Si è parlato in questo sito di massoneria. Pennetta ci ha ricordato le ragioni storiche della contrapposizione tra massoneria e Chiesa. Caius ha sottolineato che moltissimi massoni sono nel Pd, come dichiarava anche un amico della massoneria come Francesco Cossiga ai tempi dell’Ulivo (Repubblica, 4/3/1998).
Il Corriere intervistava qualche giorno fa l’ex leader del PLI Valerio Zenone, che ricordava di essere stato cooptato nella setta perché avvocato, consigliere regionale, e per le sue conferenze a favore del divorzio.
In generale si può ritenere che massoni vi siano al centro, a destra e a sinistra, ma sembra appurato quali siano le loro posizioni morali: pro aborto, divorzio, eutanasia, scuola laica (su questo, evidentemente, una preferenza a sinistra è comprensibile)…
Sembra inoltre appurato, guardando alla storia, o alle recenti dichiarazioni del mazziniano Raffi o di Luigi Berlinguer, l’ex comunista Pd che ha fatto capire di preferire i massoni ai membri dell’Opus Dei, che tra massoneria e Chiesa vi sia, come vi è sempre stato, uno scontro forte.
Di qui l’articolo che segue, in cui si illustra un fatto: l’infiltrazione massonica nella gerarchia ecclesiastica.
Ci sono scandali che, guarda caso, nessuno vuol montare. Anche se potrebbero andare nella direzione voluta: l’attacco sistematico alla Chiesa. Si è scoperto, in questi giorni, che nel nuovo scandalo Ior è coinvolto nientemeno che un cerimoniere del papa, mons. Camaldo! Recitava la Stampa del 17 maggio: “Che Balducci abbia un conto corrente presso lo Ior, fu lui stesso a dirlo a un magistrato. Era qualche anno fa e lo interrogava il pm di Potenza, il giovane Henry John Woodcock, il quale, intercettando le telefonate del cerimoniere pontificio, monsignor Franco Camaldo (coinvolto nell’inchiesta sugli affari di Vittorio Emanuele di Savoia), fu incuriosito da un misterioso bonifico di Balducci al monsignore. Questa fu la spiegazione di Balducci: siccome monsignor Camaldo, suo fraterno amico, era stato truffato nel corso di una spericolata operazione immobiliare, ed era giù di morale, lui aveva deciso di aiutarlo con un prestito di 280 mila euro a fondo perduto. Camaldo diede una risposta ancora più sorprendente: aveva partecipato a una operazione per comprare a Marino, nei Castelli romani, la villa principesca che era appartenuta a Carlo Ponti e Sofia Loren per farne la sede di una associazione massonica, ma il tutto si era rivelato una truffa e perciò era ricorso a Balducci”.
Uno scandalo, dicevo, di questo tenore: “il potere del Vaticano”, per usare una espressione maligna assai diffusa, “si salda con quello, segreto, delle logge”! Invece niente: delle logge, ma guarda un po’, non interessa nulla a nessuno.
Tutti a dar botte alla Chiesa, allo Ior, e la notizia che l’omino Ior è in verità un massone (cioè, per dirla con Agostino, “nella Chiesa ma non della Chiesa”), passa inosservata. Perché ci sono poteri che è meglio non toccare? Eppure la news è assai interessante: perché ci riporta alle infiltrazioni della massoneria, pluri-scomunicata dalla Chiesa, nella Chiesa.
Infiltrazioni che datano da parecchi anni, se dobbiamo da credito ad una lista di prelati massoni comparsa su Panorama nel 1976 e poi ad un’altra, analoga ma più completa, pubblicata dal giornalista laico Mino Pecorelli, su Op del 12 settembre 1978.
Pecorelli, membro della P2, sarebbe morto poco dopo la pubblicazione della lista, presa molto sul serio in Vaticano, se è vero come è vero che Paolo VI e poi il cardinal Siri chiesero al generale dei Carabinieri Enrico Mino di indagare sulla veridicità dei suoi contenuti. Ma anche Mino morì, precipitando con il suo elicottero, in circostanze non limpidisssime, prima di poter raccontare i risultati delle sue indagini.
La suddetta lista finirà poi nelle mani di papa Luciani, che “aveva manifestato l’intenzione di mettere mano alla questione dello Ior e di fare chiarezza in merito alla lista dei presunti prelati iscritti alla massoneria” ( 30Giorni, 9.9.1993).
Ma anche Luciani sarebbe morto troppo presto… Quali i nomi della lista? Troppo, per elencarli tutti.
Ne bastino 3: Marcinkus, presidente dello Ior, De Bonis, anch’egli uomo Ior, già indagato da Di Pietro nel 1994, le cui prodezze sono state rivelate l’anno scorso dal giornalista Nuzzi, in “Vaticano spa”, e Annibale Bugnini, autore della riforma liturgica. nella foto
I primi due furono sempre coperti, nonostante i loro nomi e la lista fosse sulla bocca di tutti. Nonostante dopo Marcinkus, almeno, si sarebbe potuto stare attenti al suo uomo, De Bonis, sapendo poi le voci su di lui… Il terzo invece, a quanto racconta lui stesso nella sua autobiografia, fu alla fine allontanato, proprio per il sospetto di essersi affiliato alla massoneria, e spedito a fare il nunzio in Iran nel 1975!
Riassume così messainlatino.it: “Mons. Bugnini, nel suo libro La riforma liturgica, riferisce (pagg. 100-101) di avere bussato a molte porte per sapere quale fosse la ragione della sua disgrazia. Dice di aver saputo che un cardinale importante cui le riforme liturgiche erano invise (Gagnon, si presume) aveva fornito un dossier su di lui, e sulla sua massonicità al Papa. Sempre Bugnini riferisce di avere scritto al Papa, nell’ottobre 1975, per contestare le accuse nei suoi confronti di iscrizione alla massoneria ma – informa sempre l’interessato – il Papa nemmeno si peritò di rispondere. Dato lo stretto rapporto, anche di fiducia e confidenza, che vi era stato fino allora tra i due, questo è un ulteriore segno evidente, aggiungiamo, che il Papa si era convinto della veridicità delle accuse, al punto da non voler nemmeno ascoltare gli argomenti a discolpa”.
Viene poi riportato un articolo comparso su Italia Oggi del 24.7.2009 di Andrea Bevilacqua: “Sembra una cosa troppo lontana nel tempo per fare notizia. Ma non è così. Secondo quanto riporta l’ultimo numero della principale rivista cattolica in lingua inglese Inside the Vatican, Annibale Bugnini, il principale promotore all’interno della curia romana di quella riforma liturgica che nel post Concilio Vaticano II ha rivoluzionato in modo decisivo l’intero impianto liturgico della Chiesa, ovvero colui che anche a motivo delle sue idee in campo liturgico (ma non solo) venne mandato da Papa Paolo VI a terminare i propri giorni in Iran, era un massone. Una rivelazione, quella di Inside the Vatican che, se confermata, darebbe notevole spago a tutti coloro che, all’interno del Vaticano, ritengono i cambiamenti liturgici avvenuti nel pontificato montiniano come un’opera perversa.Un’opera, insomma, voluta contro la Tradizione della Chiesa. È il giornalista Robert Moynihan a raccontare la cosa su Inside the Vatican, spiegando di averla saputa da un monsignore anonimo indicatogli dal cardinale canadese, Edouard Gagnon, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia dal 1985 al 1990.
Che il monsignore sia anonimo è senz’altro un punto negativo per le tesi di Moynihan, ma quanto il monsignore dice getta comunque ombre, più che luci, su un momento della vita della Chiesa difficile. «Il monsignore è il depositario del mistero relativo all’affiliazione massonica di Bugnini», disse a Moynihan il cardinale Gagnon. E il giornalista si affrettò a incontrare l’anonimo presule per farsi raccontare ogni cosa. Non solo, Bugnini avrebbe avuto anche un codice di riferimento col quale veniva identificato: lo chiamavano «Buan». Perché, si chiede Inside the Vatican, Bugnini venne mandato in Iran da Paolo VI? La tesi è una. Pare che Montini, è anche quanto riferisce il monsignore anonimo, si fosse convinto del fatto che Bugnini appartenesse alla massoneria. Una valigetta di proprietà di Bugnini contenente alcune lettere indirizzategli dal Gran Maestro della Massoneria Italiana, infatti, convinse il Papa della cosa. Quando Bugnini era ancora a Roma, inoltre, fu il cardinale Gagnon a stendere una relazione molto dettagliata sulla massoneria. Gagnon stette per tre mesi impegnato a stendere la voluminosa relazione. Un dossier giudicato dalla stessa massoneria esplosivo: si facevano i nomi e le attività occulte di certi personaggi di curia. Tuttavia il dossier venne rubato fra il 31 maggio ed il primo giugno del 1974 dalla scrivania di monsignor Mester, un collaboratore di Gagnon. Il cardinale dovette riscriverlo interamente ma non riuscì mai a divulgare la cosa come avrebbe voluto. Pare che fu anche per questo motivo, per l’impossibilità di far arrivare il dossier sul tavolo del Papa, che decise di ritornare in Canada e lì finire i suoi giorni”.
Per comprendere ancora meglio la questione, si può citare un libro del giornalista Pinotti, “Fratelli d’Italia”. Pinotti è un assemblatore confuso di notizie: di Chiesa sa pochissimo, di massoneria pure, confonde però a chi conosce la materia, certe informazioni risultano preziose, specie se confermano molte altre fonti: "Il 12 settembre 1978 il settimanale OP diretto da Mino Pecorelli, giornalista iscritto alla P2 e poi assassinato, pubblicò in un articolo dal titolo La grande loggia vaticana un elenco di ben 121 nominativi di esponenti vaticani e di alti prelati indicati quali affiliati alla massoneria. Ha scritto Alfio Caruso (in la Stampa, 22 agosto 2006): «Una mano anonima aveva inserito l’articolo nella rassegna stampa sfogliata ogni mattina dal papa. Questi aveva subito chiesto al cardinale Felici se la lista potesse essere veritiera. Verosimile, era stata la risposta.
L’elenco faceva impressione: comprendeva Villot, monsignor Agostino Casaroli, ministro degli Esteri della Santa Sede, il cardinale Ugo Poletti, vicario di Roma, il cardinale Sebastiano Baggio, Marcinkus, monsignor Donato De Bonis, dello Ior, don Virginio Levi, vicedirettore dell’Osservatore Romano, padre Roberto Tucci, direttore della Radio Vaticana, monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI. Con il disincanto tipico del vecchio habitué di Curia, Felici osservò che liste simili circolavano da sempre e che la prassi era di non prenderle in considerazione. D’altronde, aggiunse con un pizzico di malizia, Paolo VI aveva varato un comitato per cancellare la scomunica che da secoli veniva comminata ai massoni e il cardinale Villot ne era apparso entusiasta. Sentimento non condiviso da Luciani: per lui la massoneria incarnava il nemico di Roma. Pur intuendo che il suo amato Montini avesse aperto le porte delle mura leonine a una schiera di piduisti – Gelli, Ortolani, Sindona, Calvi – era contrarissimo a quell’insana commistione rivolta soltanto al profitto». (F. Pinotti, Fratelli d’Italia, cit., pp. 647-653)
Ebbene le notizie dateci da Pinotti sono in buona parte innegabili: si pensi al nome di Ortolani, membro eminente della P2: a Bologna, in cattedrale, vi è una statua dedicata a mons. Lercaro, tra i più assidui fautori della riforma liturgica di Bugnini, e della svolta post conciliare. La statua è stata donata da Ortolani!
Prendiamo Sindona e Calvi, i due oscuri trafficanti morti in circostanze misteriose. Giancarlo Galli, autorevole giornalista esperto in economia, già editorialista di Avvenire, nel suo “Finanza bianca” (2004) mette in luce gli stretti rapporti tra Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI, e Marcinkus-De Bonis. Ebbene Galli non lo dice, ma i lettori lo sanno già: Macchi compare anch’egli, insieme ai due, nella lista di Pecorelli!
Il cerchio si chiude… Eppure, il lettore attento, il cattolico che conosce come va il mondo, non deve essere spinto da quanto raccontato, a disperare: che la Chiesa sia infiltrata dalla massoneria è un triste dato di fatto, legato alla peccaminosità umana, e al potere delle tenebre. Non erano riusciti anche i comunisti a infiltrare in Vaticano, piazzandolo accanto a Giovanni Paolo II, un agente dei servizi segreti con la tonaca?
E’ successo più volte: da una parte i nemici che entrano, per scardinare la porta, dall’altra qualcuno che cede alla tentazione del potere, come Giuda, e pur essendo uomo di Chiesa, tradisce. Nihil sub sole novi. Speriamo dunque in un po’ di pulizia, ormai necessaria, senza dimenticare che se solo entrassimo negli affari di qualsiasi grande banca laica, cioè laddove girano i soldi di Mammona, troveremmo molto di peggio di quello che è avvenuto allo Ior. Oggi sotto la guida di un uomo integerrimo e intelligente.
Quello che dunque è molto più grave è altro: che la massoneria possa aver influenzato la riforma liturgica, tramite Bugnini. Di seguito riporto buona parte di un articolo dell’ottimo vaticanista Sandro Magister:
"Tra il papa e il massone non c’è comunione Ieri guardinghe aperture e vescovi simpatizzanti… Ma ora con Giovanni Paolo II e col cardinale Ratzinger è un’altra musica … Perché non sempre è stata questa l’impressione. Nel 1978, l’ufficiale "Rivista massonica" salutò Paolo VI, morto quell’anno, come il primo papa «non nemico». Negli anni Sessanta e Settanta, sullo slancio del disgelo del Concilio Vaticano II, tra la Chiesa e la massoneria era stato un gran dialogare. E anche un gran sussurrare.
Si vociferava di cardinali e illustri prelati di curia segretamente affiliati alle logge. Circolavano copie delle loro presunte tessere. Ancor oggi, nel chiacchieratissimo pamphlet "Via col vento in Vaticano" uscito lo scorso febbraio per la penna di anonimi monsignori, un intero capitolo è dedicato al «fumo di Satana» delle infiltrazioni massoniche tra i magnati di curia. E di due il pamphlet fa nome e cognome. Il primo è Annibale Bugnini, il regista della riforma liturgica postconcicliare, finito nunzio in Iran una volta ultimata la sua opera di «distruzione del rito antico della messa» e ivi morto, secondo il libello, «di morte naturale procurata» dai suoi stessi caporioni di loggia. Il secondo è Sebastiano Baggio, influentissimo cardinale dell’era di papa Giovanni Battista Montini. Aveva il potere di nominare i vescovi in tutto il mondo «e quindi di promuovere le carriere dei suoi confratelli occulti».
E nei due conclavi del 1978 corse come papabile. Di certo, in quel ventennio d’oro del dialogo tra Chiesa e massoneria, erano massoni e cattolici conclamati i fratelli d’affari dello Ior, la banca vaticana, Michele Sindona e Roberto Calvi. Era massone e cattolico Umberto Ortolani, intimo factotum del cardinale progressista Giacomo Lercaro. Oggi il Grande Oriente li rinnega tutti: facevano parte, sostiene, d’un ramo degenere della massoneria, quello della loggia Propaganda 2 di Licio Gelli. Nella sua recente intervista, il gran maestro Raffi si fa vanto d’aver espulso dall’ordine, «per contiguità con Gelli», lo stesso gran maestro legittimo dell’epoca, Giordano Gamberini. Ma proprio Gamberini era l’uomo con cui la Chiesa s’era messa in quegli anni a dialogare in segreto. Lo stile degli incontri era un po’ carbonaro. Al primo di quelli semiufficiali, l’11 aprile 1969, ad Ariccia nel convento del Divin Maestro, sedevano da una parte il gran maestro Gamberini, il suo aggiunto Roberto Ascarelli e lo storico Augusto Comba. E dall’altra il salesiano Vincenzo Miano, vicecapo del segretariato vaticano per i non credenti, il paolino Rosario Esposito e il gesuita della "Civiltà Cattolica" Giovanni Caprile.
Racconta oggi padre Esposito, l’unico di questi tre ancora in vita: «Per la cena a capotavola c’era il Gamberini, che intonò il Padre nostro, poi, stando tutti ancora in piedi, prese un pane, lo spezzò e lo offrì al padre Caprile dicendo: "Il massone spezza il pane col gesuita". Tutti ci scambiammo il medesimo rito, condividendo una gioiosa fraternità». Gli alfieri del dialogo si ammantavano dell’autorità di papa Giovanni XXIII, che da nunzio a Parigi aveva benedetto in segreto la doppia appartenenza alla massoneria e al cattolicissimo ordine di Malta di un barone suo amico, Yves Marsaudon. Poi c’era stato il Concilio Vaticano II, con la richiesta esplicita, sostenuta in aula dall’ultraprogressista vescovo di Cuernavaca, Sergio Mendez Arceo, di revocare la scomunica ai massoni. E poi erano cominciate le strette di mano pubbliche tra capi della massoneria e cardinaloni di peso: gli americani Richard Cushing, Terence Cooke, John Cody e John Joseph Krol, l’austriaco Franz König, l’olandese Bernard Alfrink, i francesi Maurice Feltin, Francois Marty e Roger Etchegaray, il cileno Raúl Silva Henriquez, i brasiliani Aloisio Lorscheider e Paulo Evaristo Arns, insomma quasi tutti i capifila dell’ala progressista conciliare. In Italia, agli incontri successivi a quello di Ariccia parteciparono i vescovi Dante Bernini, di Albano, e Alberto Ablondi, di Livorno. In Vaticano, a tirare le fila era il cardinale prefetto dell’ex Sant’Uffizio, il croato Franjo Seper. Dall’alto, Paolo VI tutto sapeva e benediceva.
Revocare la scomunica non era impresa facile. A partire dal primo documento di condanna della massoneria, quello di Clemente XII nel 1738, era stato tutto uno scoccare di fulmini. Padre Esposito ne ha inventariati più di tremila, con il culmine toccato dal codice di diritto canonico del 1917, che comminava la scomunica ipso facto a coloro che semplicemente «danno il nome alla setta massonica». Ma batti e ribatti, l’ora della riconciliazione sembrava vicina. Nel 1968, i vescovi della Scandinavia decisero di non chiedere più l’abiura ai massoni che si facevano cattolici. E nel 1974 il cardinale Seper, in una lettera al cardinale Krol resa pubblica da quest’ultimo, spiegò che la scomunica doveva essere intesa operante solo per quei cattolici iscritti alle massonerie «che veramente cospirano contro la Chiesa». Come dire mai, dissero in coro compunti i capi delle logge di tutti i paesi, compresi quelli di più accanita tradizione antiecclesiastica. Mancava solo che il nuovo codice di diritto canonico, in preparazione, sancisse la svolta pacificatrice. La Congregazione per la dottrina della fede aveva chiesto due volte un parere riservato ai vescovi.
E il gesuita Caprile, che ebbe accesso alle segretissime risposte, constatò che quasi tutti chiedevano la cancellazione della scomunica, qua e là con elogi persino entusiastici dello spirito massonico. Senonché nel 1978 divenne papa Karol Wojtyla. E di colpo calò il gelo. Il primo effetto lo si vide in Germania. Anche lì i dialoganti s’erano dati da fare, con fior di teologi come Herbert Vorgrimler e Stephanus Pfurtner. E la conferenza episcopale aveva messo all’opera nel 1974 una commissione per accertare la compatibilità tra la fede cristiana e l’appartenenza massonica. Ma a Monaco di Baviera era intanto diventato arcivescovo uno spirito rigido e risoluto, Joseph Ratzinger, che il nuovo papa avrebbe presto chiamato a Roma al posto di Seper, come suo prefetto di dottrina. E di punto in bianco i dialoganti si trovarono congedati, la questione la prese in mano il vescovo di Augsburg, Joseph Stimpfle, un vero mastino, e nel 1980 l’episcopato tedesco scrisse la parola fine ribadendo «l’opposizione fondamentale e insuperabile» tra la massoneria e la Chiesa. Ma la gelata più tremenda fu il nuovo codice di diritto canonico, promulgato il 25 gennaio 1983. Il nuovo canone 1374 così predica: «Chi dà il nome a una associazione che complotta contro la Chiesa sia punito con una giusta pena; chi poi tale associazione promuove o dirige sia punito con l’interdetto».
Sparita la parola massoneria, sparita la parola scomunica… Alt. Provvide il cardinale Ratzinger, con la controfirma del papa, a fugare le illusioni e a dare l’unica interpretazione autorizzata del canone. Il giorno stesso dell’entrata in vigore del nuovo codice, sentenziò inappellabilmente che: primo, la condanna della massoneria resta immutata; secondo, i cattolici che appartengono a una loggia sono in stato di peccato grave e non possono fare la comunione; terzo, non sono ammesse deroghe. Per i filomassoni di parte cattolica, i tempi si sono quindi fatti duri, sotto l’impero del binomio Wojtyla-Ratzinger, inflessibili nell’avversare ogni relativismo. Tenace ma sempre più solo, padre Esposito continua a sfornare i suoi libri e articoli e a tenere conferenze di loggia in loggia.
Ma l’editore deve andare a cercarselo sulla sponda laica: come Nardini, con cui ha pubblicato proprio quest’anno "Chiesa e massoneria. Un Dna comune", primo di una coppia di volumi sulle concordanze tra l’una e l’altra. Altri hanno ripiegato. Come il vescovo ieri di Crotone e oggi di Cosenza, Giuseppe Agostino, pezzo grosso della Cei, che negli anni del dialogo frequentava gli uomini di loggia ma nel 1996 mandò su tutte le furie l’allora gran maestro Gaito vietando ai massoni di far da padrini ai battesimi e alle cresime, al pari di mafiosi, criminali e usurai. Gaito se ne lamentò col quotidiano della Cei, "Avvenire". E questo lo ripagò rincarando la dose. Dipingendo la massoneria come «struttura iniziatica, gerarchica e segreta», con a capo «superiori invisibili», tesa a irretire e a macchinare, predicante all’esterno una vaga «religione dell’uomo», ma professante in segreto, ai gradi alti, «un umanesimo nichilista, in pratica un antiumanesimo dai cieli chiusi».
Anche "La Civiltà Cattolica" ha richiuso gli spiragli aperti anni fa da padre Caprile. Nel suo editoriale di metà giugno ha ammesso che «negli scorsi decenni la Chiesa ha permesso una non breve esperienza di dialogo tra studiosi cattolici e dignitari massonici». Ma per concludere che quel dialogo s’era rivelato un inganno. Perché il criterio con cui si muovono i capi massoni quando si rivolgono alla Chiesa è: «quello che è mio è mio, quello che è tuo è negoziabile». Criterio inaccettabile. La Chiesa ha verità assolute, che discendono da Dio e quindi non possono essere in alcun modo discusse. Raffi, il gran maestro in carica del Grande Oriente d’Italia, forte di 554 logge e di 13 mila iscritti molti dei quali, dice, cattolici, non si arrende: «Se la Chiesa ritiene di perseverare in questa posizione cercheremo di farle cambiare idea. Mi piacerebbe molto coinvolgere un cardinal Ersilio Tonini». Ma anche vescovi presunti candidati al dialogo gli danno delusioni. Da Ivrea, Luigi Bettazzi ha invitato la massoneria a tenere piuttosto un suo Concilio e a farsi trasparente. «Dovrei constatare che un suggerimento del genere arriva da un’istituzione piramidale e non certo democratica come la Chiesa», ha replicato gelido Raffi. Giubileo o no, davvero impensabile che facciano presto pace" (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/7167 )