“Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? 29 Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: 30 Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. 31 Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila...” (Lc, 14, 2930).
Non poteva mancare, di ritorno dalla marcia per la vita di Roma, la lettera dell’avvocato Pietro Guerini, presidente nazionale di No 194, ai vari sostenitori.
La lettera contiene il solito peana di vittoria: abbiamo raggiunto, con le firme prese alla marcia, scrive Guerini, 17 mila firme, nonostante l’ostilità di tutti.
Questa volta il presidente della No 194 non azzarda la solita solfa del passato, quando ogni mail conteneva l’affermazione più o meno esplicita secondo cui la No 194, cioè Guerini, costituirebbe il più grosso movimento pro life italiano. Le 40.000 persone presenti alla marcia, convocate non certo da lui, infatti, scoraggiano affermazioni trionfalistiche del genere.
La lettera prosegue, immancabilmente, con un attacco sul fronte interno: da due anni a questa parte le contumelie e le menzogne sono stati rivolte prima alla marcia e ai suoi organizzatori (nonostante Guerini abbia sempre usato la marcia stessa, sin dalla prima nel 2001, per la sua raccolta di firme), poi, dacchè la marcia, a suo dire, avrebbe seguito i suoi consigli (cosa che non è mai avvenuta, essendo la linea della marcia e i suoi organizzatori gli stessi dal principio ad oggi) e cambiato impostazione, al solito Paolo Deotto, direttore di Riscossa Cristiana.
Il quale deve avere agli occhi di Guerini due problemi: 1) è stato uno dei primi a credere alla marcia stessa, e cioè all’evento che ha rivitalizzato il mondo pro life italiano; 2) è stato il primo a dare spazio e visibilità, generosamente, allo stesso Guerini, prima di accorgersi, diciamo così, dell’errore.
Non si vuole qui discutere sulla mancanza di buon gusto di chi, secondo un ritornello ormai noioso, prima vanta successi inenarrabili, truppe invincibili, trionfi imminenti, poi sputa immancabilmente veleno sugli altri (perché, per esempio, mentire sostenendo che Riscossa Cristiana beneficia già “di mezzi discreti” dal punto di vista economico, se non per mettere in cattiva luce, quasi fossero mercenari prezzolati, i volenterosi e squattrinati collaboratori del sito?), quanto andare al punto della situazione.
Che ci sembra questo: le battaglie culturali sono una cosa seria. Soprattutto se si parla di vita umana innocente. Seria significa che vanno condotte con buon senso, capacità, strategia.
Ora un comitato composto di pochissime persone, guidato in un ben determinato e monarchico modo, che vanta di aver raccolto 17 mila firme in oltre due anni, tra cartaceo e mail, quali prospettive di lotta concreta possiede?
Per chiedere un referendum, nel nostro paese, servono 500.000 mila firme, autenticate, vere, da raccogliere in 3 mesi: si può vantare come successo preliminare ad una vittoria referendaria la raccolta di 17 mila firme in due anni, sulle spalle, tra il resto, di altre organizzazioni pro life (immancabilmente criticate)? Soprattutto: possibile non si capisca che una campagna referendaria è una cosa maledettamente seria, che presuppone mezzi, persone, conoscenze e un incredibile lavoro di formazione ed informazione? Oggi come oggi, se si andasse a referendum, il fronte pro life non sarebbe per nulla pronto.
La legge 194, infatti, è stata preparata da anni e anni di battaglie radicali, dalla rivoluzione del 1968, dalla conquista da parte degli abortisti dei media e del pensiero dominante. Non potrà essere abrogata prima che il fronte pro life sia cresciuto gradualmente in forza, consapevolezza, capacità di penetrazione nella cultura del paese. Occorre lavorare per cambiare la cultura di morte, oggi imperante, in una cultura per la vita; occorre conquistare i cuori e le menti di tanti all’amore per la vita e alla difesa dei più deboli. I radicali hanno seminato e seminato per anni, e poi raccolto. E’ necessario fare altrettanto, senza illudersi né illudere, lasciando alla Provvidenza i tempi opportuni.
Ogni battaglia ha i suoi tempi, i suoi passi. Occorre, quantomeno, prima, raccogliere le munizioni, facendo convegni, marce, libri, articoli,informazione per frenare la disinformazione.
Pseudo-generali che si buttano solitari in imprese impossibili, altro risultato non hanno che confondere il proprio esercito, e, dopo averlo illuso, precipitarlo nella disillusione. Non si fa come la formica che, attaccata al collo dell’elefante, si convince sia giunto il momento buono per strozzarlo.
Agli amici che hanno firmato per l’iniziativa della No 194, in perfetta buona fede, e con sincerità e slancio ideale, ci sentiamo di dire: se le firme sono un modo per sensibilizzare e ricordare a tutti che esiste una legge iniqua, che prima o poi andrà abolita e ribaltata, ben vengano. Se invece si crede veramente di andare all’assalto, oggi, di un esercito potente, prima di aver costituito il proprio, con un generale che assomiglia al miles gloriosus di Plauto, si va incontro alla sconfitta certa: non si affrontano i cannoni con le forchette di carta. Né si cambia un paese e una cultura cristallizzata da 40 anni, puntando a dividere il fronte pro life che si sta piano piano creando, con protagonismi, invettive ingiuste e maliziose e vanaglorie di vario genere.
Dice Gesù: “quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?”