Darwin: un razzista della peggior “specie”

Continua il tentativo di santificazione di Darwin, ma a quanto pare c’è ben poco da santificare.

Le cose più importanti sul tentativo di santificare la figura di Darwin individuando nella nobile causa della lotta allo schiavismo l’origine del suo lavoro, come sostenuto nel libro di Adrian Desmond eJames Moore, “La sacra causa di Darwin. Lotta alla schiavitù e difesa dell’evoluzione” sono state già dette su CS in “Darwin “santo subito”…” del novembre 2012. Adesso però è necessario riaprire il discorso per commentare una nuova recensione al libro apparsa sul sito Syzetesis e ripresa su Pikaia.

La recensione si sofferma su alcuni punti evidentemente ritenuti centrali per la tesi di Desmond e Moore, anche se oggettivamente opinabili o de tutto irrilevanti, come la sua amicizia con un impagliatore nero:

…mentre la Edimburgo frenologica sviluppava i primi germi di razzismo scientifico, spostando la propria attenzione dagli individui ai popoli –, Darwin apprendeva come impagliare gli animali da un «moro», un ex-schiavo proveniente dalla Guyana. Il rapporto tra Darwin e John Edmonstone – questo il nome dello schiavo – non aveva mai ricevuto un trattamento esteso come quello prodotto nel primo capitolo della Sacra causa.

Preso atto del fatto che Darwin era solito chiacchierare con un impagliatore nero (che animo nobile…) l’autore della recensione passa a spiegare quale sia stata l’intenzione di Desmond e Moore:

Quella di Darwin, insomma, non era una «scienza pura», una ricerca di soluzioni a problemi afferenti a un campo ben delimitato, quello delle scienze naturali, perché «ad animare e alimentare il suo lavoro sull’evoluzione fu una passione morale» (p. 12).

Sono gli stessi autori a indicare il significato di una simile operazione storiografica: «Noi non siamo qui per dimostrare l’incorrotta purezza del corpus darwiniano, né per deificare Darwin…

 Siamo davvero tranquillizzati che gli autori non intendano addirittura “deificare” Darwin… a loro infatti basta “solo” santificarlo! (come andiamo dicendo sin dall’inizio).

Nella recensione si fa poi riferimento anche a passi tratti da un altro libro, un’operazione che viene fatta per stigmatizzare la superiorità del pensiero laico di Darwin su quello del “religioso” Lyell:

 Il vero «veleno», in ogni caso, fu riservato per la seconda edizione del Journal, che proprio a Lyell era dedicato: «Immaginatevi la possibilità sempre incombente su di voi, che vostra moglie e i vostri bambini, questi esseri che la natura costringe persino uno schiavo a chiamare suoi, vi siano strappati e venduti come bestie al primo offerente! E queste cose vengono fatte e sono giustificate da uomini che professano di amare il loro prossimo come se stessi, che credono in Dio e pregano che la sua volontà sia fatta sulla terra!»

(Viaggio di un naturalista intorno al mondo, Einaudi, 2004, pp. 466-7).

Una scelta che non può essere casuale e che va insinuare la tesi che il vero pensiero antischiavista non nascesse dalla religione ma dal laico pensiero di Darwin. Peccato che la schiavitù fosse scomparsa dall’antica Roma proprio grazie all’affermarsi del cristianesimo e che fu sempre duramente combattuta e condannata dalla chiesa cattolica di Spagna che condannò i comportamenti schiavisti e razzisti che si verificavano nelle colonie. Il supporto dato allo schiavismo da parte di persone come Lyell era il frutto di una religiosità ormai da tempo sottomessa alla corona britannica e conseguentemente agli interessi e alle necessità dell’impero, e quindi ormai lontana e nemica di un cristianesimo autentico. Questo sarebbe stato corretto dirlo una volta aperto il discorso.

Quel che comunque si vorrebbe dimostrare è il fatto che davvero il fine principale di Darwin fosse quello di combattere lo schiavismo e il razzismo per mezzo della dimostrazione che gli esseri umani sono tutti figli di un antenato comune.

E, ripetiamo, è strano che fosse necessaria un’affermazione del genere quando il cristianesimo (che seppure sotto la forma dell’anglicanesimo era presente in Inghilterra) erano quasi duemila anni che andava dicendo che siamo tutti figli di un antenato comune!

Un’opera davvero inutile quella di Darwin sotto questo punto di vista, a meno che non fosse il malriuscito tentativo di contrastare i danni dello scientismo dall’interno dello scientismo stesso.

Verso la fine della recensione troviamo poi questo passaggio:

Nel dicembre 1857 aveva anticipato a Wallace che in quell’opera non avrebbe parlato dell’uomo, essendo un argomento ancora circondato da pregiudizi. Ma soprattutto, suggeriscono gli autori, il suo problema era il non aver racimolato informazioni sufficienti sull’origine delle razze umane.

Così, essendo costretto ad accorciare i tempi per via dell’incidente con Wallace, e non avendo remore, per carattere, a lasciar sedimentare le questioni, decise di attendere. Al contempo, si riservò di lasciar cadere qualche allusione. Anzitutto, l’uso (non privo di ambiguità) del termine ‘razze’ nel sottotitolo dell’opera (The Preservation of the Favoured Races in the Struggle for Life).

Incredibile! Darwin per combattere il razzismo fece un’allusione all’essere umano in cui si sosteneva che è proprio vero che esistono delle “razze” favorite!

Come ha potuto l’autore della recensione non accorgersi di questa contraddizione?

Ma come sappiamo quella non fu una svista, Darwin riteneva davvero che esistono razze umane migliori delle altre e che la razza bianca fosse quella più elevata, come ebbe a chiarire quando finalmente parlò della specie umana:

In qualche momento futuro, non molto distante se misurato in secoli, le razze umane civilizzate quasi certamente stermineranno e sostituiranno le razze selvagge in tutto il mondo. Allo stesso tempo le scimmie antropomorfe, come notato dal Prof. Schaaffhausen, senza dubbio saranno sterminate.

A quel punto la distanza tra l’uomo e la specie a lui più prossima sara’ maggiore, poiché interverra’ tra l’uomo in una forma più evoluta, speriamo, perfino del Caucasico e qualche forma più bassa di scimmia, quale il babbuino, invece che, come oggi, tra il negro o l’Australiano ed il gorilla”

Charles Darwin, Descent of man, 1871

Tutto quello che si può dire in conclusione è che se quello che Desmond e Moore volevano mostrare era un’immagine santificata di Darwin, quello che tuttalpiù ne esce fuori è l’immagine di un razzista scientifico che però si mostra antirazzista in nome di un atteggiamento benpensante, perché “non sta bene” dire certe cose, perché le razze inferiori vanno comunque difese, un po’ come si devono difendere gli animali dalla crudeltà di alcuni uomini.

Un razzista benpensante insomma. Quelli della peggior specie, è il caso di dire.

www.enzopennetta.it

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