Mentre il commissariamento della congregazione dei Francescani dell’Immacolata prosegue, sollevando molte perplessità nei modi in cui viene condotto, potrebbe essere utile riflettere su alcuni numeri. Anche pensando alle strategie che la Cattolica intende mettere in campo per dare slancio a quell’opera di nuova evangelizzazione di cui si parla ormai da tre pontificati.
E’ facilmente riscontrabile anche ai non addetti ai lavori – basta sfogliare gli Annuari pontifici degli ultimi cinquant’anni – che il calo vocazionale nella Chiesa Cattolica è un problema aperto e grave. Si sprecano le analisi per tentare di comprendere le ragioni di questa ecatombe, ma il trend non si è ancora risolto.
Per quanto riguarda i religiosi spicca per mole di dati il lavoro del claretiano P. Angel Pardilla, pubblicato nel 2005 dalla Libreria Editrice Vaticana, dove si evidenzia chiaramente il terribile calo numerico di vocazioni che i vari ordini religiosi hanno subito dal 1965 al 2005 (vedi tabella in apertura).
In questo periodo di tempo, gesuiti, frati minori, cappuccini, domenicani e salesiani, le principali famiglie religiose della Cattolica, hanno subito perdite numeriche da brivido: 45% i figli di S.Ignazio di Loyola, 41% i frati minori (OFM), 40% i domenicani, 30% i capuccini e 25% i salesiani. Complessivamente tutti gli ordini religiosi, dal 1965 al 2005, hanno perso qualcosa come la terza parte dei loro membri e le società di vita apostolica circa il 29%. Qua e là qualcuno è andato in controtendenza, ma il dato generale non lascia spazio ad alcuna considerazione ottimistica, anzi.
La giovane congregazione dei Francescani dell’Immacolata, riconosciuta di diritto pontificio nel 1998 e commissariata dall’estate 2013, pur essendo numericamente piccola (in totale circa 350 frati), cresce a ritmi considerevoli e nel periodo 2008-2012 ha fatto un salto di tutto rispetto. Registriamo, come semplice dato di fatto, che questa performance cade dopo la scelta del Consiglio Generale della congregazione di dare piena attuazione al Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI in merito all’estensione del cosiddetto vetus ordo missae. Un caso? Può darsi, ma prima di procedere a bollare tutto come “deriva tradizionalista” sarebbe bene riflettere.
Negli “Orientamenti generali del capitolo del 2008” P. Stefano Manelli, l’anziano e malato fondatore oggi confinato in un convento, raccomandava ai frati “di conoscere e di far conoscere, sempre meglio, il patrimonio preziosissimo del Vetus Ordo.” Il commissario P. Volpi, invece, si dice “certo che P. Manelli ha imposto la Messa in latino come unica forma di celebrazione ammessa nei seminari e nei noviziati”. Molti sostengono che queste certezze del commissario siano poco fondate e, comunque, la motivazione di “deriva tradizionalista” appare piuttosto debole rispetto alla durezza dei provvedimenti recentemente assunti: chiusura del seminario, blocco per un anno delle ordinazioni diaconali e sacerdotali, arresto di tutte le attività dei laici vicini alla congregazione. Ma anche se tutte le convinzioni del commissario fossero reali resta comunque da riflettere sui numeri.
Dal 31/12/2007 al 31/12/2012, dopo il consiglio generale del 2008 che raccomandava il Vetus Ordo ai sensi del Summorum Pontificum, il numero totale di frati è passato da 305 a 384, + 26%, mentre nei cinque anni precedenti la crescita era stata del 13%. Un salto del doppio. In Italia il numero di studenti professi al 31/12/2012 era pari a 59, mentre 30 erano i postulanti aspiranti, numeri importanti nel panorama vocazionale italiano.
Scorrendo l’Annuario pontificio del 2012 si può facilmente constatare che per quanto riguarda alcune gloriose diocesi italiane i seminari presentano numeri decisamente scarsi: 15 seminaristi a Bologna, 25 a Firenze, 21 a Venezia, 30 a Torino, 12 a Genova. Ma anche Milano non se la passa meglio: se nel 1965 registrava 673 seminaristi, oggi, 2012, ne registra 147; Bruxelles aveva 150 seminaristi, oggi 10; Parigi 391, oggi 55. Si deve poi aggiungere che il dato 2012 delle diocesi, rispetto a quello del 1965, probabilmente è spurio e forse maschera una situazione ancor più negativa di quel che sembra. La tendenza di fondo è incontrovertibile. Almeno in Europa, e più in generale in Occidente (nella diocesi di New York nel 2012 ci sono 27 seminaristi, a Ottawa 9), la situazione è di profonda crisi vocazionale.
E’ di questi giorni la notizia dei vescovi olandesi in visita ad limina apostolorum che hanno confidato al Papa di chiudere chiese al ritmo di una, due a settimana. Fra dodici anni in Olanda i due terzi delle chiese cattoliche saranno chiuse o vendute. “La fede cattolica, la cultura, il suo patrimonio e la sua eredità – ha scritto un gruppo di laici olandesi – sono ora in pericolo di essere persi per sempre”. Anche il recente intervento del Card. Schonborn a Milano, sulla situazione critica della chiesa in Austria, è tutto un programma.
Mentre si chiudono chiese e conventi i Francescani dell’Immacolata, attivi nei cinque continenti, vanno (andavano) in controtendenza: tra il 2008 e il 2012 hanno aperto 16 case.
Se l’albero si deve valutare dai frutti vien da chiedersi, come ha fatto qualche giorno fa Marco Tosatti sulla Stampa: che cosa hanno fatto di male questi frati? Perché, dopo appena cinque mesi di commissariamento, si arriva a chiudere un seminario che pareva dare buoni risultati?
Il commissariamento dei frati, al di là di tutte le questioni in ballo, sembra davvero l’ennesima occasione persa dalla Chiesa per riflettere su problemi oggettivi e sulle possibili soluzioni. Se un albero dà frutto lo si pota con arte perché porti ancora più frutto, tagliarlo alla radice significa fare legna da ardere.