Benché fossero contro la legge – scrive Rita Marker[1] – sia l’eutanasia che il suicidio assistito sono stati ampiamente praticati nei Paesi Bassi per un certo numero di anni, grazie a una serie di decisioni giudiziarie e agli orientamenti dei medici. In Olanda, infatti, a differenza di ciò che è avvenuto negli altri Stati, è stata proprio la classe medica ad aprire la strada ad entrambe le pratiche mortifere.
Tutto inizia nel 1973, quando il Tribunale Distrettuale condanna il medico olandese Geertruida Postma per il reato di eutanasia, dopo aver messo fine alla vita della madre gravemente malata. Tuttavia – precisa la Marker -, la modalità secondo la quale era avvenuta la morte dell’anziana donna, non avrebbe mai attirato l’attenzione delle autorità, se non ci fosse stata l’insistenza della dottoressa Postma a rendere pubblico ciò che aveva fatto. L’ammissione di aver somministrato alla madre un’iniezione letale sembrava, infatti, calcolata per sensibilizzare il pubblico e forzare la revisione giuridica delle leggi contro il suicidio assistito e l’eutanasia. La Postma riesce nell’intento. Grazie all’enorme visibilità ottenuta, il suo caso diventa il punto di riferimento per tutti coloro che volevano cambiare la legge. I medici del distretto firmano una lettera aperta per il Ministro Olandese della Giustizia, in cui dichiarano che l’eutanasia è comunemente praticata.
Sebbene la dottoressa sia trovata colpevole del reato di eutanasia, punibile con la reclusione fino a un massimo di 12 anni, il tribunale emette una condanna prettamente simbolica, condannandola, per omicidio del consenziente, a una settimana di carcere con la sospensione condizionale della pena, più un anno di libertà vigilata. Il giudice ha fatto grande affidamento sulla testimonianza autorevole dell’ispettore sanitario del Distretto, che ha fissato i criteri entro i quali i medici comunemente pensano che l’eutanasia debba essere considerata accettabile. L’inclusione dei criteri per valutare se un comportamento sia eutanasico oppure no, ha costituito la base per la successiva accettazione di eutanasia e suicidio assistito in Olanda.
Su iniziativa dei medici e con l’appoggio dell’Associazione Medica Olandese seguono altri casi, ognuno dei quali contribuisce ad allargare ulteriormente i confini e a liberalizzare le condizioni secondo le quali, pur continuando a rimanere illegali, eutanasia e suicidio assistito non sarebbero stati puniti. Tra questi vi è, per esempio, il “caso Alkmaar”, che ha per protagonista una donna che aveva chiesto e ottenuto di morire perché l’età avanzata e le condizioni fisiche l’avevano costretta a dipendere da altri, portandola alla depressione. La Corte d’Appello dell’Aia, riconosce la “sofferenza psichica” e il “potenziale deterioramento della personalità” come un motivo valido per ottenere la morte indotta. I giudici discolpano anche i medici che avevano praticato il suicidio assistito ad una giovane donna che soffriva di anoressia nervosa, e ad un’altra donna che era caduta in depressione dopo la morte dei suoi due figli e il fallimento del suo matrimonio. Negli anni ‘90 ci sono anche i processi inerenti a due vicende di eutanasia infantile. In un caso il medico aveva facilitato la morte di un neonato affetto da una forma acuta di spina bifida, mentre, nell’altro, l’eutanasia era stata pratica ad un neonato affetto da trisomia 13. Entrambi i verdetti convalidano le procedure eutanasiche, giudicandole in linea con gli obblighi della professione medica.
Nel tentativo di determinare la frequenza di suicidio assistito ed eutanasia, lo Stato promuove uno studio nazionale, che garantisce ai medici sia l’immunità che l’anonimato sulle risposte, al fine di ottenere informazioni il più possibile complete e veritiere. Realizzato nel 1990 e pubblicato dal governo olandese il 10 settembre 1991, lo studio ha rilevato che le morti procurate dai medici ammontavano a più del 9,1% dei decessi annuali. Di queste morti, 2.300 riguardavano le eutanasie su richiesta, 400 i suicidi assistiti, e 1.040 (una media di circa 3 al giorno) erano morti da eutanasia praticata all’insaputa o senza il consenso del paziente. Dallo studio è altresì emerso che il 50% dei medici olandesi aveva suggerito l’eutanasia ai pazienti. Risultati simili saranno messi in luce da uno studio analogo promosso cinque anni dopo.
Alla fine, il 10 aprile 2001, il Parlamento olandese approva con 46 sì contro 28 no la Riforma delle procedure per porre fine alla vita su richiesta e per il suicidio assistito, e emenda il codice penale, affermando, in particolare, che i reati di eutanasia e di suicidio assistito non sono punibili se sono “attuati da un medico che ha soddisfatto i requisiti di dovuta diligenza” descritti nella legge, e se è stato informato il “perito autoptico” municipale in conformità con la Legge su Sepoltura e Cremazione. L’inserimento dei requisiti di “dovuta diligenza” – osserva la Marker – trasforma i reati in trattamenti sanitari, come sostenevano i medici, mentre ogni intervento eutanasico che non sia mosso da “necessità terapeutiche” è considerato a tutti gli effetti una violenza e, di conseguenza, rimane sanzionato penalmente. Il medico che pratica l’eutanasia deve rispettare precise condizioni: vi deve essere una richiesta ripetuta e confermata da parte del malato; le condizioni del paziente devono essere così gravi da rendere intollerabile la sofferenza, e non vi deve essere più alcuna possibilità di intervento medico; prima di eseguire la richiesta di morte il dottore deve consultarsi con un collega esperto che non abbia prima avuto in cura il paziente e, dopo la morte del malato, deve segnalare il caso all’autorità giudiziaria; dopodiché il procuratore del distretto verifica che siano stati rispettati i criteri previsti dalla legge. Se così non fosse, potrà intraprendere un procedimento penale nei confronti del medico che ha praticato l’eutanasia. In sostanza, la legge olandese stabilisce in modo preciso la non punibilità dei medici che abbiano agito per fini terapeutici, ma punisce chi, non essendo medico, metta fine alla vita di una persona, anche se ha agito con l’intenzione di esaudire una sua esplicita richiesta.
Prima dell’entrata in vigore della legge, i medici erano riluttanti a denunciare le morti che avevano facilitato. Secondo quanto sostenuto dal governo olandese, il motivo primario della necessità di cambiare la legge era quello “di portare le cose allo scoperto, applicare criteri di valutazione uniformi in tutti i casi in cui un medico termina la vita [di un paziente], e perciò garantire che in questi casi si adoperi la massima diligenza”. Visto che gli studi condotti sembravano mostrare che le morti indotte erano una prassi medica comune ma occulta, il governo credeva che portando le pratiche alla luce, attraverso la legalizzazione e la definizione di regole precise, si sarebbero potuti prevenire gli abusi e impedire il far west. In parole povere si è trattato né più né meno che della solita applicazione del “male minore”, che ha portato il legislatore olandese a dire: poiché l’eutanasia c’è già, facciamo almeno in modo di regolamentarla con una legge, così da tutelare i malati. Ma le cose sono andate diversamente: la classe medica olandese ha ritenuto che le modalità contenute nella nuova legge fossero “troppo confuse”, così, dopo la legalizzazione, i casi di eutanasia segnalati non solo non sono aumentati ma sono persino diminuiti. E non solo, la legittimazione di suicidio assistito ed eutanasia ha contribuito ad inclinare ancor più il piano, dando in tal modo una spinta accelerativa all’allargamento dei confini per accedere alla morte su richiesta.
Pochi giorni dopo il passaggio della nuova legge, il ministro della Salute Els Borst, colei che aveva promosso il disegno di legge in Parlamento, afferma che il governo avrebbe dovuto prendere in considerazione l’introduzione di una pillola per il suicidio per quei pazienti che, benché in salute, si sentono comunque pronti a morire. A dicembre 2004, la Royal Dutch Medical Association (KNMG), l’associazione professionale dei medici dei Paesi Bassi, sostiene in una relazione che i criteri in vigore per applicare l’eutanasia non sono di nessun aiuto nella definizione dei limiti della pratica medica, definisce le linee guida “un’illusione”, e conclude affermando che l’eutanasia dovrebbe essere di fatto permessa a tutti coloro che non vogliono più vivere. Secondo il dottor Rob Jonquiere della Dutch Voluntary Euthanasia Society, la proposta affronta un “problema esistenziale” al di fuori del campo medico, ciononostante dovrebbe essere ugualmente adottata, poiché anch’essa rientrante nell’ambito del porre fine ad una sofferenza insopportabile. La KNMG risponde che avrebbe “preso l’iniziativa” per discutere come i medici avrebbero potuto affrontare la questione dal punto di vista pratico.
Qualche mese dopo, l’University Medical Centre Groningen, ammette l’applicazione dell’eutanasia ai bambini, non solo nei confronti dei neonati malati terminali, ma anche per i bambini nati con la spina bifida e con altre disabilità. A questo proposito, sul New England Journal of Medicine[2] del 10 marzo 2005 si poteva leggere: “Ventidue casi di eutanasia su neonati sono stati segnalati agli uffici dei procuratori distrettuali nel corso degli ultimi sette anni. Recentemente ci è stato permesso di esaminare questi casi. Si riferiscono tutti a bambini con forme molto gravi di spina bifida”. Per le 22 eutanasie “nessun medico è stato perseguito” poiché “sono stati soddisfatti i requisiti di diligenza”. Tuttavia, “dato che l’indagine nazionale ha mostrato che tali procedure sono eseguite su 15-20 neonati all’anno”, mentre “la media rilevata annualmente è di 3 casi”, se ne ricava che “la maggior parte dei casi non è effettivamente segnalata”. “Noi crediamo che tutti i casi debbano essere denunciati se si vuole prevenire l’eutanasia senza controllo e ingiustificata, e se vogliamo discutere la questione pubblicamente e quindi sviluppare ulteriormente i criteri per l’eutanasia dei neonati. Per questo motivo, abbiamo sviluppato nel 2002 un protocollo, in stretta collaborazione con un procuratore distrettuale. Il protocollo contiene le linee guida generali e i requisiti specifici relativi alla decisione di eutanasia e alla sua attuazione”. A giugno 2005, l’Associazione Olandese dei Pediatri, approva il “Protocollo di Groningen” che di fatto formalizza ciò che anche per i bambini era diventata in Olanda una prassi acquisita, come aveva documentato anche uno studio del 1997 pubblicato sul Lancet, che aveva messo in luce come l’8% di tutti i decessi infantili derivasse da iniezione letale, e il fatto che il 45% dei neonatologi e il 31% dei pediatri – che avevano risposto ai sondaggi del Lancet – avesse ucciso bambini.
Per riepilogare, quindi, la legge olandese stabilisce che, non solo i malati terminali o gli adulti depressi, possano chiedere la morte, ma anche i giovani tra i sedici e i diciotto anni che ne formulino domanda scritta. La normativa prevede, in questo caso, che i genitori – o, in mancanza, il tutore – ne siano informati, anche se non hanno però il potere di bloccare la richiesta di morte avanzata dai figli. Eutanasia e suicidio assistito per tutti, in Olanda, anche per gli adolescenti tra i dodici e i sedici anni, capaci di consenso, che siano colpiti da malattia inguaribile o da dolore, purché i genitori aggiungano il loro consenso alla richiesta fatta dai figli; e per i bambini sotto i 12 anni fino all’età neonatale, che abbiano delle disabilità o siano gravemente malati, previa richiesta dei genitori.
L’Olanda è il Paese nel quale l’insidioso scivolamento giù per il pendio delle pratiche eutanasiche, emerge con assoluta chiarezza. Si è iniziato nel 1973 (caso della dottoressa Postma) depenalizzando l’eutanasia nei limiti dell’atto compiuto da un medico nei confronti di un malato terminale, per motivi “compassionevoli”; poi si sono discolpati i medici che avevano praticato il suicidio assistito ad alcune pazienti che, per motivi diversi, soffrivano di depressione; più tardi sono stati scagionati i dottori che avevano posto fine alla vita di due neonati con disabilità; quindi nel 2001 sono stati legalizzati sia l’eutanasia che il suicidio assistito per adulti e giovani capaci di consenso; e nel 2005 si è introdotto il Protocollo di Groningen per disciplinare l’eutanasia neonatale e infantile (persone incapaci di dare personalmente il consenso).
In sostanza, all’inizio, l’eutanasia è stata contemplata solo per casi eccezionali di malattia terminale, poi vi è stata inglobata la sofferenza psicologica, in seguito si è aggiunta la disabilità e, dall’eutanasia chiesta da giovani e adulti, si è arrivati a quella decisa dai genitori nei confronti di neonati e bambini, finché si è cominciato a discutere di estenderne la possibilità anche a coloro che, benché sani, manifestino tedio per la vita, stanchezza di vivere, o che, semplicemente, “soffrano” di vecchiaia.
Riguardo a quest’ultimo passaggio è significativo far notare la nascita in Olanda del gruppo “Uit Vrije Wil” (“Del Libero Arbitrio”), che ha raccolto le firme per una proposta che prevede l’opportunità di beneficiare del suicidio assistito da parte di coloro che abbiano compiuto 70 anni di età e siano stanchi di vivere. Tra i fondatori del gruppo vi è il presidente dell’Istituto olandese di Neuroscienze, Dick Swaab, e tra i firmatari l’ex ministro, ex europarlamentare di sinistra, Hedy d’Ancona. La proposta, sostengono i promotori, rappresenta un’ottima soluzione per gli oltre 400 over settanta che ogni anno tentano di uccidersi da soli, e spesso senza neppure riuscirci. Sulla stessa scia si colloca il centro per anziani St Pieters en Bloklands dove si è deliberatamente deciso di non rianimare i pazienti che abbiano superato i settant’anni.
Ma non è ancora tutto, l’insano scivolamento prosegue inarrestabile, e nel 2011, con le nuove linee guida rilasciate dalla KNMG, le maglie della morte assistita sono state allargate ancora di più, prevedendo per l’accesso alla morte assistita anche l’inclusione di fattori “psicosociali”. Secondo le nuove disposizioni dell’Associazione Medica Olandese – rende noto Lifesitenews.com[3] – dovrebbero essere annoverati tra i destinatari dell’eutanasia anche coloro che soffrono di “disturbi mentali e psicosociali” come perdita di funzioni e di autonomia, e isolamento. In questo modo, alle “sofferenze insostenibili e continue” previste dalla legge, verrebbero inglobate anche la mancanza di “capacità sociali, mezzi finanziari e una rete sociale”. Nel rapporto del 2011, intitolato “Il ruolo del medico nell’interruzione volontaria della vita”, si parla di un “concetto di sofferenza più ampio” che dovrebbe comprendere “disturbi che interessano vista, udito e mobilità; cadute; confinamento a letto; affaticamento; esaurimento e perdita di forma fisica”.
L’emanazione in Olanda delle nuove linee guida ha infiammato subito la discussione, facendo entrare con forza nel dibattito coloro che da sempre si oppongono all’eutanasia. Tra costoro vi è Alex Schadenberg, direttore esecutivo e presidente internazionale del comitato “Euthanasia Prevention Coalition”, il quale ha fatto notare che in Olanda “l’estensione di eutanasia e suicidio assistito è stata costante e intenzionale”, e ha avvertito del fatto che, ciò che è accaduto nei Paesi Bassi, accadrà anche in altre giurisdizioni, se l’eutanasia e/o il suicidio assistito saranno legalizzati. Ha fatto sentire la sua voce anche Karl Gunning, a capo del Sindacato dei Medici Olandesi, che già nel 1994, dopo l’estensione dell’eutanasia ai pazienti sofferenti di malesseri emotivi, aveva messo in guardia il Paese del “pendio scivoloso” (“slippery slope”) in cui stava slittando. “Avevamo regolarmente preannunciato che, una volta che si inizia a guardare all’uccisione come un mezzo per risolvere i problemi, allora si troveranno sempre più problemi per i quali l’uccisione può essere la soluzione”, ha ribadito Gunning dopo l’emanazione delle nuove linee guida. Mentre l’avvocato americano Wesley J. Smith, ha chiesto dal suo blog come si possa dire che con la legalizzazione dell’eutanasia “non c’è pendio scivoloso”, quando la “solitudine” diventa uno dei fattori legalmente riconosciuti per porre fine alla propria vita. “Da quando nel 1973 l’eutanasia è stata quasi decriminalizzata – ha ricordato nell’occasione – i medici olandesi sono passati dall’eutanasia ai malati terminali che la chiedono, ai malati cronici che la chiedono, alle persone disabili che la chiedono, ai mentalmente angosciati che la chiedono… E, ora, vogliono colpire le persone anziane vulnerabili ed emarginate”. Poi ha aggiunto: “La cultura della morte è vorace. Una volta che inizia ad alimentarsi, non è mai sazia. Le categorie per uccidere, alla fine, non sono mai abbastanza”. Quindi ha concluso con enfasi: “È questa la compassione?”. Parole al vento, i paladini olandesi dell’eutanasia vanno avanti senza sosta.
L’ultima diavoleria che si sono inventati, attiva da marzo 2012, con l’obiettivo di rimuovere l’ostacolo dell’obiezione di coscienza, è il “pronto soccorso eutanasico” (programma “Levenseinde”): 15 unità sanitarie mobili composte da medici e infermieri volontari, disposti a praticare l’eutanasia a domicilio. Ora, quando un medico di famiglia si rifiuta di applicare l’eutanasia, a motivo dei propri convincimenti morali o religiosi, ai propri assistiti che la richiedono, intervengono gli “angeli della morte” di Amsterdam a far sì che il diritto di morire venga pienamente garantito. Contattare il “servizio” è molto semplice, basta una telefonata o una e-mail e, nel giro di 48 ore, sono da te con la “medicina”. Walburg de Jong – portavoce della NVVE (Nederlandse Vereniging voor een Vrijwilling Levenseinde), l’associazione olandese per la fine volontaria della vita che ha ideato e attuato l’iniziativa – ha spiegato che, prima, si pratica un’iniezione di sedativo e, quando la persona è piombata in un sonno profondo, si fa l’iniezione letale che arresta battito cardiaco e respirazione. Il programma “eutanasia ambulante”, che è stato approvato dal ministro della Sanità Edith Schippers, nei primi otto mesi di attività aveva già 456 persone registrate per farsi uccidere, di queste avevano usufruito del “servizio a domicilio” in 51, e di queste 51 solo il 30% era sofferente di una malattia allo stadio terminale. L’associazione NVVE dà anche il proprio appoggio al gruppo “del libero arbitrio” che, come abbiamo visto, si muove per introdurre a livello legislativo l’eutanasia per tutti coloro che abbiano superato i 70 anni, e, da novembre 2012, collabora anche con la compagnia assicurativa olandese Menzis. Il presidente della Menzis, Roger van Boxtel, ha dichiarato in una conferenza stampa che la compagnia assicurerà la copertura dei costi dell’eutanasia per coloro che soddisfano i requisiti della clinica ambulante del gruppo NVVE. Come si dice: “l’unione fa la forza”, e la cultura della morte, in Olanda, di unità di intenti e di forza ne ha da vendere.
Note:
[1] Rita L. Marker, “Assisted Suicide & Death with Dignity: Past, Present & Future”, Part III, www.patientsrightscouncil.org/site/rpt2005-part3.
[2] Eduard Verhagen, M.D., J.D., and Pieter J.J. Sauer, M.D., Ph.D, “The Groningen Protocol – Euthanasia in Severely Ill Newborns”, N Engl J Med 2005, 352:959-962, 10 marzo 2005.
[3] Peter Baklinski, “Slippery slope: ‘loneliness’, ‘fatigue’ now criteria for euthanasia in Netherlands”, www.lifesitenews.com, 24 ottobre 2011.