Una lacuna della predicazione corrente, soprattutto nell’omiletica, e in ciò mi permetto di fare una modesta osservazione allo stesso Magistero della Chiesa, è la totale assenza della tematica degli angeli: quelli santi e quelli caduti, i demòni, non tanto sotto l’aspetto speculativo, laddove, quando non si cade nell’eresia, esiste certo tuttora la fede nella loro esistenza, quanto piuttosto dal punto di vista ascetico, ossia del nostro rapporto con loro.
Si parla sempre dell’etica personale, del rapporto interumano, del rapporto con Dio, del rapporto con la natura, e ciò va benissimo, ci mancherebbe! Ma il trascurare di toccare con la dovuta sapienza e prudenza quel tema delicato nuoce obbiettivamente, al di là della buona fede, alla completezza ed alla salute di quell’organismo soprannaturale di conoscenze e di virtù che è necessario alla salvezza.
Così similmente, se un organismo fisico manca di una sostanza necessaria alla sua vita o alla sua salute, l’organismo si ammala e può anche morire. Ebbene, una sana conduzione del nostro rapporto con gli angeli e con i demòni, trattandosi di un tema contenuto nella divina Parola della salvezza, non può non essere necessaria alla nostra medesima salvezza.
Non pretendo qui di dire nulla di nuovo. Si tratta di un tema ricchissimo, che si potrebbe svolgere in vari volumi. Stanti le precedenti considerazioni, ritengo comunque bene ricordare nello spazio di questo breve articolo almeno le cose fondamentali che mi paiono più importanti con questo particolare riferimento alla questione pratica.
Considerando la tradizionale visione cristiana del cammino della salvezza a partire dall’Antico Testamento, è evidentissimo che tale cammino, per divina disposizione, prevede un continuo, diversificato, alternante rapporto dell’uomo con gli angeli, siano essi i ministri di Dio, quelli che comunemente chiamiamo “angeli”, siano quelle creature spirituali ribelli a Dio e tentatrici, che chiamiamo “diavoli” o “demòni”, “Satana”, “spiriti impuri o cattivi” (non “dèmoni”, che invece sono entità pagane), creature esse pure operanti nel piano della salvezza, tuttavia, con permissione divina, non sotto forma di collaborazione volontaria, ma in forma di opposizione antitetica (dià-bolos=divisore), che suscita o deve suscitare nei predestinati una reazione di difesa e contrattacco[1], tali da consentir loro di salvarsi.
La scomparsa del riferimento agli angeli e quindi del tradizionale insegnamento su quello che è il loro comportamento nonché quello che dev’essere il nostro nei loro confronti, è un fatto relativamente recente, diffusosi soprattutto a partire dal postconcilio, benchè il Concilio stesso non sia privo di tali indicazioni su questo argomento, ed è quindi uno dei frutti amari di quel neomodernismo che, come ci stiamo sempre più accorgendo, costituisce uno dei mali e degli inganni maggiori dell’odierna vita ecclesiale. Molti infatti credono che il negar fede agli angeli sia segno di un cristianesimo “moderno” e che la fede nell’esistenza degli angeli sia una credenza medioevale superata, estranea all’insegnamento biblico.
Ci vuole una bella faccia tosta per fare una simile affermazione, data l’abbondanza di riferimenti agli angeli contenuti nella Bibbia. Ma i nostri esegeti modernisti con i loro abili sofismi, che essi chiamano “esegesi storico-critica”, sono riusciti ad abbindolare molti e a quanto pare a far tacere o intimidire anche gli stessi vescovi.
Naturalmente con ciò non dico che la questione degli angeli non sia un problema difficile e complesso, dove effettivamente occorre fare un attento discernimento soprattutto relativo alle concezioni ed alle narrazioni antiche. Tuttavia ciò non giustifica il razionalismo dissacrante di certi esegeti e teologi di oggi i quali credono d’aver risolto il problema gettando via, come si suol dire, il bambino insieme con l’acqua sporca.
Molti credeono che la fede negli angeli sia segno di una mentalità primitiva e rozzamente popolare dominata dalla fantasia. Credono che per mettere in crisi tale credenza sia sufficiente ironizzare sulle “ali” degli angeli ed interrogarsi sarcasticamente se essi hanno la differenza sessuale. Non sanno invece che la questione è di alta levatura filosofica e metafisica ben al di sopra della loro intelligenza, affrontata dai più grandi geni del pensiero, a partire da Platone, per passare poi ad Aristotele, a tutti i grandi teologi del Medioevo, sino a Tommaso d’Aquino e ai moderni esponenti del tomismo, anche in ossequio al fatto, come ho detto, che la dottrina sugli angeli è un dato della rivelazione cristiana.
Non c’è dubbio – e questa è cosa nota – che noi usciamo da una storia di molti secoli di spiritualità cristiana influenzati da un’antropologia dualista e da una morale rigorista, per le quali si interpretavano in modo unilaterale e quindi sbagliato la famose parole di Cristo relative alla questione se nell’al di là vi sarà matrimonio, “saranno come gli angeli”, come se nella risurrezione debba essere assente la differenza sessuale[2] e quindi il rapporto tra uomo e donna.
Il Beato Giovanni Paolo II ha spiegato invece come tale rapporto non richieda il matrimonio in quanto finalizzato alla riproduzione della specie, perchè alla risurrezione non vi sarà più aumento degli individui umani.
Punta estrema di questa visione errata fu Origene, del resto condannato dalla Chiesa, per il quale, sotto l’influsso di Platone e forse anche di concezioni indiane, l’uomo è un puro spirito preesistente al corpo, caduto in un corpo maschio e femmina in castigo del peccato originale, quindi degno di salvarsi a patto che metta da parte il sesso per far brillare la sua pura originaria essenza angelica.
Qualcosa di questa concezione è rimasta per secoli in modo particolare nella concezione della castità, vista, tanto per prendere ad esempio una delle mille espressioni correnti, come la “gemma più fulgida che risplende nella fronte dell’apostolo. Con essa il missionario si renderà emulo degli angeli”[3]. Naturalmente questo ideale angelico, se inteso bene, conserva tutto il suo valore; ma non è aleatorio il rischio, effettivamente corso in passato soprattutto laddove mancava una matura visione dell’uomo e della morale, di proporre forzatamente e quindi illusoriamente all’uomo, essere fatto di spirito e corpo, il modello di una creatura quale quella angelica, essenzialmente differente da quella umana.
Ciò poi di fatto si è legato ad una concezione svalutativa del sesso femminile, visto come “maschio non riuscito” (mas occasionatus) e difetto da togliere, da cui anche il forzato orientamento della donna all’imitazione del maschio, nel quale solo si vedeva il modello della virtù. Si noti appunto che virtù vien da vir, il maschio. Per salvarsi, la donna non doveva essere “femminile”, ma “virile”. Per Caterina da Siena la lussuria è tout court il “piacere femminile”. Ma non è il caso di insistere, tanto queste cose oggi sono note.
Occorreva una correzione di rotta e c’è stata, soprattutto col Concilio Vaticano II. Ma purtroppo, come spesso accade nella storia, si è oggi passati dall’altra parte. Si è passati da un’antropologia dualista dello spirito che deve liberarsi dal corpo a un’antropologia monista, materialista ed edonista che riduce lo spirito al corpo, si è passati dal rigorismo al lassismo, dalla paura del sesso ad ogni forma di licenza sessuale, dall’ossessione per il peccato (sommo peccato era quello contro la castità) alla perdita del senso del peccato, quello che oggi si chiama “buonismo”: siamo tutti in cammino verso Dio, tutti in grazia, tutti perdonati, tutti in buona fede, tutti benintenzionati e di buona volontà, tutti salvi, l’inferno e il diavolo non esistono.
In questo clima dolciastro e idilliaco – il dialogo à gogo, una religione vale l’altra, il contrario omologato al “diverso”, il dovere è quello di conformarsi al “mondo moderno”, la libertà è confusa con la licenza, l’amore prescinde dalla verità – sono scomparsi la rinuncia, l’espiazione e il sacrificio, non c’è più la “vittoria su se stessi”, è scomparso anche l’agone cristiano, quella che Paolo chiama la “buona battaglia”, perché tutti sono amici e non ci sono nemici da vincere nè fuori di noi né dentro di noi. Il cammino è spontaneo, libero, facile e senza sforzo, perché qualunque cosa facciamo, comunque Dio è buono e ci perdona.
Non occorre invocare angeli custodi o combattere demòni. Non esistono creature puramente spirituali, non si dà spirito senza corpo, Dio stesso non è puro spirito, ma “si è fatto carne” e l’anima dopo la morte non sussiste separatamente dal corpo perché la risurrezione avviene immediatamente dopo la morte, per cui gli stessi angeli, col loro richiamo alla pura spiritualità, appaiono personaggi improbabili ed ingombranti, avanzi del “dualismo greco” o dello “gnosticismo”, semplici esseri mitologici, personaggi da favola, estranei al pensiero moderno o al massimo sono simboli di forze benefiche o malefiche insite nell’uomo stesso. Gli angeli appaiono dei guastafeste in una visone del reale dove non si ammette un puro spirito immateriale o separato dalla materia.
La perdita della fede negli angeli comporta però due gravissime conseguenze: prima, non si ha più il senso del primato dello spirituale sul materiale e corporale, cosa che sarebbe garantita da una sana devozione ed imitazione della vita angelica. Se si ammette l’anima, lo spirito, la virtù, la grazia o Dio, non si tratta di livelli dell’essere superiori e indipendenti dalla materia, signori della materia, che trascendono la materia, ma si tratta come abbiamo in Teilhard de Chardin e in Mancuso dei vertici supremi (“Punto Omega”) dell’energia insita nella materia stessa cosmica e storica che si “autotrascende” da sè, per cui la materia si trasforma in spirito, spirito che peraltro non è mai separato dalla materia, non esiste allo stato puro, ma sempre unito alla materia perché ne è la manifestazione più sublime ed elevata.
Tutto dev’essere diveniente, “concreto” e “storico”, nulla esiste di immutabile e di sovratemporale. Si dà una forte antipatia per l’“astratto”, considerato come vuotezza e chimera. L’Eterno stesso, se esiste, appare però come mondo e come storia. La metafisica non è un andare oltre il mondo, ma un immergersi nel cuore del mondo.
Seconda conseguenza: caduta simultanea nei peccati carnali e spirituali, sotto l’influsso di Satana. La pretesa ingenua ed ingannevole oggi diffusa in ambienti bigotto-modernistici di entrare in contatto immediato, mistico ed esperienziale con Dio (una certa falsa “esperienza di fede atematica”), come se fosse la cosa più facile di questo mondo, suppone in realtà spesso un falso concetto di Dio, perché in realtà, se è vero che tutti gli uomini coscientemente o inconsapevolmente, esplicitamente o implicitamente, entrano in un contatto con Dio (di amicizia o di odio), dovendo tutti presentarsi al cospetto di Cristo Giudice al momento della morte, tuttavia il sapere che Dio esiste non è per nulla un dato originario dell’esperienza o della coscienza, ma è una conquista della ragione sul fondamento della percezione sensibile della realtà esterna e del proprio io, grazie all’applicazione del principio di causalità, così come – secondo quanto è detto nel Giuramento antimodernista Sacrorum Antistitum di S.Pio X – si deduce l’esistenza della causa partendo dalla conoscenza degli effetti, ed è insinuato dalla stessa Sacra Scrittura in Rm 1,20 e Sap 13,5.
Per questo un “Dio” raggiunto in questo modo, quasi si trattasse di gustare il sapore di una mela o di sentire il caldo di una giornata estiva, non è affatto il vero Dio, ma è un idolo della propria fantasia esaltata e della propria superbia falsamente mistica. Considerata infatti la trascendenza e l’infinita spiritualità del vero Dio e il fatto della nostra propensione naturale per le cose sensibili, nonché la limitatezza della nostra ragione racchiusa nel finito, il contatto con Dio certo risponde alla più profonda esigenza della nostra natura, ma diventa sicuro solo al termine di una rigorosa disciplina spirituale, nel corso della quale ci è indispensabile il magistero e la guida dell’angelo, essere appunto spirituale, per natura superiore a noi e quindi appunto in grado si essere messaggero e mistagogo dell’Assoluto. Ciò sia detto naturalmente senza detrarre in nulla da tutto il cammino, anche più importante, che dobbiamo fare sotto la guida del sacerdote, dei sacramenti, del Vangelo e di Cristo stesso.
In particolare l’angelo custode, debitamente invocato, eleva il nostro spirito alle realtà celesti, ci aiuta a dominare le passioni, ci libera dalle tentazioni della carne, rafforza la nostra volontà nel regolare e purificare le nostre emozioni ed i nostri istinti, rendendoci capaci della rinuncia e della penitenza, senza per questo farci dimenticare i giusti bisogni e gli onesti sollievi del nostro corpo e l’attenzione alle necessità fisiche del prossimo.
Il contatto con l’angelo guarisce soprattutto le passioni carnali dell’avarizia, dell’ira, della gola e della lussuria, anche se per un’armonizzazione tra l’anima e il corpo vale di più la comunione con l’umanità di Cristo, della Madonna e dei Santi, in particolare per mezzo di una fervorosa pratica liturgica e sacramentale, istituzioni divine che, associando sapientemente il sensibile all’intellegibile, valgono meravigliosamente per creare in noi l’equilibrio tra materia e corpo, sesso e spirito, bisogni fisici e bisogni dell’anima.
Viceversa la mancata vigilanza contro le tentazioni del demonio conduce a cadere nei peggiori peccati spirituali, a cominciare dalla superbia, e poi l’orgoglio, l’empietà, la disobbedienza, l’ipocrisia, l’eresia, l’arroganza, la presunzione, la vanagloria, la “prudenza della carne”, la vendetta, la crudeltà, l’odio deliberato e coltivato contro Dio e contro il prossimo.
Questo tipo di tentazione è più sottile e colpisce anche persone colte ed intelligenti, come potrebbero essere sacerdoti, superiori religiosi, guide spirituali, vescovi e teologi. Essa mette in difficoltà ed inganna circa il discernimento spirituale e vocazionale, l’interpretazione della divina Rivelazione, la soluzione di difficili problemi pastorali e morali, la guida e il governo delle anime, la correzione dei costumi e degli erranti, il ministero della Parola e dell’insegnamento della teologia. Il fenomeno del modernismo, come tutte le eresie, hanno sempre facilmente all’origine un inganno del demonio, magari non avvertito perché poi gli esponenti e i seguaci di queste sette facilmente non credono al demonio o sottovalutano la sua azione.
Negli ambienti dove manca l’igiene o la profilassi contro le malattie è facile che si diffondano le epidemie. Qualcosa del genere avviene anche nelle situazioni ecclesiali. Laddove mancano i medici dello spirito o i maestri non sanno mettere in guardia contro le insidie del demonio o non credono alle malattie dello spirito occasionate da “dottrina diaboliche”, facilmente si diffondono le eresie e gli scandali, come sta avvenendo adesso nella Chiesa. Quando Papa Benedetto XVI usò quella famosa espressione “sporcizia nella Chiesa”, certamente, attento com’era ai problemi dottrinali, si riferiva a questo grave fenomeno.
I rimedi sono molti, ma non c’è dubbio che uno dei principali è il recupero della tradizionale devozione agli angeli, all’angelo custode e soprattutto a S.Michele Arcangelo, e della lotta contro Satana, senza per questo ovviamente negare il primo posto alla comunione con Cristo e con la Chiesa, alla vita sacramentale, all’ascolto dello Spirito Santo ed alla devozione alla Vergine Maria.