinuncia, e accanto a momenti indimenticabili, bisogna riconoscere – senza per questo essere più “ratzingeriani” di Ratzinger – che tante nubi grigie hanno affollato il cielo del pontificato di Benedetto XVI. Fin da subito.
Nel settembre 2005, infatti, poco dopo l’elezione al soglio di Pietro, sulla rivista Limes qualcuno spifferò al vaticanista Lucio Brunelli i presunti segreti del conclave che aveva portato all’elezione del “panzer kardinal”.
Secondo quanto riporta Nicolas Diat nel suo libro “L’homme qui ne voulait pas être pape – histoire secrète d’un règne (Albin Michel editore)”, appena pubblicato in Francia, per “molte eminenze l’ambizione di questa pubblicazione era di rendere fragile l’azione di Benedetto XVI e di deprezzare l’ampiezza del suo successo”. Il buon giorno si vede dal mattino. Recentemente ne ha parlato anche Antonio Socci in un interessante articolo dal titolo emblematico “Chi ha spinto Papa Benedetto a mollare e perché”.
Chi, e come, passò questo sedicente “Diario” del conclave al giornalista del Tg2 è difficile dirlo, alcune chiacchere anonime, presenti anche nel libro “Confession d’un cardinal” di Oliver Le Gendre (Piemme, 2009), rimanderebbero ad un azione orchestrata dal Card. Achille Silvestrini che all’epoca del conclave aveva 81 anni, ma ancora con una grande influenza tra gli elettori. Il libro di Diat in un certo senso conferma.
Nel conclave 2005 sembra chiaro che vi fu un testa a testa tra il Card. Ratzinger e il Card. Bergoglio, nell’ambito di una contrapposizione tra un gruppo più numeroso di cardinali che sosteneva la candidatura Ratzinger, e un altro, numericamente più ridotto, di stampo liberal che era contrario. Quest’ultimo gruppo piano, piano avrebbe fatto convergere i voti sul Card. Bergoglio, il quale non era però facilmente classificabile da una parte o dall’altra.
Secondo la ricostruzione di Diat il Card. Silvestrini sarebbe stato il maitre a penser di questo gruppo liberal che si contrapponeva alla candidatura Ratzinger. Ma poi fu proprio il Cardinale di Buenos Aires a mettere tutti d’accordo chiedendo a chi lo votava di smettere di farlo. Una curiosità emerge anche dal libro di un altro vaticanista, Gianluca Barile “Diario di un papista” (Ed. Segno), in cui il Card. Francesco Marchisano, amico dell’attuale Papa Francesco, fa una piccola indiscrezione. Marchisano ha chiesto a Bergoglio quale nome avrebbe assunto se fosse stato eletto al conclave del 2005 ricevendo questa risposta: “Giovanni, mi sarei chiamato Giovanni, come il Papa Buono, mi sarei ispirato completamente a lui”. Nel conclave 2013 la sua scelta, come tutti sappiamo, sarà però diversa.
Un anonimo cardinale latino-americano che parla con Nicolas Diat dice: “la sera dell’elezione [di Papa Benedetto XVI, NdA] ho incrociato il Card. Silvestrini nei pressi di S.Pietro. Era un uomo abbattuto. Portava in lui una collera sorda. (…) Pensava che Ratzinger non sarebbe stato che un pontefice di transizione. Io compresi che non avrebbe mai accettato questa elezione. Per lui, e per altri prelati, Benedetto XVI era la negazione della battaglia riformista, l’antitesti delle lotte della loro vita”.
Nel 2009, sulla rivista francese L’Homme nouveau, compariva un interessante studio dell’Abbè Barthe, titolo: “L’opposizione romana al Papa”. In Francia era stato da poco pubblicato il libro di Oliver Le Gendre con le confessioni del cardinale anonimo. Anche l’Abbè Barthe parlava del Card. Silvestrini come possibile orchestratore della spifferata al giornale italiano Limes e, più in generale, del gruppo di cardinali liberal che si contrapponevano a Benedetto XVI.
“Immediatamente dopo il conclave – scriveva l’Abbè Barthe – l’inossidabile cardinal Silvestrini aveva con urgenza tentato di rianimare le energie deluse facendo pubblicare su una piccola rivista di un’opera educativa da lui patrocinata, la “Villa Nazareth”, la foto d’una riunione “segreta” che avevano tenuto, prima dell’elezione, otto cardinali anti-Ratzinger : egli stesso, Danneels, arcivescovo di Malines-Bruxelles, che aveva altresì rifiutato il tradizionale invito del nuovo Papa a condividere il tavolo all’indomani del conclave, Backis, arcivescovo di Vilnius, Kasper, Lehmann, arcivescovo di Magonza, oggi molto malato, Martini, l’inglese Murphy-O’Connor, arcivescovo di Westminster, e il francese Tauran, allora incaricato della Biblioteca vaticana, di cui nessuno, a cominciare da lui stesso, sapeva cosa ci faceva in quel posto.”
E’ difficile giudicare tutte queste congetture e queste considerazioni che si basano molto spesso su dichiarazioni rilasciate dietro l’anonimato, di certo si può affermare come fa Antonio Socci che “nel postconcilio [Ratzinger] diventerà il nemico di tutti coloro che pretendevano di usare il Vaticano II per spazzar via la Chiesa di sempre e costruirne una prona al mondo e alle ideologie: da Rahner ad Hans Kung, fino a Martini che – come cardinale – si è opposto frontalmente a Ratzinger e a papa Wojtyla.”
A proposito del Card. Martini l’Abbè Barthe, nel suo studio del 2009, registrava che i propositi dell’anonimo cardinale raccolti da Olivier Le Gendre avevano una sostanziale identità con il programma che il defunto Arcivescovo di Milano “aveva steso alla fine del Sinodo dei vescovi d’Europa del 1999. Questi i “nodi” che, secondo il Card. Martini, la Chiesa doveva sciogliere nel nuovo millennio:
– la «carenza drammatica di ministri ordinati»: non potrà essere risolta se non con l’ordinazione di uomini sposati;
– il posto delle donne nella Chiesa: si dovrà giungere all’accesso alle donne, almeno, per iniziare, alle soglie del presbiteriato ;
– i problemi afferenti la «sessualità»: si dovrà fare appello ai diritti della coscienza individuale per superare l’effetto catastrofico per l’immagine che ne è derivata alla Chiesa a causa dell’Humanæ vitæ;
– la «disciplina del matrimonio» : dovrà essere riesaminata onde permettere l’accesso dei divorziati «risposati» all’Eucarestia ;
– «l’esperienza ecumenica» dovrà essere rivitalizzata”.
Per tornare al libro di Nicolas Diat, appena pubblicato in Francia, ad un certo punto l’autore si chiede: Papa Francesco nell’esortare la Chiesa ad uscire da sé stessa è più vicino a Benedetto XVI o al Card. Martini? “Incontestabilmente – afferma Diat – Francesco si situa vicino a Josef Ratzinger. Perché, contrariamente all’antico Arcivescovo di Milano, non vuole cambiare i fondamenti della Chiesa, la sua identità, ma i suoi strumenti di lavoro”.
Il prossimo Sinodo dei Vescovi sul tema della famiglia sarà sicuramente una grande occasione per capire dove Papa Francesco guiderà la Chiesa, visto che non mancano spinte molto forti non solo per cambiare “gli strumenti di lavoro”, ma anche per cambiare i fondamenti. Questo almeno sta emergendo dalle risposte al famigerato “questionario” inviato nel mondo dal Vaticano proprio in vista del Sinodo.