La diffusa tematica attuale circa la Chiesa in dialogo col mondo ci fa dimenticare che per certi aspetti la Chiesa è anche in lotta col mondo, ed in tal senso Cristo ci incoraggia nella lotta, quella che Paolo chiama “buona battaglia”, dichiarando di avere “vinto il mondo”.
Che significa la vittoria di Cristo sul mondo? Non si tratta di uccidere il nemico, ma di sottometterlo al regno di Cristo o perché si conquista per amore il suo cuore liberandolo dal giogo del peccato e di Satana, o perché vien messo in grado di non nuocere ai santi, si tratti di dannati o si tratti di demòni. Questa prospettiva è ben illustrata dall’Apocalisse.
Si tratta sia di una guerra di difesa – difendere la Chiesa dalle insidie e dagli attacchi di Satana –, che di una guerra di conquista o di liberazione – sottrarre il mondo al dominio di Satana e conquistarlo al suo legittimo Signore, Cristo.
Per tutto il corso della storia Cristo e la Chiesa sono combattuti da nemici irriducibili, soprattutto le forze sataniche. I nemici umani vanno e vengono, sono oscillanti: ora chi è amico diventa nemico e chi è nemico diventa amico.
La battaglia contro il nemico è motivata dall’amore più che dalla giustizia. Al nemico che si arrende a Cristo è fatta misericordia. Invece il nemico ostinato sino alla fine è castigato con la pena eterna. La battaglia cristiana è motivata da un sostanziale amore per il nemico. Non si tratta di ucciderlo, come ho detto, ma di uccidere in lui quel peccato che lo rende schiavo e nemico dei buoni mutando in buona la sua cattiva volontà. E’ in fondo l’opera della conversione.
Il cristiano non aggredisce di sua iniziativa. Di per sé è uomo di pace e di conciliazione. Egli tuttavia viene comunque attaccato dai nemici del regno di Cristo. Egli allora si può difendere lottando, ma anche soffrendo, resistendo, offrendo e pregando. Scorgendo l’esistenza di uomini schiavi del peccato e dolenti sotto questo giogo iniquo, il cristiano può prendere l’iniziativa di aggredire i nemici dell’uomo oppresso e schiavo della colpa, che sono gli stessi suoi peccati, consenziente il medesimo peccatore, il quale, si suppone, si lascia liberare. Non sempre è possibile però la vittoria o per debolezza di forze o per resistenza del nemico.
Il nemico non va né disprezzato né temuto, ma bisogna valutare esattamente le sue forze ed anche i suoi lati buoni ed agire di conseguenza, facendo leva sul positivo per distruggere il negativo. Un segno della stoltezza del nemico è il disprezzo che ha per la causa di Cristo. Ma ciò lo conduce alla rovina.
E’ saggio rinunciare alla lotta se le forze nemiche sono soverchianti, aggredire invece se c’è speranza di vittoria. Occorre in questo caso essere ben convinti delle proprie buone ragioni e della gravità del torto dell’avversario. Ciò infonde coraggio, decisione ed efficacia. Occorre cercar di persuadere il nemico, altrimenti si deve spaventarlo. Il nemico audace non si spaventa, ma ciò costituisce la sua disfatta.
Questa consapevolezza della Chiesa di dover combattere il mondo, che del resto si è sempre accompagnata dalla pari coscienza di dover evangelizzare e salvare il mondo con la grazia di Cristo, è sempre stata presente nella Chiesa ed ha creato nei secoli passati una forte unità e collaborazione delle diverse forze in questa difficile e rischiosa guerra contro un nemico sempre accanito ed insidioso.
Certi Ordini religiosi, come ad esempio i Gesuiti, hanno concepito se stessi come un vero e proprio esercito sotto la guida del Papa, con forte accentuazione dell’obbedienza, dell’iniziativa, della compattezza, del coraggio e della disciplina come appunto può avvenire in una formazione armata per una guerra di questo mondo.
L’Apocalisse e Cristo stesso nelle sue profezie escatologiche ci dicono che sarebbe illusorio pensare che l’evangelizzazione che pur va proposta al mondo intero sino alla fine dei secoli possa avvenire in modo sereno, pacifico ed indolore, senza sforzo, senza intoppi e senza ostacoli, come la diffusione di un dolce balsamo da tutti accolto e da tutti atteso, ed ottenere a un certo punto l’adesione da parte dell’intera umanità, sicchè la Chiesa non abbia più nemici, ma possa limitarsi ad un tranquillo e beneducato dialogo col mondo, simile all’amabile conversazione di un gruppo di amici attorno al tavolo di un caffè.
Altri oggi ritengono che la Chiesa debba rinunciare alla pretesa di render cattolici tutti gli uomini di tutte le religioni della terra, anche perché comunque, secondo la teoria rahneriana, tutti, benchè inconsciamente, sono in grazia di Dio e quindi di fatto appartengono almeno invisibilmente alla Chiesa. In questo senso la Chiesa non avrebbe più nemici da vincere né avrebbe bisogno di difendersi o conquistare il mondo a Cristo sotto la guida del Papa, in quanto tutte le altre formazioni umane sarebbero comunque espressioni diverse di un comune cammino “atematico” e “trascendentale” dell’umanità verso Dio.
Così Rahner, in base a questi presupposti, viene a mancare contro il voto di obbedienza al Sommo Pontefice, voto notoriamente legato alla professione religiosa ignaziana, alla quale Rahner come Gesuita era legato. Infatti la concezione rahneriana della fede come esperienza atematica trascendentale priva la professione di fede della sua certezza ed oggettività concettuale assicurata in ultima istanza dal Vicario di Cristo come supremo Custode dell’ortodossia della fede.
Da qui la totale assenza, nel pensiero rahneriano, dell’aspetto combattivo della vita cristiana, pur così caratteristico della tradizione e della spiritualità ignaziane, per la promozione di un dialogismo e un pluralismo teologici relativisti ed opportunisti, che tolgono all’azione cristiana la sua convinzione, il suo mordente e la sua energia, quindi la sua capacità di attacco e di difesa contro i pericoli e le insidie morali e dottrinali, nonché il suo slancio missionario teso alla conquista del mondo a Cristo.
Nel passato invece la Chiesa, ben consapevole della sua opposizione contro le potenze del male, ha combattuto lotte durissime ed eroiche, anche contro gigantesche formazioni scismatiche ereticali, che da lei si sono staccate, ma nell’insieme i combattenti trovavano luce, conforto e incoraggiamento reciproco nella consapevolezza della loro concordia e nella convinzione salda di combattere tutti assieme disciplinatamente sotto i medesimi capi per la giusta causa.
Indubbiamente sono sempre esistiti all’interno della Chiesa militante elementi che avevano intelligenza col nemico, finti alleati che in realtà stavano dalla parte degli avversari, spie che svelavano i piani segreti e favorivano le forze ostili. E’ sempre esistito, diremmo oggi, il “fuoco amico”.
Ma soprattutto a partire dal periodo immediatamente seguìto al Concilio Vaticano II, che pure si era proposto come missionario, sono sorte all’interno della Chiesa forze sedicenti “progressiste”, che meglio sarebbe chiamare “moderniste”, le quali hanno cominciato col scendere a patti con i nemici della Chiesa sotto vari e speciosi pretesti, che tutti conosciamo e che da molti anni sono noiosamente ed ipocritamente riproposti per gli ingenui di turno.
Questi finti fratelli, male interpretando il Concilio, si sono presentati come miti agnellini, intenti al dialogo a tutto campo, pacifisti, moderati, tolleranti, aperti, innovatori, progressisti, moderni, liberali, comprensivi, misericordiosi. Eppure essi fanno il doppio gioco, conducono una guerra sporca, sleale, sottile e subdola contro i veri fedeli guardandosi bene dal combattere la buona battaglia contro i veri nemici della Chiesa. Sono lupi travestiti da agnelli.
Ma questi falsi fratelli hanno acquistato, soprattutto nel corso di questi ultimi anni, tanto prestigio e tanto potere, che ora i veri cattolici non devono subire solo gli attacchi dei nemici esterni ed aperti, ma anche quelli che provengono dall’interno, da tali falsi fratelli. Non necessariamente tutti questi nemici interni si rendono conto del danno che fanno, magari persuasi di condurre la buona battaglia, perché frastornati e ingannati dalle forze sataniche.
A questo punto per i buoni, per i “figli del regno”, la buona battaglia diventa pesantissima, logorante ed estenuante, per il calo e l’incertezza delle forze, per la difficoltà di sapere chi è veramente alleato e chi non lo è, per il timore di tradimenti improvvisi, di infedeltà e di tranelli, per il fatto di ricevere ostacoli o contrarietà da coloro stessi che dovrebbero guidarci, per l’incomprensione che ci viene dai compagni di lotta, e per la necessità di guardarsi non solo dai nemici dichiarati, ma anche da questi falsi fratelli, che oggi hanno raggiunto posti di comando e frenano seriamente l’azione del Papa e dei suoi collaboratori, avendo raggiunto insidiosamente le immediate vicinanze del trono di Pietro.
Certamente la Chiesa non è solo quella terrena, militante, immersa nelle oscurità e nelle ambiguità della storia, sempre bisognosa di purificazione, ma anche e soprattutto quella celeste, esistente da duemila anni, gloriosa e trionfante, pura da ogni compromesso col male, assolutamente concorde nella lotta contro il nemico, forte di doni soprannturali che possono produrre anche il miracolo e vittorie improvvise e schiaccianti col castigo del nemico. Questa Chiesa intercede efficacemente e compattamente per quella terrena ed assiste i fedeli nella lotta.
Ciò dev’essere di grande conforto, ma richiede un’elevazione ed un rafforzamento costanti della visione e della energia dello spirito, che non sono sempre facili, e tuttavia sono assolutamente necessari per non soccombere e non rischiare di passare dalla parte del nemico.
Indubbiamente occorre essere molto cauti nel discernere e valutare chi sono quelli che Cristo chiama “figli del maligno”, perchè, ammesso che possano essere individuati con certezza, essi possono sempre convertirsi a Cristo, come del resto i “figli del regno” quaggiù sono sempre esposti ad intiepidirsi, a crollare ed a tradire. Inoltre in ciascuno di noi quaggiù perenne è la lotta tra l’aspirazione al cielo e le seduzioni del mondo.
Oltre a ciò la lotta va intesa innanzitutto in termini spirituali come lotta contro il peccato, contro le eresie, contro i vizi e contro le potenze sataniche. Non si tratta solo di aggredire ma anche di sopportare, coltivando la speranza e vincendo lo scoraggiamento, guardando l’esempio di Cristo e dei santi, senza lasciarsi sconcertare dall’apparente trionfo dei malvagi.
Bisogna ricordarsi che Dio stesso permette queste apparenti vittorie degli empi per mostrare a suo tempo la potenza della sua giustizia e della sua misericordia e per ricordarci che il modo cristiano di vincere, la potenza cristiana della vittoria è la vittoria della croce.
La buona battaglia non è tanto condotta da forze umane in base a calcoli umani, ma è la lotta stessa imprevedibile e possente di Dio contro il male. Da soli non riusciremmo a cavarcela. Il nostro compito è sì quello di impiegare tutte le risorse umane, ma soprattutto di porci al servizio di Dio e di essere strumenti e spettatori della sua vittoria.