di Claudio Circelli
L’ultima lettera del Reverendo Padre Volpi è ribalzata in rete su alcuni siti. Tra le nuove sanzioni c’è una disposizione indirizzata ad ogni religioso, in cui si chiede di “… manifestare per iscritto la volontà di continuare il proprio cammino nell’Istituto dei Francescani dell’Immacolata,… secondo le direttive sulla vita religiosa contenute nei documenti del Concilio Vaticano II”. Questa e le altre disposizioni finali sono precedute da un’ampia premessa, con molti aspetti discutibili. In particolare vorrei indicarne uno di particolare effetto mediatico, in quanto, se non chiarito, può facilmente generare confusione. Si tratta di un argomento che, a mia modesto avviso, colpisce in pieno l’immaginario collettivo.
Il reverendo padre Volpi scrive di ritenere “estremamente grave … il trasferimento delle disponibilità dei beni mobili e immobili dell’Istituto, a fedeli laici, noti figli spirituali e familiari del Fondatore P. Stefano M. Manelli, nonché ad alcuni genitori di suore.”
Siccome viviamo nella società del sospetto, facilmente queste affermazioni potrebbero far pensare a chissà quale vantaggio abbiano ricavato i laici in seguito al trasferimento della disponibilità dei beni. Il sospetto raddoppia se i laici sono anche familiari. In realtà se abbiamo deciso di assumerci quest’impegno extra, oltre il tempo che ciascuno già dedica al proprio lavoro, se sopportiamo fatica e ci spostiamo da un luogo all’altro senza voler percepire un solo euro a titolo di rimborso spese, è perché ci ha conquistato il rigore con cui questi frati, ben guidati dall’autentico carisma del Padre Fondatore, cercano di vivere la fedeltà alla Regola francescana che è poi fedeltà al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. I beni delle Associazioni, voglio ricordarlo, non possono essere goduti a titolo personale, sono gestiti solo in funzione delle necessità dell’Istituto, come facevano gli amici spirituali con i frati, al tempo di San Francesco.
Premesso ciò e nella speranza che padre Fidenzio Volpi non trasformi una legittima critica al suo operato, in un attentato alla Chiesa o addirittura in un crimine contro il Santo Padre, vorrei capire che idea di vita religiosa ha il Commissario, vorrei comprendere se i religiosi, dunque la Chiesa che essi rappresentano, debbano possedere dei beni mobili e immobili, oppure, sull’esempio di Papa Francesco, amare e ricercare solo Madonna povertà. Se a volte quando si parla delle ricchezze della Chiesa la si biasima, perché la si accusa anche quando si sforza di vivere in povertà? Come dev’essere la Chiesa, infine, ricca o povera? Ce lo dice proprio il Concilio Vaticano II che il Commissario richiama a proposito della sottomissione ad esso dei francescani dell’Immacolata. Il Concilio auspicava un ritorno alle fonti della vita religiosa e nel nostro caso le fonti sono la Regola di San Francesco, la fonte per eccellenza che può illuminare le menti e fornire la risposta che cerchiamo. Nel brevissimo capitolo IV della Regola, il Santo usa termini forti che obbligano i frati al rispetto della povertà sia comunitaria che personale. Per le necessità ordinarie, il poverello d’Assisi vuole che i frati si rivolgano agli amici spirituali, oggi diremmo i laici, coloro che gestiscono i beni per sopperire le necessità dei frati. Ne deriva per i religiosi l’obbligo di non possedere nulla.
Purtroppo oggi la Regola di San Francesco non è più applicata e, paradosso dei paradossi, si ritiene estremamente grave che un Ordine religioso decida di applicarla con rigore. La povertà di San Francesco è la povertà di Gesù, è la povertà che arricchisce il cuore e attira i giovani alla vita religiosa.
Il desiderio di essere poveri, però, non può concretizzarsi senza il trasferimento dei beni, trasferimento considerato dal Reverendo padre Fidenzio illecito “sotto il profilo morale e canonico, con risvolti anche in ambito civile e penale”. Meno male che in caso di giudizio universale abbiamo ancora qualche chance per l’assoluzione.
Claudio Circelli, laico, presidente Associazione Casa Mariana editrice