Disputa sul papa

di Riccardo Cascioli

«Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura». Queste parole pronunciate da Benedetto XVI nell’ultima udienza del mercoledì il 13 febbraio 2013, per dare ragione anche delle sue dimissioni, sono state poi citate il 15 marzo da papa Francesco nell’omelia della messa con i cardinali dopo la sua elezione a Pontefice.

«E’ Cristo che guida la Chiesa» è però la certezza che sembra proprio mancare nella disputa che da mesi va avanti sull’interpretazione che si dà di papa Francesco da due fronti contrapposti: da una parte i progressisti, esultanti per aver trovato finalmente un “Martini” da cui ci si aspetta una rivoluzione (guarda caso, soprattutto sessuale); dall’altra i cosiddetti “tradizionalisti”, decisamente preoccupati che si smarrisca la ricchezza bimillenaria dell’insegnamento della Chiesa per inseguire il mondo e la modernità.

Entrambi gli schieramenti sembrano concordare su un solo punto: questo Pontificato rappresenta una svolta epocale, una rottura con il passato. Ecco allora i “ribelli” di ieri che si comportano da ”padroni” della Chiesa, che dettano al Papa la propria agenda; ecco anche il revival del catto-comunismo, con vecchi arnesi ringalluzziti che ci spiegano come avevano ragione negli anni ’70; rispuntano fuori i preti-sandinisti, i teorici della teologia della liberazione (ma non si diceva che l’allora cardinale Bergoglio l’aveva sconfitta?), gli ecumenici del “cerchiamo solo quello che ci unisce” (dimentichi che il dialogo ha senso solo su ciò che ci fa diversi).

Ora, non ci si può ovviamente nascondere la profonda diversità di stile e di approccio pastorale di papa Francesco da chi l’ha preceduto, e basta leggere la risposta di Benedetto XVI al matematico Odifreddi e quella di Francesco a Scalfari per rendersene conto. Ma sarebbe altrettanto miope non vedere i segni di una continuità, che ha radici ben più profonde della diversità di approcci con il mondo. Ne segnalo solo alcuni: il desiderio di portare Cristo a ogni uomo (vogliamo ricordare i continui viaggi di Papa Wojtyla in tutto il mondo?) e che sia soprattutto la testimonianza a essere decisiva; il riconoscimento che la crisi della nostra società sia soprattutto una crisi di fede e che dal primo annuncio bisogna ripartire (non è stato forse Benedetto XVI a indire l’Anno della Fede?); la devozione e l’affidamento a Maria.

Il punto è però che se si appanna la certezza che a guidare la Chiesa sia Cristo, si finisce per trattare i papi come fossero i presidenti degli Stati Uniti: si tifa per il candidato democratico o per quello repubblicano, e li si giudica in base a ciò che noi pensiamo e crediamo; ciò che conta è la persona o, meglio, il personaggio, a cui si attribuisce un potere senza limiti.

Non così può essere per la Chiesa. Il Papa è il vicario di Cristo, il “dolce Cristo in terra” come diceva Santa Caterina da Siena, e questo viene prima di ogni altra considerazione. Come cattolici seguiamo il Papa, non questo o quel Papa, per poi rimanere in stand-by o mugugnare se a essere eletto è quello dell’altra fazione. Siamo noi, insieme al Papa, a doverci convertire a Cristo e non il Papa a doversi convertire al nostro sentire.

Ciò non vuol dire che sia indifferente chi occupa il soglio di Pietro né che non sia possibile discutere e anche criticare certe scelte, ma l’appartenenza alla Chiesa e l’unità con il Papa sono il criterio ultimo di ogni azione. Come in una famiglia: padri e madri fanno certamente errori e a volte assumono anche comportamenti platealmente scorretti, ma un vero figlio cercherà di correggere l’errore dentro un rapporto di amore, non con sprezzante lontananza.

Peraltro chi vuole dimostrare la rottura con il passato, seleziona gli interventi del Papa a questo scopo. E guarda caso il punto di riferimento di entrambi gli schieramenti sono i colloqui con Scalfari e l’intervista alla Civiltà Cattolica che, per quanto importanti, sono l’unica cosa che certamente non è Magistero come monsignor Antonio Livi ha esemplarmente spiegato proprio su La Nuova BQ. Anzi, si tratta di affermazioni che alla luce del Magistero andrebbero interpretate.

A questo proposito va però aperta una parentesi. Il disagio e la perplessità che tanti cattolici hanno provato davanti agli interventi “giornalistici” di papa Francesco hanno un fondamento serio, che sta soprattutto nei limiti del mezzo scelto. Siamo entrati ormai in un’epoca in cui i Papi non prendono la parola solo nelle forme solenni del passato. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e anche il temperamento dei singoli fanno sì che oggi il Pontefice parli in diversi modi. Già Benedetto XVI aveva introdotto delle novità accettando un libro-intervista e pubblicando i suoi libri su Gesù: era consapevole della novità e per questo nell’introduzione alla ricerca su Gesù aveva spiegato che non si trattava di Magistero e quindi poteva essere tranquillamente contraddetto. Ma ovviamente non è semplice scindere il teologo dal Papa.

Ora con Francesco i nuovi canali di comunicazione si sono enormemente ampliati. Il problema è però che la lettura di certe espressioni e interventi alla luce del Magistero è un esercizio che il 99% dei lettori di giornali sicuramente non pensa neanche di fare. E gli stessi cattolici solo in minima parte vanno oltre i titoli del giornale, figurarsi leggere le encicliche o le catechesi. Dunque il messaggio trasmesso dal Papa, ciò che il mondo capisce del Papa, è legato soprattutto ai titoli dei giornali. C’è il serio rischio che si affermi un Magistero “percepito” che si riduca alle interviste, alle lettere o alle telefonate. Da questo punto di vista non può non fare riflettere il fatto che del colloquio del Papa con Scalfari e dell’intervista alla Civiltà Cattolica nell’opinione pubblica è passato che “la verità non è assoluta”, “per salvarsi basta seguire la propria coscienza”, “il Papa apre a gay, aborto e divorzio” (qualunque cosa significhi “aprire”); vale a dire un messaggio chiaramente in contrasto con il Catechismo della Chiesa, e certamente diverso da quanto papa Francesco ha detto nell’intervista e nella lettera.

Siamo certi che anche il Papa, da lettore dei giornali, si renda conto dei rischi di un certo tipo di comunicazione e che saprà quindi trovare le forme migliori per non essere equivocato. Anche perché il buon pastore, nell’andare alla ricerca della pecorella smarrita sta anche bene attento a non perdere le altre 99.

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