Nella Bibbia il simbolo della spada è molto importante. Il primo significato, naturalmente il più ovvio ed immediato, è quello di essere un’arma per uccidere. Può essere un’arma divina, e allora simboleggia il castigo dei peccatori; o può riferirsi all’uomo, ed allora fa riferimento ad un uccidere che può essere lecito e doveroso, oppure illecito e criminoso.
Dio però propriamente non uccide nessuno, essendo il Dio della Vita e di infinita bontà. Però è anche un Dio giusto, per cui la spada del divino castigo è un modo di dire per significare che è il peccatore stesso che col suo peccato si tira addosso la sventura.
Dio inoltre, essendo immortale, non può essere ucciso, se non nella mente dell’ateo, come diceva il Beato Giovanni Paolo II. Invece l’uomo può uccidere ed essere ucciso, ingiustamente o giustamente. Per l’uomo, dunque, il problema dell’uso della spada è più complesso.
La spada può avere un significato metaforico e riferirsi allora alla potenza della parola divina: “la parola di Dio è più tagliente di una spada a doppio taglio” (Eb 4, 12) o umana, e allora, questa parola tagliente può essere benefica perché utilizza la parola di Dio: “Prendete la spada dello Spirito” (Ef 6,17), “ha reso la mia bocca come spada affilata” (Is 49,2) oppure essa può ferire o uccidere, secondo il proverbio “ne uccide più la lingua che la spada”: “le sue parole sono spade sguainate” (Sal 55,22; cf anche 57,5; 59,8; 64,4); “chi parla senza riflettere trafigge come una spada” (Pr 12,18). La parola stessa di Cristo è una spada affilata: “Dalla bocca gli usciva una spada affilata” (Ap 1,16); “combatterò contro di loro con la spada della mia bocca” (2, 16).
Nell’era della pace messianica le spade spariranno: “forgeranno le spade in vomeri” (Is 2,4). Ma finchè nella storia ci saranno le conseguenze del peccato originale e agiranno forze contrarie alla verità e al bene, la spada si rende necessaria per vincerle.
E’ un ingenuo e pericoloso buonismo che alla fine dà spazio ai prepotenti, quello che ritiene possibile eliminare in questa vita tutte le guerre e ritiene ingenuamente che tutte le controversie e i conflitti possono esser risolti solo col dialogo. Se un lupo mi salta addosso, sarà difficile convincerlo a desistere. Non tutti hanno il carisma di S.Francesco. Il che vuol dire che ordinariamente, se c’è un motivo sufficiente, occorre difendersi anche con la forza, anche se ciò ovviamente non giustifica l’odio, la violenza, la vendetta o la rappresaglia.
E’ chiaro che occorre fare ogni sforzo per favorire e perfezionare un dialogo onesto e leale, ma il pensare che tutto possa risolversi col dialogo è un’utopia pericolosa più volte confutata dalla storia. Anche con Hitler si pensava di poter dialogare, eppure è finita come è finita.
Occorre invece la spada della parola per smascherare le ingiustizie e le imposture, per confutare le eresie, per ingannare un nemico pericoloso, per far valere il proprio diritto, per rimproverare i facinorosi, per minacciare i prepotenti e i superbi – “parcere subiectis et debellare superbos”, come disse Virgilio della potenza di Roma -, per svergognare le facce di bronzo, per controbattere alle ingiuste accuse, per mettere con le spalle al muro i delinquenti, per rivelare e sventare i piani criminosi, per far tacere i bestemmiatori. “A chi mi insulta, dice il Salmo (119,42), darò una riposta”.
Come sappiamo bene dalla Scrittura, la parola profetica può essere severa e minacciare i castighi divini, che ora avvengono se il peccatore non si pente (cf Ezechiele, Geremia), mentre vengono ritirati in caso di resipiscenza (cf Giona). Il profeta facilmente è oggetto di invidia (“nemo propheta in patria”) e si attira l’odio dei malvagi, ma non ne tiene conto pur di obbedire alla missione divina e per il bene stesso di coloro contro i quali lancia le sue invettive.
Queste, infatti, in casi di estrema gravità e per intimidire i peccatori, non sono proibite. Il peccatore che non si converte davanti al rimprovero mostra un orgoglio che lo conduce alla rovina. Sappiamo come Cristo stesso lancia ai capi l’accusa di essere una “razza di vipere”, “serpenti” e “sepolcri imbiancati”. La Bibbia, soprattutto l’Apocalisse, non esita a paragonare i peccatori e gli empi a bestie feroci e mostruose.
Ma la Bibbia, Parola di Dio, non odia nessuno, per cui possiamo pensare che anche queste espressioni severe sorgano dal cuore divino desideroso della salvezza dell’uomo. Chi usa in tal modo, per giusta causa, la spada della parola, non fa peccato, ma al contrario scuote le coscienze, fa opera di giustizia e si rende strumento dell’ira divina, che non è mai dissociata dall’amore.
Occorrono altresì nella vita presente, nella quale occorre contrastare forze malvagie e addirittura diaboliche, atti di forza, a volte scaltri (la “volpe”), a volte poderosi (il “leone”) per liberare il debole dall’oppressione del prepotente. Occorre, all’occasione, difendersi da un ingiusto aggressore, neutralizzare un attacco nemico. Una guerra di difesa o di liberazione è una guerra giusta. S.Tommaso dedica un articolo della Summa Theologiae ad elogiare il valor militare. Certo siamo nel medioevo, ma questo va bene per l’oggi, solo che ci ripassiamo quanto insegna il Concilio Vaticano II.
Condannabile invece è la parola che ferisce o per invidia, o per gelosia o per vendetta o per disprezzo o per orgoglio o per qualche altro riprovevole motivo, come l’insulto, la calunnia, l’ingiuria, lo scherno, la denigrazione, la diffamazione, la mormorazione. Qui vale il proverbio “chi di spada ferisce, di spada perisce”, salvo naturalmente che si ponga riparo al mal fatto. A questo punto ci dice S.Agostino, “rimedia con la tua lingua al danno che con quella lingua hai arrecato al tuo prossimo”. Abbominevole è la diffamazione di una persona onesta, che magari ci rimprovera le nostre malefatte, procurandole ingiusti castighi.
La spada della parola per colpire va usata raramente, con grande prudenza, per gravi motivi, e sempre sulla base della giustizia e della carità, imitando l’esempio di Cristo, dei profeti e dei santi. Gesù si presenta come modello di mitezza e di pazienza e in molte occasioni la Bibbia raccomanda una parola di misericordia, di rispetto, di dolcezza, di garbo, di bontà, di conciliazione, di benevolenza, di ammirazione e di lode per chi fa bene ed è di buon esempio.
La Bibbia inculca grande cautela prima di esprimere un giudizio negativo, mentre raccomanda la diffusione della buona fama degli onesti e dei santi: scusare il più possibile, e se il peccato è evidente, far uso di tutte quelle parole di carità e di prudenza che possono servire a richiamare e correggere il peccatore. Questo è stretto dovere del pastore, del superiore e della guida delle anime.
Invocare il castigo divino o lanciare una maledizione per giustificati e gravi motivi in linea di principio non è proibito dalla Bibbia, soprattutto nell’Antico Testamento. Tuttavia Cristo rimanda la vendetta divina all’ “Ultimo Giorno”, ossia a quello del giudizio universale e comunque nell’al di là (per esempio la parabola del ricco epulone), senza diffidare dei compiti della giustizia umana (questo emerge soprattutto in S.Paolo).
Gesù invece respinge il tentativo di instaurare in questa vita il regno di Dio con la forza, come emerge chiaramente da due episodi: quello del rifiuto dei Samaritani di accoglierlo durante il suo viaggio a Gerusalemme, allorché impedisce a Giacomo e Giovanni di invocare su di loro il fuoco dal cielo (Lc 9, 51-56).
Il secondo episodio è il tentativo di Pietro di difendere il Signore con una spada nel momento drammatico dell’arresto. Gesù risponde con le seguenti parole: “Rimetti la tua spada nel fodero, perché tutti quelli che daranno mano alla spada, di spada periranno” (Mt 26, 52). Il fatto deve avere talmente colpito gli astanti, che è riportato da tutti e quattro gli evangelisti.
Queste parole di Cristo tuttavia vanno accuratamente interpretate. Innanzitutto non sono da intendere come condanna assoluta di qualunque uso della spada o, fuori di metafora, della parola severa o di condanna, tanto che Gesù stesso, Re di pace e mite Agnello, arriva ad affermare di non essere venuto a portare pace, ma “una spada” (Mt 10,34), evidentemente contro il male.
In secondo luogo, come risulta da quanto Gesù dice subito dopo, Egli rifiuta di essere difeso con la forza, non perché il Vangelo respinga qualunque ricorso alla forza, per esempio per legittima difesa o per far trionfare un ideale di giustizia (“pensi tu che io non possa pregare il Padre mio che potrebbe inviarmi subito una legione di angeli?”). Il motivo chiaramente espresso da Cristo è la necessità che si adempiano le Scritture, le quali hanno stabilito e previsto il suo sacrificio.
In terzo luogo Cristo, vuol far capire ancora una volta all’irruente Pietro che il Regno per adesso non giunge con una specie di rivoluzione di stile marxista, ma appunto con l’offerta del sacrificio della croce, nella pazienza e nella mitezza, certo nell’attesa del “Giorno del Signore”, ossia la Parusia, nella quale sarà fatta piena giustizia di tutte le malefatte degli empi e dei malvagi da parte di quel Giudice apocalittico, dalla bocca del quale esce “una spada affilata”(Ap 1,16) e che combatterà contro i nemici con la spada della sua bocca (cf Ap 2,16).
Il significato del suddetto episodio delle parole di Gesù a Pietro dunque, non va esteso al di là di questi limiti, pure molto importante. Farne una regola universale ed assoluta sarebbe prendere una posizione falsa ed unilaterale che dimentica l’altro essenziale aspetto della questione, ossia la possibilità e a volte il dovere, soprattutto da parte dei pastori e delle autorità dottrinali o pastorali (vescovi, sacerdoti, teologi, insegnanti, educatori e genitori), di usare la spada della parola con carità, avvedutezza e prudenza, ma anche decisone, coraggio ed energia, per l’allontanamento delle tenebre e la diffusione della luce, per la vittoria della giustizia e del bene sul peccato e sulla morte.
Ecco dunque il senso dell’esortazione di S.Paolo: “rivestitevi di tutta l’armatura di Dio, affinchè possiate resistere alle insidie del diavolo. Non abbiamo infatti da lottare contro la carne e il sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti maligni dell’aria. Per questo, prendete tutta l’armatura di Dio, affinchè possiate resistere nel giorno cattivo, e preparati a tutto sopportare. Siano dunque i vostri lombi rivestiti della corazza della giustizia, calzati piedi in ordine al Vangelo di pace. Soprattutto prendete in mano lo scudo della fede, con il quale possiate estinguere tutti gli infuocati dardi del maligno. Pendete l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito che è la Parola di Dio con ogni sorta di preghiere e di suppliche pregando in continuazione” (Ef 6 11-18)
Una questione particolarmente delicata concernente la spada spirituale della parola è quella di come affrontare il problema dell’eresia. Infatti la repressione dell’eresia assomiglia ad una delicata operazione chirurgica: il predicatore, il teologo, il pastore devono avere l’abilità innanzitutto di fare una diagnosi certa e chiara del male, un po’ come si fa nel caso dei tumori: sapere dove e come intervenire, circoscrivere esattamente il tumore ed asportarlo senza danneggiare il malato, anzi proprio al fine di guarirlo.
Dobbiamo ricordare che l’eresia, per quanto possa essere l’effetto o il segno di un peccato mortale, è una malattia dello spirito, dalla quale è possibile guarire, così come si recupera la grazia pentendosi del peccato commesso, a differenza di un tumore maligno, che, se non operato in tempo, conduce inesorabilmente alla morte.
L’eresia è paragonata dall’eresiologia classica ad una specie di malattia infettiva (la “peste ereticale”) o a un cibo sofisticato. Il medico deve saper trovare un vaccino o un farmaco per bloccarne la diffusione.
Questa operazione può farla in base alla sua preparazione scientifica ed una buona conoscenza del malato da curare. Alcuni spiriti troppo zelanti e forse un po’ ipocriti sostengono che nel caso dell’eresia, per fare una diagnosi sicura ed avviare la cura, occorre aspettare il parere delle autorità romane.
Questa idea è così saggia come quella di quel medico che davanti ad un malato che è tenuto o qualificato a curare, per essere più sicuro della cura, chiedesse istruzioni a Roma al Ministero della sanità. Evidentemente non è necessario, E’ ovvio che il medico dev’essere competente, spassionato, e non dev’essere precipitoso o negligente nel fare la diagnosi. Ma in fin dei conti, se si trova in difficoltà per un caso ordinario, gli converrebbe andare a fare un altro mestiere.
Così pure il diffondersi dell’eresia potrebbe esser paragonato al diffondersi di un incendio in un bosco. Certo è giudizioso ed anche forse necessario chiamare subito la guardia forestale, ma in fin dei conti, se c’è già qualcuno di buona volontà e capace, perché non dovrebbe cominciare a darsi da fare lui, prima che le cose si aggravino? I pompieri lo ringrazieranno e gli abitanti del luogo lo loderanno.
Così è per l’eresia, anche se il paragone con l’incendio non regge del tutto perché bisogna essere un demente per non allarmarsi di un incendio, mentre certe eresie fascinose, soprattutto se di successo, sono insidiose e non appaiono con chiarezza nella loro insidiosità. Chiunque capisce che se si è spappolato una mano è nei guai, ma è difficile rendersi conto di una male nascosto, rilevabile solo dallo specialista dopo accurate analisi e che magari non procura dolori.
Se poi l’eretico non diffonde un errore del tutto nuovo, ma riprende eresie già condannate, certo può esser comunque saggio rivolgersi alla CDF, ma questa, trattandosi di un caso in fondo già noto, potrebbe anche archiviare ed astenersi dall’intervenire. Ciò evidentemente non significherebbe dar ragione all’eretico, cosa impensabile, ma ritenere che le autorità locali siano già sufficienti per risolvere il problema.
Il ricorso alla CDF, nel caso esistano già prove sufficienti nelle mani dei ricorrenti a carico dell’interessato, non sarà motivato necessariamente da una richiesta di chiarimento, né tanto meno di un processo penale, ma può avere per scopo quello di chiedere alla CDF come procedere per aiutare l’eretico a ravvedersi. Dopo la riforma del Concilio Vaticano II la CDF non ha solo un compito repressivo e correttivo, ma anche rieducativo e promozionale.
In conclusione: bando alla spada che ferisce, che calunnia e che fomenta la violenza o la vendetta. Viva la spada dello Spirito, che sorgendo dalla fede e dalla carità, brandita con prudenza per amore dell’errante ed odio per l’errore, diffonde la luce, incoraggia al bene, allontana le tenebre, mette pace e concordia tra i cuori innamorati di Cristo.